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Cuori di terra: l’epica impresa dei giovani contadini calabresi

Cuori di terra: l’epica impresa dei giovani contadini calabresi
di Franco Laratta
Coordinamento editoriale: Altomonte, De Girolamo, Rende, Serra
Video editing: Vallone
Sette storie di coraggio, amore e capacità imprenditoriale. C’è qualcosa di cavalleresco nella passione di questi moderni guerrieri dei campi che lottano contro una burocrazia mostruosa per far rinascere antiche colture. Dallo zafferano al vino come veniva fatto nell’antica Roma, dall’olio più puro agli ortaggi di montagna. Tutto Made in Calabria
Cosa spinge un ragazzo laureato che lavora all’estero o in altre regioni d’Italia, a rientrare in Calabria? A tornare nel proprio paese d’origine per occuparsi dell’azienda agricola di famiglia o per impiantarne una nuova?
Sarà forse il richiamo della terra o quella strana forma di nostalgia che ti fa desiderare quello che è passato, come il mestiere antichissimo del contadino.

Il nostro è un viaggio nel passato che somiglia tanto al futuro che sarà: alla scoperta delle avventure che hanno messo in piedi tanti giovani calabresi, alla ricerca della più nobile tradizione, degli antichi sapori, della valorizzazione della cucina povera calabrese. In un intreccio che è straordinario: la bellezza e l’autenticità della nostra terra, l’innovazione tecnologica applicata all’agricoltura. Ieri che diventa oggi e poi domani.

Così, un ritorno dopo l’altro, ogni mese registriamo la scelta coraggiosa di un giovane che ritorna in Calabria, che si riappropria del proprio passato, che crea le condizioni migliori per trasformare la terra in un’azienda, all’insegna di un’innovazione intelligente che aiuta l’uomo a migliorare la qualità del lavoro. Dietro ad ognuno di questi giovani che ritornano in Calabria, c’è il desiderio di fare dell’antico contadino un moderno imprenditore.

In molti forse nemmeno lo sanno, ma l’agricoltura calabrese ha compiuto importanti passi in avanti soprattutto grazie alla generazione degli under 35, che da tempo guidano le aziende agricole dei genitori e dei nonni. E tutto questo è accaduto senza aver mai fruito di finanziamenti pubblici, sistema dal quale in molti si tengono alla larga, per colpa di una macchina burocratica spaventosamente lenta.

L’oro rosso di Calabria: lo Zafferano del Re

Mentre il resto della Calabria è quasi interamente ricoperta da magnifici uliveti e da bellissimi vigneti di particolare pregio e valore, in provincia di Cosenza due ragazze, le sorelle Linardi, da quattro anni coltivano lo zafferano. Una vera e propria sfida, piena di incertezze e incognite. Che oggi hanno vinto.

L’avventura di Benedetta e Maria Concetta Linardi è iniziata con la nascita dell’azienda agricola “Lo Zafferano del Re”. Questo piccolo miracolo è avvenuto su tre ettari di terreno posti sulla collina di Castiglione cosentino. Una zona molto calda, il clima ideale per un fiore delicatissimo e molto prezioso. Da noi, come in molte regioni italiane, sono poco conosciute le proprietà benefiche dello zafferano, e molti ignorano le sue potenzialità economiche e il suo pregio sui mercati internazionali.

Dopo i primi anni dall’inizio dell’avventura, le sorelle Linardi si possono dire soddisfatte. La sfida è stata vinta. Ma non è stato facile. La coltivazione è complessa, il fiore è delicatissimo, il lavoro esclusivamente manuale, la raccolta non è una passeggiata. Dalla semina dei bulbi, al successivo espianto e fino alla raccolta dei fiori, non c’è alcuna fase meccanizzata.
Le colline di Castiglione cosentino celavano un tesoro inespresso, nascosto tra i terreni di famiglia inutilizzati da tempo. Oggi quei terreni hanno ripreso splendore e sono diventati la base operativa dell’azienda agricola creata grazie all’audacia e la caparbietà di due sorelle, Benedetta e Maria Concetta Linardi. Nata «quasi per gioco» ma con «l’ambizione di rimette in vita dei terreni di famiglia» l’azienda Zafferano del Re ha permesso la produzione dell’oro rosso di Calabria di qualità altissima che è diventato un vero tesoro agroalimentare.
La loro storia, raccontata un paio di anni dopo l’avvio della coltivazione, ha suscitato molto interesse, tanto che l’allora ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova le ha volute ricevere a Roma. Nello storico palazzo ministeriale, quando Benedetta e Maria Concetta hanno aperto il piccolo scrigno con il loro zafferano, si è improvvisamente sprigionato il profumo della spezia più costosa al mondo, con le sue note amarognole, terrose, unite alle note di rosa e miele. Il profumo di una meravigliosa spezia, dal colore esplosivo e irresistibile, che sul mercato vale tra i 25 e i 30 euro al grammo.

