Gioia Tauro, il postino che nel quartiere rom Ciambra non può suonare mai

VIDEO | Tra degrado e speranza il racconto dei 14 anni di lavoro del portalettere Servidio. Mancano i citofoni, e per non incappare nelle omonimie urla i nomi dei destinatari che puntualmente arrivano    

di Agostino Pantano
3 novembre 2020
18:32

Da 14 anni postino a Gioia Tauro, Maurizio Servidio opera in un quartiere dove – per definizione – non può suonare neanche… una volta. Mancano citofoni e cassette delle lettere, nelle palazzine dell’Aterp occupate dai rom, e il portalettere ha dovuto fare di necessità virtù.

 


«Qui molti hanno lo stesso nome e cognome – racconta – quindi per forza ho dovuto conoscerli di persona, anche fuori dal lavoro, per fare le consegne giuste». Storia di umanità e flessibilità, quella di questo portalettere per il quale la “questione Ciambra” non descrive solo degrado ed emarginazione.

 

«Sono diventato amico – prosegue – perché loro hanno voglia di spiegare le proprie tradizioni. Mi hanno invitato alla Festa dei loro santi, Cosma e Damiano, e da lì è nato un rapporto di scambio a cui non so più rinunciare».

 

È la stessa cosa che era capitata al regista Jonas Carpignano, che sul ghetto ci fece un film e vinse il David, oppure al fotoreporter Saverio Caracciolo che ha vissuto qui per offrire meglio la quotidianità di questi “ultimi”. «Per me conoscerli era prima una esigenza di lavoro – prosegue Servidio, impiegato nella città del porto ma originario di Santa Caterina Albanese, nel Cosentino – poi è diventata una curiosità vitale. Porto spesso degli abiti, oppure dolci per i bambini, ed è diventato questo uno dei modi per farmi percepire come una persona amica e utile».

 

E in effetti l’investimento in umanità che ha fatto il postino ha prodotto segni tangibili. Tra le fogne rotte e l’asfalto sgranato, Servidio si muove alla perfezione e sa già come non incappare nell’errore dell’omonimia.

 

«Ormai so anche i loro soprannomi», scherza il postino che – alla domanda su quale sia la corrispondenza più attesa – risponde senza esitazione: «Quella che gli arriva dall’Inpsi che significa diritto a qualche provvidenza statale».

 

Calendario giornaliero di un’attività tra degrado e speranza. «Qualche cosa è cambiata da quando ho iniziato ad oggi – conclude – hanno messo l’asfalto e collegato la rete fognaria. Ma c’è ancora tanto da fare per ridare a questi ragazzi un futuro che non sia fatto di giochi tra i topi e dispersione scolastica».

Giornalista
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