Sentenza ‘Minotauro’, le motivazioni della Cassazione

I giudici: ‘la ‘ndrangheta in Piemonte è molto radicata’
di Manuela Serra
20 aprile 2015
10:37

“Quella piemontese e torinese è una ‘ndrangheta visibile”. Sono queste le ragioni con cui il 23 febbraio la Seconda sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato 47 condanne del processo “Minotauro” contro cinquanta ‘ndranghetisti di Torino che hanno scelto il rito abbreviato. Così si legge nelle motivazioni della Corte di Cassazione lunghe 141 pagine. “La ‘ndrangheta in Piemonte - si legge nelle motivazioni - è una mafia molto radicata e ciò è provato dalla gelosa protezione delle zone di influenza dei singoli locali da possibili invasioni altrui”.

 


I giudici della Cassazione hanno rigettato la tesi degli avvocati secondo cui non sarebbe emerso il “metodo mafioso” ma scrivono: “per commettere delitti (in genere estorsioni in danno di imprenditori e commercianti) e assumere il controllo di attività economiche, gli affiliati si sono concretamente avvalsi della forza di intimidazione dell’associazione mafiosa, con conseguente assoggettamento delle vittime e rifiuto omertoso delle stesse di collaborare con gli inquirenti”.

 

La ‘ndrangheta in Piemonte, dicono i giudici “stava creando una Camera di Controllo, una super struttura come già accaduto in Lombardia, con rappresentanti di tutti i locali per ottenere ancora più autonomia rispetto alla Calabria”.

 

In Piemonte – si legge nelle motivazioni - la concreta capacità intimidatoria dell’associazione mafiosa è derivata da un lato dall’originaria filiazione e dal perdurante legame con la ’ndrangheta storicamente insediata in provincia di Reggio Calabria di cui ha mantenuto modalità organizzative e comportamenti tipicamente mafiosi dall’altro si è autonomamente e concretamente manifestata sul territorio realizzando nelle comunità locali quelle condizioni di assoggettamento e di omertà che caratterizzano la fattispecie di 416 bis. Per spiegare meglio, i giudici citano un caso di alcuni titolari di pizzerie e ristoranti del Canavese dove gli ‘ndranghetisti non pagavano ciò che consumavano “I commercianti erano talmente impauriti che per loro era diventato consueto non esigere il pagamento”.

 

Il 28 maggio è attesa la sentenza della Corte d’appello su gli imputati giudicati con rito ordinario.

Giornalista
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