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di Asmara Bassetti
19 febbraio 2023
15:15

Giangurgolo, Polecenelle bielle e brutte, Carnevale e Quaresima: le maschere simbolo del Carnevale in Calabria

La Calabria, ricca di riti carnevaleschi e processioni originali, ha le sue maschere tradizionali, uniche nel loro genere che abbracciano a pieno la tradizione popolare

Storie
Giangiurgolo, Quaresima, Clementizia e Pulicinelle (foto Vincenzo Adduci)
Giangiurgolo, Quaresima, Clementizia e Pulicinelle (foto Vincenzo Adduci)

Tra le feste popolari per eccellenza, il Carnevale, in Calabria come in tutto il resto d’Italia, si basa sul capovolgimento dell’ordine delle cose e dei ruoli, giorni in cui ognuno poteva impersonare, almeno per una volta, i panni di qualcun altro. Questa abitudine risale alle feste dionisiache greche e ai saturnali romani, mentre in epoca cristiana è stato aggiunto il significato religioso che conosciamo alla festa che per secoli era stata pagana: la preparazione alla Quaresima, che imponeva di non mangiare carne per 40 giorni. Il termine Carnevale deriva infatti dall’espressione latina “carnem levare”, che a quanto pare indicava il grande banchetto di carne che si teneva il martedì, per questo detto “grasso”, in cui si mangiava e beveva in abbondanza, giorno precedente al Mercoledì delle Ceneri che sanciva il periodo quaresimale.

Successivamente il banchetto del martedì iniziò ad essere celebrato già dalla domenica, giorni durante i quali ci si traveste, si fanno scherzi concedendosi qualche eccesso, e soprattutto prendono vita le maschere. Note sono quelle di Pulcinella, Arlecchino, Colombina, per fare alcuni esempi. Anche la Calabria, ricca di riti carnevaleschi e processioni originali, ha le sue maschere tradizionali, uniche nel loro genere che abbracciano a pieno la tradizione popolare.


Giangurgolo

Tra le maschere di carnevale calabresi quella più conosciuta è sicuramente quella che prende origine dalla Commedia dell’arte riscuotendo grande successo fino al XVIII secolo: Giangurgolo, e il cui nome significa Gianni-gola-piena o Gianni-ingordo, ad indicare la sua continua fame e la sua ingordigia. Secondo una delle versioni che ruotano attorno alla figura di Giangurgolo, pare che la maschera sia nata a Napoli e sia stata poi importata a Reggio Calabria allo scopo di ridicolizzare le famiglie nobili spagnole che si trovavano sul nostro territorio. Vanitoso e spaccone, non ha rispetto degli altri, ma ne esige nei suoi confronti, venendo continuamente deriso dalle donne alle quali si avvicina. Armato di finto coraggio, scappa invece a gambe levate quando c’è un pericolo imminente. 

Un’altra teoria pare invece essere convinta che fosse un personaggio realmente esistito nella città di Catanzaro. Abbandonato presso il convento di Santa Maria della Stella, nel 1596, venne chiamato Giovanni, come il Santo sul calendario nella data del suo ritrovamento, il 24 giugno. Amante della caccia, durante una battuta cercò di salvare uno spagnolo aggredito da briganti che però morì ugualmente nonostante le sue cure. Lo spagnolo gli lasciò la sua eredità ed una lettera, dove veniva spiegato come salvare Catanzaro dalla dominazione spagnola. Da quel momento quello che era stato Giovanni prese il nome di Alonso Pedro Juan Gurgolos, ovvero Giangurgolo, che iniziò a mettere in scena spettacoli satirico politici per spingere i catanzaresi ad opporsi agli oppressori e portarli alla rivolta. Condannato a morte fuggì in Spagna, per poi ritornare e morire a causa della peste contagiatagli da un amico. 

Il suo personaggio dal naso grande indossa un cappello alto a cono, un corpetto stretto, pantaloni a sbuffo a strisce gialle e rosse, colori degli aragonesi, e ha una spada e una coda di pavone, simbolo della sua vanità. Sulle scene della Commedia dell’Arte, Giangurgolo ebbe un grande successo al pari di altre maschere note come Pulcinella, Arlecchino o Brighella, ed è portato ancora oggi in scena come uno dei simboli carnevaleschi della Calabria.

Alessandria del Carretto con Polecenelle Bielle e brutte

Nell’area del Parco Nazionale del Pollino, ai confini tra Calabria e Basilicata, a rappresentare le maschere tipiche durante il carnevale sono ancora oggi i Polcnelle bielle e i Polcenelle brutte, emblemi della luce e dell’eleganza i primi, e del caos e del disordine i secondi. La manifestazione, che simboleggia il volersi lasciare alle spalle l’inverno e andare incontro alla primavera, alla luce, inizia con la vestizione dei Polecenelle bielle. Indossano pantaloni infilati in gambali di cuoio, cravatta e camicia bianca, e guanti neri, mentre alla vita vengono legate delle campane che terranno il ritmo tra i suoni delle zampogne che accompagneranno le danze tradizionali durante la manifestazione.

Sulle spalle e legati alla vita hanno degli scialli colorati che si apriranno durante la danza, regalando ancora più grazia ed eleganza. Sulla testa portano un copricapo alto pieno di fiori e nastri colorati che scendono lungo le spalle, mentre il viso è coperto da una maschera chiara in legno. I Polecenelle Brutte sono invece gli antagonisti dei belli, solitamente vestiti di vecchie cose e di scuro, con il viso coperto di fuliggine, e si presentano con un aspetto grottesco, portando nel corteo scompiglio e disordine e lanciando cenere. Entrano nella piazza quando i belli sono andati via, facendo sì che le due maschere non si incontrino né si scontrino, in quanto fanno parte della stessa medaglia pur rappresentando due mondi opposti.

Carnevale e Quaresima

Non si possono non citare due dei personaggi più emblematici della festività diffusa in tutto il mondo: Carnevale e Quaresima. Il primo è rappresentato da un fantoccio di paglia, corpulento e dalla pancia in evidenza, simbolo dell’ingordigia, del cibo e del vino, dei quali ha banchettato per giorni senza provare alcun senso di colpa. Il pupazzo viene portato solitamente su un carretto o a spalla, adagiato su una sorta di barella o giaciglio, a mo’ di morto, per le vie del paese.Dietro di lui un grande gruppo di persone che lo segue dall’inizio alla fine, e in cui si vedono delle figure vestite di nero a lutto, che piangono disperate con lamenti e cantilene a causa della sua morte. Alla fine della processione il carnevale viene bruciato a simboleggiare la sua fine, il martedì grasso prima delle ceneri.

La Quaresima, Corajisima in dialetto, in alcuni riti la moglie mentre in altri la madre di Carnevale, è vestita di nero, con un velo davanti al viso, o con la faccia anch’essa nera e piangente, a rappresentare la chiusura dei festeggiamenti di Carnevale, pieni di abbondanza e in cui si può mangiare a crepapelle, per dare inizio a quelli di penitenza della Quaresima, durante i quali si faranno sacrifici fino al giorno di Pasqua. In alcuni paesi veniva e viene ancora appesa durante il periodo alle porte delle case sotto forma di bambola di pezza. Ancora oggi durante i numerosi carnevali della Calabria sono presenti maschere, decorazioni floreali e alimentari e simboli fallici che fanno riferimento alla festa come rito di propiziazione, prolificità e rinascita della natura dopo l’inverno freddo e cupo. La festa, nei secoli, anche in Calabria rappresentava un contesto di libera espressione, protesta, e liberazione per le classi oppresse.

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