Lo Zafferano del Re, pensando al celebre Alarico, si sviluppa negli appezzamenti di terreno della famiglia, ai quali se ne sono aggiunti altri ottenuti gratuitamente, anche perché erano incolti, abbandonati. Apparentemente quella dello zafferano è una coltura semplice: a fine agosto i bulbi vengono messi a dimora. Dopo alcune settimane spunta la pianta che a fine ottobre fiorisce. Questo è il momento in assoluto il più delicato: ogni mattina all'alba, prima che la luce del sole faccia aprire i fiori, si procede alla raccolta.

Questa operazione dura per tutto il periodo della fioritura, cioè da metà di ottobre a metà novembre. La cosa è complicata dal fatto che il lavoro viene eseguito esclusivamente a mano.
La lavorazione avviene nel laboratorio dell'azienda: il pistillo viene separato dal fiore per poi venire essiccato. Si ottiene così lo zafferano che sarà conservato nel vetro, poi imbustato e confezionato. 

Roberto Galati, gli ortaggi tipici e il Tabasco di San Vito

Roberto Galati è stanco ma soddisfatto: «È stata una giornata di full immersion nella lavorazione dei nostri terreni. Dopo circa due anni abbiamo effettuato l'aratura profonda di un appezzamento di circa 7000 mq, che tra qualche giorno freseremo e successivamente utilizzeremo per la nostra piantagione di patate 2023».

L'azienda agricola I Casali di Postaglianadi, nata nel 2016, si trova a San Vito sullo Jonio, nel Catanzarese. Siamo in luogo bellissimo che si affaccia sulla costa soveratese, a circa 600 metri sul livello del mare. Roberto ha iniziato con la coltivazione degli ortaggi tipici, le buonissime patate, i fagioli, il peperoncino che prodotto in azienda, viene poi trasformato nel Tabasco di San Vito, un prodotto di eccellenza de I Casali di Postaglianadi.

Roberto sin da piccolo ha conosciuto il mondo agricolo grazie a quanto gli hanno trasmesso i nonni. Poi 2016 ha conseguito l'attestato di Imprenditore agricolo professionale al Gal Serre calabresi e, sempre nello stesso anno, è iniziata l'avventura della sua azienda. Anche e soprattutto grazie a Francesco Brancatella, sanvitese di nascita e giornalista Rai per tanti anni, che dopo la pensione ha deciso di investire nel proprio territorio e nei suoi giovani.
Oggi la burocrazia in Calabria fa più danni del clima impazzito. Le istituzioni sono spesso assenti e questo non aiuta il ritorno dei giovani al mondo agricolo
Roberto Galati
Roberto, nonostante il suo entusiasmo, deve fare i conti con le difficoltà. «È incredibile ma vero, in Calabria oggi è la burocrazia a fare più danni del clima impazzito: istituzioni poco presenti, salvo rari casi, di certo non aiutano il ritorno dei giovani nel mondo agricolo. In questi anni, mi sono reso conto che sono solo la passione e i risultati conseguiti esclusivamente con le proprie forze che consentono di andare avanti».

Acroneo, il vino dell’antica Roma in Calabria

Gabriele Francesco Bafaro è di Acri, nel Cosentino. Civiltà del bere (rivista di vino e cultura gastronomica) ha premiato il vino che lui produce in modo del tutto naturale, conservato in anfora, come si faceva ai tempi degli antichi Romani. È il vino Arkon, Acroneo, scelto come il miglior vino naturale della Calabria.

Lo stesso Arkon è presente nella prestigiosa guida Gambero Rosso 2022 e ha conquistato anche gli ambiti 2 bicchieri rossi. Gabriele Bafaro è prima di tutto un giovane studioso calabrese, archeologo e appassionato di vini. Ha approfondito le antiche tecniche di coltivazione. E dopo la laurea ha deciso di occuparsi della coltivazione della vigna di famiglia, applicando le sue conoscenze e avviando il progetto dell’archeovino, ovvero il vino secondo le antiche tecniche, con al suo fianco l'enologo Piero Artuso che ha sostenuto il progetto di antica vinificazione.
La scelta originale ma anche difficile è costata tanti sacrifici, impegno e risorse, che ha potuto sostenere grazie alla famiglia che vive a Serricella di Acri, in provincia di Cosenza. Qui si trova la bella cantina di Acroneo, inedita e sperimentale, ed è qui che il vino viene si ottiene con particolari spremiture, per essere conservato in anfore interrate. Vengono quindi utilizzati argille e legni speciali.

