Gli effetti della guerra

Così la Calabria ha “tradito” il grano: a Serrata vogliono i forni sociali e fanno il baratto

VIDEO | Prosegue il viaggio tra la psicosi per le scorte e modelli agricoli alternativi che possono tornare in auge. Ecco la storia di Michele Trungadi, imprenditore che vede il conflitto tra Russia e Ucraina come l'occasione per imporre un'agricoltura meno industrializzata

di Agostino Pantano
12 marzo 2022
17:30

Anche se lo sciopero di lunedì degli autotrasportatori non ci sarà, ugualmente la Calabria continua a fare i conti – attraverso la carenza di grano - con il combinato disposto degli effetti economici della guerra e il caro carburante. Nelle ore in cui il presidente Draghi prepara il Paese all’economia di guerra, nella nostra regione già si vedono le file ai mulini per fare scorta di farina - e dove non arriva più la materia prima per la cui produzione l’Ucraina è leader mondiale assieme alla Russia – e si fanno i conti con la necessità di potenziare un sistema agricolo che sia più indipendente possibile dal teatro del conflitto. «Forse è la volta buona che cominciamo a parlare compiutamente di decrescita felice e di una agricoltura meno industrializzata», provoca l’imprenditore agricolo Michele Trungadi.

Nella sua azienda e fattoria didattica di Serrata, il giovane agricoltore fissa i paletti di una leva che – dopo la pandemia e la guerra in corso – effettivamente potrebbe spingere a unire locale e globale con meno ansia per il mercato. «La Calabria è piena di mulini ad acqua – prosegue – e i costi raggiunti dall’energia elettrica potrebbero indurre a recuperarli, assieme ad un sistema che invogli la gente a potenziare l’autosufficienza agricola: io nel mio piccolo già pratico forme di scambio, non potendo coltivare il grano per via dei cinghiali, cedo ad un produttore l’olio che produco in cambio del grano che mi da». Forme di baratto, quindi, ma il tema dell’approvvigionamento di grano è anche un problema macroeconomico. «Per il grano tenero non abbiamo per ora problemi di sorta – specifica l’imprenditrice Fortunata Petrolo che a Rombiolo gestisce un mulino – è per il grano duro che dipendiamo già oggi dalle importazioni perché l’economia locale non è stata incentivata a sufficienza».


La Calabria scopre che la situazione si complica non solo per il gas e le fonti energetiche di cui la Russia ci rifornisce, ma anche per quei prodotti della terra – il grano e i suoi derivati – di cui la regione potrebbe abbondare. «Qualche anno fa – conclude Trungadi – assieme all’associzione SOS Rosarno avevamo presentato il progetto per realizzare un forno di comunità, ma non superammo la selezione per avere il finanziamento. Credo che la crisi del grano costringa le istituzioni ora a rivedere i piani e l’assetto sociale da ancorare all’agricoltura multifunzionale che da sempre è, anche, un grande protagonista della svolta energetica possibile perché i metodi antichi ci hanno dimostrato che un’azienda può essere autosufficiente e abbattere i costi».

Giornalista
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