La polemica

Migranti, Open Arms lascia il porto di Crotone: «Per noi 20 giorni di fermo ingiustificato»

L’Ong critica le contestazioni delle autorità italiane: «La Libia non può essere considerata un luogo sicuro». L’allarme: «I trafficanti di esseri umani stanno usando nuove tecniche»

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di Redazione
13 febbraio 2024
11:15

La Open Arms ha lasciato il porto di Crotone dopo 20 giorni «di ingiustificato fermo amministrativo». «La nostra nave - scrive la Ong - era partita il 17 gennaio scorso dal porto di Salerno per la sua Missione 108. Subito dopo aver raggiunto la zona di ricerca e soccorso, si era trovata a dover intervenire su tre differenti imbarcazioni in pericolo, riuscendo a trarre in salvo un totale di 57 persone, tra cui 5 minori e un bimbo di otto anni che viaggiava con lo zio. Durante le operazioni di soccorso, tutte coordinate dalla Guardia Costiera italiana, l'equipaggio del nostro rimorchiatore era venuto a conoscenza di una quarta imbarcazione in pericolo a poche miglia di distanza. Su indicazioni delle autorità competenti, una nostra lancia veloce, era stata inviata verso la posizione indicata per effettuare una prima valutazione della situazione».

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«Una volta giunta in zona, l'equipaggio della nostra Rhib aveva constatato la presenza di una motovedetta libica, già impegnata a recuperare le persone a bordo dell'imbarcazione in distress. Informata la nave madre, la lancia aveva immediatamente invertito la rotta, tornando verso la Open Arms - prosegue Open Arms - Una volta giunti nel porto di Crotone, assegnato dalle autorità, il comandante era stato chiamato in questura per riferire come persone informata sui fatti. Al termine di un lungo interrogatorio durato fino a notte tarda, gli era stato notificato poi il fermo di venti giorni della nave e una possibile multa dai 3 ai 10mila euro per aver “intralciato le operazioni di soccorso della guardia costiera libica”. Come ribadito più volte, in alcun modo la nostra lancia ha potuto intralciare le operazioni della cosiddetta guardia costiera libica, essendosi limitata a constatare la presenza della motovedetta lasciando immediatamente l'area di interesse».


«Insistiamo tuttavia su una questione per noi molto importante - sottolinea la Ong -. La Libia non può essere in alcun modo considerata un luogo sicuro, come ribadito più volte dalle più importanti Organizzazioni internazionali e dalle Nazioni Unite che in quei territori lavorano. La vita delle persone vulnerabili che proprio da lì fuggono è costantemente messa in pericolo e le violenze a cui vengono sottoposte nei centri di detenzione presenti sul territorio, rappresentano una gravissima violazione dei diritti umani che le democrazie europee dovrebbero condannare con forza».

Open Arms: «I trafficanti di esseri umani usano nuovi metodi»

«Durante la Missione 108 – continua Open Arms –, abbiamo registrato episodi che destano preoccupazione e di cui abbiamo immediatamente informato le autorità competenti. Al termine dei soccorsi, sulle tre imbarcazioni, 5 persone hanno rifiutato di salire a bordo della nostra nave, decidendo di allontanarsi autonomamente senza tuttavia essere fermate dalla cosiddetta guardia costiera libica, pur presente in zona. Il fatto che alcune persone si siano rifiutate di essere soccorse, suggerisce che i trafficanti di esseri umani stiano usando nuove tattiche per sfruttare migranti e rifugiati vulnerabili».

«Come osservatori di quanto sta accadendo nel Mediterraneo, abbiamo immediatamente segnalato questi eventi alle autorità italiane, consegnando un report dettagliato e agendo in totale e completa trasparenza - prosegue la Ong -. Si tratta di un fenomeno nuovo, a cui assistiamo per la prima volta in tanti anni di operatività in mare. Non siamo in grado di dire a cosa sia dovuto, né sappiamo chi fossero le persone a bordo che hanno rifiutato il soccorso, per noi la priorità rimane il soccorso tempestivo delle donne, dei bambini, degli uomini che ogni giorno rischiano la vita in mare. Questa è e resterà la nostra sola missione, consapevoli del fatto che le navi umanitarie rappresentano oggi l'unico presidio in mare capace di garantire la vita e di documentare ciò che accade nel Mediterraneo».

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