La Pasqua nell'anno del coronavirus: quel calvario che scuote le coscienze

È la Pasqua delle vite spezzate, dei sorrisi persi e del silenzio. Di chi la croce la porta nella lotta contro il nemico invisibile che ha portato via una generazione. Della consapevolezza che mai più niente sarà come prima e della speranza di una rinascita

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di Manuela Serra
11 aprile 2020
15:20

Chiese vuote e celebrazioni annullate. Messe in streaming e processioni solitarie. Per molti la riscoperta di un sentimento religioso nella sua dimensione più intima e autentica che lascia il posto alle manifestazioni collettive per rifugiarsi nella preghiera recitata in solitudine nelle mura domestiche o condivisa sui social come ultimo, estremo tentativo di rimanere uniti gli uni agli altri.

È una Pasqua diversa quest’anno. È una Pasqua di vite spezzate e di sorrisi persi. È la Pasqua del silenzio. Lo stesso silenzio che ha accompagnato la preghiera di Papa Francesco ieri al termine della via Crucis in una piazza San Pietro deserta, senza fedeli.

Un silenzio di rispetto nei confronti di chi tutti i giorni porta la croce, di chi lotta per salvarsi dal coronavirus, un nemico tanto invisibile quanto pericoloso, di chi piange nella solitudine di aver perso una persona cara, di chi pensa a come salvarsi da un’emergenza che sanitaria non è ma ha le stesse insidie, da un’emergenza economica che presto o tardi incomberà nelle vite di migliaia di persone.

Perché il virus ha portato via tutto, ha strappato vite, ha sgretolato sicurezze e certezze, ha tolto dignità. Ha generato morte e disperazione, ha messo in ginocchio aziende e famiglie.

È un prezzo altissimo quello che il mondo intero sta pagando, una generazione decimata.

È la generazione dei nostri nonni. Sradicata la memoria storica di un paese cha ha visto la guerra, che ne ha sentito i rumori e ne ha vissuto le conseguenze. Visi solcati dalle rughe e dall’età, mani tremolanti e ispessite dai calli di chi del lavoro ne ha fatto una ragione di vita. Parole di comprensione, di rispetto, di pazienza che vanno via per sempre senza una carezza, senza neppure un ultimo saluto.

È una tragedia immane che ogni giorno bussa alla porta delle nostre coscienze. Che ogni giorno ci interroga. Cosa potevamo fare e non è stato fatto? Chi poteva fare qualcosa per salvare i nostri anziani, il nostro patrimonio? Chi poteva salvare le 21 persone strappate alla vita nella casa di riposo di Chiaravalle? Le inchieste avviate probabilmente faranno luce sulla strage silenziosa che si è consumata in Calabria e in decine altre case di cura in Italia ma servirà, forse, solo a trovare una spiegazione a un dolore che mai si sopirà.

È un dramma senza precedenti che ci allontana fisicamente e ci induce a riflettere sul senso della vita ricordandoci «di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti» - come ha ricordato Papa Francesco nel corso dell’omelia della domenica delle Palme.

Quella che verrà sarà una Pasqua all’insegna del raccoglimento, della riflessione, della consapevolezza. La consapevolezza che mai più nulla sarà come prima. Atei o cristiani, per tutti sarà la Pasqua della speranza di una rinascita, che porti normalità nelle vite di ognuno.


Giornalista
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