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di Asmara Bassetti
28 ottobre 2023
20:04

Non per lavoro ma per passione: Giuseppe Muraca e l’arte di creare zampogne 

Catanzarese, ha appreso le tecniche dal nonno, dallo zio e dal padre: «Lo faccio perché quando sono lì tra il legno e gli utensili mi sento in pace. È bello rendersi conto che praticamente un albero può diventare uno strumento attraverso le tue mani»

Storie
Foto di Pino Simone
Foto di Pino Simone

All’età di otto anni inizia a suonare, principalmente con il nonno e lo zio, e poi anche con suo padre la zampogna e la pepita. Da lì si appassiona e sogna un giorno di poterli, oltre che suonare, anche realizzare con le sue mani. Oggi costruisce zampogne, non per lavoro ma per passione e voglia di lasciare un’impronta personale su degli strumenti suonati da chi ama la musica come lui.


Una passione nata fin da piccolo

Ad arrivare per prima è stata la passione per la musica, che ha portato Giuseppe Muraca, di Catanzaro, a rappresentare la sesta generazione della famiglia a suonare strumenti della tradizione, come la pepita e soprattutto la zampogna dell’area della Pre Sila. Qui viene utilizzata sia la zampogna a chiave che la zampogna nostrale, appartenente alla famiglia delle surduline ma diffusa con questo nome.

La prima viene usata nell’area della Calabria catanzarese, monta ance doppie, e può suonare insieme alla pipita, un oboe popolare, mentre la seconda monta ance semplici. La zampogna a chiave calabrese ha la particolarità di avere delle parti che vengono abbellite con un anello in corno, che oltre ad essere un elemento estetico, ha anche uno scopo funzionale.

Ad “iniziare” Giuseppe alla zampogna sono stati principalmente suo nonno e suo zio, ma anche suo padre, i quali hanno suonato insieme per ben 74 anni

«Da piccolo ho sempre voluto imparare a dar vita a strumenti musicali, e così appresa la tecnica tradizionale e non avendo né il tornio e né altri utensili, ho utilizzato la tecnica a coltello che mi ha permesso di ottenere la mia prima zampogna». 

Nel 2018 compra un tornio e si ricava uno spazio da adibire a laboratorio dove lavorare il legno, utilizzando tecniche di costruzione del passato apprese da anziani dell’area abbinate a quelle moderne, cercando di prendere nozioni sia dalla vecchia che dalla nuova scuola, arrivando così ad avere un proprio stile personale.

Le forme più antiche come modello dal quale prendere esempio

«Prendo spunto dai modelli più antichi cercando di riprodurli in modo abbastanza preciso, utilizzando vari tipi di legno: erica, mandorlo, albicocco e giuggiolo nella zampogna a chiave, per la parte superiore dei fusi, e ciliegio, gelso, noce e alberi da frutto per la parte delle campane. Sono io stesso a raccoglierlo durante la luna calante di gennaio e febbraio, il periodo più adatto, per poi selezionarlo e farlo stagionare. Lo stesso periodo in cui raccolgo anche le canne per realizzare le ance. Per l’otre invece – ci spiega Muraca – il periodo più indicato è con l’arrivo della primavera, per il quale si esegue un procedimento ben preciso che permette di scuoiare la capra da un piede in modo da ottenere la pelle intera.»

Per terminare una zampogna impiega circa un mese e mezzo non lavorandoci tutti i giorni, in quanto non è questo il suo lavoro principale. Tra le altre cose Giuseppe Muraca, suonando zampogna e pepita, porta infatti la musica tradizionale calabrese nelle piazze e nelle città, che grazie a questo rivivono l’atmosfera che si poteva respirare quando per le vie dei paesi risuonavano le note dei suonatori. La motivazione che lo spinge a impiegare il tempo che ha disposizione nel suo laboratorio, “il suo mondo”, come lui stesso lo chiama, non è perciò economica. «Lo faccio perché quando sono lì tra il legno e gli utensili mi sento in pace, e quando ho del tempo libero è lì che amo stare, dando vita a qualcosa che possa essere utilizzata da qualcun altro che come me ama la musica».

Tecniche antiche e moderne per dare vita a uno stile personale

Giuseppe non usa solo utensili moderni, ma ha fatto riprodurre utensili usati un tempo, usufruendo così di elementi antichi ma seguendo una tecnica innovativa e moderna. «Voglio portare avanti uno strumento e continuare a tramandarlo con le forme antiche, poiché a volte si tende a stravolgerle, mentre ci sono forme e misure antiche meravigliose».

Infatti si tende erroneamente ad associare la zampogna, e la chitarra battente che Giuseppe studia presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali P.I. Tchaikovsky di Nocera Terinese, al mondo pastorale, quando invece la storia della musica tradizionale calabrese va oltre.

«In Calabria gli strumenti più antichi risalgono all’800. Ci sono zampogne antiche che presentano uno stile barocco, creati quindi in un momento storico fatto di eleganza e buon gusto che si rispecchiava negli stessi elementi musicali.» Un dato che ci insegna che essi derivano dalla “musica colta”, come la chitarra battente che suonava nelle corti, o la surdulina, usata nella musica da camera del ‘600, che con il passare del tempo si è poi adattato a diverse forme e contesti. 

Anche il fatto che in molti conservatori d’Italia sia possibile diplomarsi con un titolo accademico di primo e secondo livello in musica tradizionale, rafforza l’importanza che questi ultimi rivestono, finalmente non più relegati nella categoria meno importante di quella classica, ad esempio.

Un’arte da trasmettere attraverso gli strumenti musicali

«La generazione precedente alla mia, fino a qualche tempo fa, provava quasi vergogna a suonarli, mentre la generazione dei miei nonni, e anche la mia, è invece più legata alle tradizioni e vuole che l’arte di suonarli e di costruirli rimanga e sia trasmessa anche in futuro». Quella di produrre zampogne è un’arte che è andata perdendosi: anche per questo Giuseppe, insieme agli organizzatori e le organizzatrici di Felici&Conflenti, realtà della quale fa parte, ha cercato di recuperare quella conflentana effettuando delle ricerche sul territorio, appurando infatti che fosse rimasto solo uno il costruttore a saperlo fare. 

«È bello rendersi conto che praticamente un albero può diventare uno strumento attraverso le tue mani. Quando ne consegno uno, da una parte il lavoro mi rende contento e soddisfatto poiché ho la possibilità di lasciare un segno, dall’altra provo quella piccola parte di dispiacere a staccarmi da qualcosa realizzata da me, ma sono felice se ho la possibilità di far rimanere un’opera fatta con passione e col cuore, proprio come hanno fatto altri costruttori prima di me».

*Foto di Pino Simone

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