C'è stato un tempo in cui Elon Musk era considerato il volto dell’innovazione progressista: auto elettriche, viaggi spaziali, intelligenza artificiale e una visione del futuro in linea con le grandi sfide ambientali e sociali. Oggi, però, l’imprenditore sudafricano naturalizzato statunitense è espressione del populismo conservatore di Donald Trump. Il ribaltone di Musk tuttavia si inserisce in un cambiamento più ampio nella postura pubblica e politica dell'uomo più ricco del mondo.

Dalla parte dei democratici…finché conviene

Per anni Musk ha avuto un rapporto privilegiato con l’amministrazione democratica, in particolare durante i mandati di Barack Obama e, inizialmente, Joe Biden. Tesla ha beneficiato di ingenti incentivi federali per la mobilità sostenibile, mentre SpaceX ha stretto contratti milionari con la NASA. Ma il rapporto si è incrinato: Musk ha più volte criticato Biden per non aver menzionato Tesla nei suoi discorsi sull’auto elettrica, accusando l’amministrazione di favoritismi verso i sindacati. Un’insofferenza crescente verso le politiche progressiste ha cominciato a emergere, sfociando in un avvicinamento progressivo alla retorica della destra conservatrice.

L’acquisizione di Twitter e la svolta ideologica

Il vero punto di svolta è stato l’acquisto di Twitter (oggi “X”) nell’ottobre 2022. Musk ha promesso una piattaforma libera e “non censurata”, ma le sue scelte editoriali hanno fatto emergere un’ideologia più precisa: stop alla moderazione contro la disinformazione, riabilitazione di profili bannati (incluso Donald Trump), attacchi ricorrenti ai media e al “politically correct”. Molti analisti sostengono che X si sia trasformato in uno spazio sempre più ostile per le voci progressiste e accogliente per complottisti, opinionisti di destra e negazionisti climatici.

Con Trump, per convinzione o per interesse?

Nel 2016 Musk criticava apertamente Trump, e nel 2017 lasciava il consiglio presidenziale dopo il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi. Ma il vento è cambiato fino ad arrivare ai giorni nostri. Negli ultimi mesi, infatti, in coincidenza con le presidenziali americane, Musk ha rilanciato più volte contenuti favorevoli all’ex presidente, criticato le inchieste giudiziarie a suo carico e si è mostrato in sintonia con alcune delle sue posizioni chiave: controllo dell’immigrazione, deregulation, tassazione più bassa per le grandi imprese. Fino a metterci la faccia durante tutta la campagna elettorale, salendo sui palchi insieme a Trump. Senza dimenticare la foto di gruppo del giorno di insediamento del presidente americano con tutti i vertici delle big tech in prima linea ad omaggiare Trump. Più in generale, la svolta di Musk è apparsa a molti osservatori politici dettata più da logiche di potere e convenienza che da un reale cambio di visione: meno Stato, meno vincoli e più libertà d’azione per le sue imprese.

Elon Musk e il DOGE: conflitti di interesse e impatti su Tesla

Nel gennaio 2025, Elon Musk è stato nominato da Donald Trump a capo del Department of Government Efficiency (DOGE), un'iniziativa volta a ridurre la spesa pubblica e semplificare la burocrazia federale. Tuttavia, la sua gestione ha suscitato polemiche: tentativi di smantellare agenzie come USAID e la Consumer Financial Protection Bureau, licenziamenti di massa e conflitti d’interesse legati alle sue aziende, come Tesla, hanno portato a una crescente disapprovazione pubblica. Non a caso, il senatore democratico Bernie Sanders, unica voce critica insieme alla deputata del Bronx Alexandria Ocasio-Cortez nel silenzio generale che sta caratterizzando la sinistra istituzionale americana, sta girando in lungo e largo il Paese in una sorta di tour contro le oligarchie finanziarie al grido "nessuno ha eletto Elon Musk". 

Contemporaneamente, Tesla ha affrontato una crisi significativa: nel primo trimestre del 2025, l’azienda ha registrato un calo del fatturato del 9% e una diminuzione dell’utile netto del 71%, con una riduzione del 13% nelle consegne di veicoli. Queste difficoltà hanno influito negativamente sul patrimonio di Musk, che ha perso circa 132 miliardi di dollari in soli 70 giorni, con un picco di 29 miliardi in un singolo giorno. Eppure il titolo negli ultimi giorni è rimbalzato, mentre gli investitori hanno accolto con entusiasmo una notizia: Musk ha annunciato che presto ridurrà il suo impegno nello smantellamento dell’apparato federale tramite il Doge (dipartimento per l’Efficienza governativa) e tornerà a dedicarsi a tempo pieno alla guida di Tesla (fatte salve le sue responsabilità in SpaceX, xAI e Neuralink). Una notizia che ha dato un po' di respiro agli investitori nella consapevolezza che occorrono nuove idee per rilanciare realmente la casa automobilistica minacciata dai dazi statunitensi.

L’imprenditore che gioca (troppo) con la politica

Musk continua a definirsi un “moderato di centro” o un “libertario”, ma le sue scelte parlano chiaro: oggi le sue posizioni risuonano più con la nuova destra americana che con il mondo liberal da cui proveniva. E questo solleva una questione fondamentale: quando chi possiede le infrastrutture tecnologiche dell’informazione – dai razzi ai social network – inizia a orientare il dibattito politico, dove finisce l’imprenditoria e dove inizia il potere ideologico? Il caso Musk non è solo la parabola di un visionario diventato controverso. È il segnale di quanto sia sottile, oggi, il confine tra innovazione e propaganda.