La storia di Cocò, il bimbo ucciso ‘dagli Zingari’

Nicola Campolongo, Cocò, aveva solo tre anni, quando fu ucciso e poi bruciato per uno sgarro del nonno al ‘clan degli Zingari’
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di Manuela Serra
16 febbraio 2015
13:09

Droga, armi, prostituzione, le attività del clan Abruzzese, meglio noto come il “clan degli Zingari”, spaziavano in tutti i settori ambiti dalla criminalità organizzata ma, la loro caratteristica predominante quello per cui erano più bravi degli altri, era la ferocia e l’inclinazione naturale ad uccidere. È così che “gli Zingari” hanno conquistato negli anni un posto di prestigio nella piramide criminale, arrivando ad avere contatti diretti con narcotrafficanti internazionali. La cocaina arrivava in grosse quantità direttamente da Sud America e veniva spartita nella rete di spacciatori che il clan aveva costruito in tutta Italia ed in Europa. Ed è proprio per partite di droga non pagate che gli affiliati del clan non ci pensavano due volte ad uccidere chiunque. Una ferocia inaudita che non ha risparmiato neppure i bambini come nel caso del piccolo Nicola Campolongo.

 


Nicola, meglio noto come Cocò, aveva solo tre anni quando, nel gennaio scorso, è stato, prima ucciso da due colpi di pistola e poi bruciato nell’auto assieme al nonno Giuseppe Iannicelli di 52 anni e la sua compagna marocchina, Ibtissam Touss, di 27 anni. Un triplice omicidio avvenuto a Cassano sullo Jonio, roccaforte ‘degli Zingari’. Qui chi sbaglia paga e paga con il sangue. E, il nonno di Cocò, probabilmente, aveva sbagliato e ha pagato non solo con la sua vita, ma anche con quella della compagna e del nipotino. Forse una partita di droga non pagata o uno sgarro al clan, i motivi di quel terribile omicidio non si conoscono ancora ciò che invece è certo è che il piccolo Cocò era nel posto sbagliato, con la persona sbagliata e nel momento sbagliato. Sì, perché la sua vita era già segnata dalla nascita. Nato dietro le sbarre, Nicola Campolongo ha vissuto i primi mesi in una cella perché la madre Antonia Iannicelli di 24 anni e il padre Nicola Campolongo di 26, erano detenuti nel penitenziario di Castrovillari, per questioni legate al traffico di droga. Nella stessa operazione, del giugno 2011, erano finiti in manette anche la zia Simona, sorella della madre e a sua volta madre di due figli, e la nonna Carmela Lucera. Cocò era il terzo di tre figli e, siccome era ancore in fasce, Antonia venne messa ai domiciliari fino al 2012, quando ci ritornò per aver violato gli obblighi di legge. Antonia, infatti, portando con sé i suoi tre figli, era andata a far visita al marito detenuto, senza essere autorizzata. Si decise allora di affidare a nonno “Peppino” il piccolo Nicola, mentre le sorelline di 2 e 4 anni erano con zia Simona.

 

Una storia triste che sembra venir fuori da libro, quella della famiglia Iannicelli. Una storia surreale che dopo aver visto le immagini di mamme incinte, con i bambini in braccio andare e venire dal carcere, aveva scosso le coscienze e scatenato diverse reazioni. Reazioni che, dopo quel terribile giorno di gennaio, quando il corpicino di Cocò fu trovato carbonizzato sui sedili posteriore di una Fiat Punto, sono sprofondate di nuovo nel silenzio.

 

Giornalista
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