DISMESSO E ABBANDONATO: LE NOSTRE TELECAMERE NELL’EX CARCERE DI VIBO

Ecco come si presenta la vecchia casa circondariale vibonese, chiusa nel 1997, riconsegnata al Demanio e oggi in preda al degrado
13 giugno 2014
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VIBO VALENTIA - In origine fu un convento. Negli anni divenne un ospedale e si trasformò in un carcere. Il carcere di Sant’Agostino, ubicato in pieno centro storico a Vibo Valentia. Un vecchio monastero che tutto poteva essere meno che un luogo di detenzione sicuro. Non brillava per condizioni di sicurezza e neanche per igiene. Permeabile e fatiscente.

 


Degrado assoluto. Oggi si presenta così, completamente abbandonato. Un nascondiglio per armi secondo la recentissima indagine della squadra mobile di Vibo Valentia diretta da Orazio Marini che ha portato all’arresto di due pregiudicati del posto. L’ex carcere si è trasformato in un officina meccanica con tanto di deposito abusivo di materiale vario, compreso eternit, ma anche in porcile. Un letamaio e un ricettacolo per topi svuotato di tutto: arredi, porte, finestre, infissi, utensili, quadri elettrici, fili di rame. Portata via anche la cassaforte che certo non conteneva oggetti preziosi.

 

Lo storia. Eppure quelle mura segnate dal tempo e dall’umidità raccontano mille storie. E’ un ritorno al passato, agli anni ottanta e, certo, anche in quel periodo le condizioni igieniche non erano delle migliori.  Si racconta che la struttura avrebbe potuto ospitare massimo 85 detenuti, ma i reclusi superarono spesso quota cento. Insomma il sovraffollamento era all’ordine del giorno anche in quegli anni e tra il 1973 ed il 1974 furono ben due le sommosse faticosamente sedate. E le celle, ubicate al secondo piano della struttura, lo testimoniano. Vere e proprie camerate, ognuna dotata di bagno, ma non certamente di confort, anche con quindici posti letto. Le immagini confermano. (Guarda)

 

Le celle. La famigerata cella 17 che – secondo le dichiarazioni fornite dai pentiti – spettava ai vibonesi era la migliore perché dalla finestra si vedeva tutta la città e perché si affacciava su un vicolo e quindi era facile comunicare con l’esterno. Oggi questa finestra è per metà murata. Al fianco, cella numero 18 stavano quelli di Limbadi, i Mancuso, secondo quanto dichiarato dai pentiti per i quali il carcere Sant’Agostino era a briglia sciolta, libero, non proprio il luogo ideale per la rieducazione del condannato. E, infatti, quando non si riusciva a parlare dalle finestre con l’esterno, erano i colloqui all’interno del carcere a risolvere ogni problema di comunicazione. Colloqui che si svolgevano - stando a quanto messo a verbale dai collaboratori di giustizia - in maniera molto permissiva e soprattutto in forma allargata. Le pulci erano di casa al Sant’Agostino, al cui interno si organizzavano persino veglie funebri in onore di vecchi boss mafiosi e al cui interno arrivavano lauti  pranzi caldi forniti da un ristorante del posto e destinati ai capibastone del momento e ai loro gregari.  

 

 

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