Si tratta di un impegno lungo e di un lavoro duro. Basti pensare che le uve vengono selezionate manualmente, poi pigiate in tronchi scavati e conservate nelle anfore, molto simili a quelle che si usavano nell'antica Roma.
Gabriele Bafaro: «Le bottiglie dei nostri vini sono state poste ad affinare nel caveau della cantina a temperatura e umidità controllata. Acroneo è contraddistinto da una produzione numerata. Infatti lavorare con liste di prenotazione ci permette di garantire a professionisti ed amanti del vino un'esperienza di gusto unica ed irripetibile»

Lorenzo e Nicole: agricoltura e amore nella foresta silana 

 Una bella storia di ritorno a casa dopo alcuni vissuti all’estero a lavorare. Sono passati 6 anni dal rientro da Londra di Lorenzo Pupo. Era andato via dopo la laurea all’università della Calabria. Aveva trovato lavoro a Venezia, Manchester e infine Londra, dove è rimasto alcuni anni.

Ma non doveva e non poteva finire così: la nostalgia per la Calabria si faceva sentire sempre più forte. Il pensiero volava continuamente alla sua Sila, dove aveva lasciato le proprietà agricole della famiglia. Una vasto appezzamento a 1.400 metri sul livello del mare, a due passi da Camigliatello.

«I primi 3 anni sono stati durissimi, pensavo di non farcela. Da una parte l'inesperienza, le tante difficoltà, la mancanza di sufficienti risorse e dei mezzi da lavoro. Il tutto mi ha messo a dura prova. Con il passare del tempo ho imparato tanto, anche dai miei errori, e oggi sono felice per i passi avanti che sono riuscito a fare. Questo mi dà la motivazione per portare avanti i tanti progetti che ho in mente».
Un ragazzo che decide di fare l’agricoltore sa che dovrà lottare contro le avversità naturali, ma soprattutto contro la burocrazia e la cecità delle istituzioni: «Fare l'agricoltore significa conoscere 20 mestieri tutti insieme: dal meccanico al veterinario, dal commercialista all'esperto di leggi europee, devi conoscere bene il suolo, le piante e anche le tecniche di coltivazione. Insomma bisogna essere pronti a tutto».

Aggiungiamo anche che fare l'agricoltore in Calabria, e per giunta in montagna, è particolarmente complicato: «Io credo che la burocrazia sia la vera spina nel fianco di noi agricoltori. In un mondo che va veloce come il vento, bisogna andare al passo con i tempi e non aspettare mesi o anni per un permesso o per una carta. Bisogna velocizzare la realizzazione di infrastrutture indispensabili per l'agricoltura come la gestione delle reti idriche che sono ad esempio in Sila, bloccate da 30 anni».

La sua azienda produce patate della Sila Igp
, ha un piccolo allevamento bovino, coltiva grano, verdure di montagna e da due anni anche frutti di bosco. Ha lanciato l’auto raccolta del lamponi direttamente in campo. Un modo per stare a contatto con la natura, conoscere le attività della fattoria e portarsi a casa lamponi buoni e freschi.

«È vero, è stato un esperimento andato a buon fine, per fortuna. Non appena ho lanciato l'auto raccolta dei lamponi, incredibilmente lo stesso giorno sono arrivati i primi curiosi da Cosenza. Nei giorni successivi soprattutto nei week end sono state decine le persone venute in fattoria per raccogliere e portare a casa i nostri buonissimi lamponi».
Da qualche tempo Lorenzo vive nella sua fattoria con Nicole, insieme per affrontare gli inverni rigidissimi, lontani da tutto e da tutti. Nicole lo ha aiutato tanto anche sul campo, condividendo con Lorenzo i tanti sacrifici di un giovane agricoltore di alta montagna. Non deve essere per niente facile per una coppia amarsi, lavorare dalla mattina e fino a tarda sera, fare tanti sacrifici, vivere nel cuore della bellissima foresta silana.
Lorenzo è chiaro: «Vivere in Sila per me è una cosa naturale. Mi sento molto di più a mio agio qui che non in una grande metropoli come Londra. Se ci si vuole bene veramente, si può vivere dappertutto, condividendo ogni cosa, facendo insieme tanti sacrifici. E con Nicole ci siamo riusciti».

Vincenzo, il contadino fanciullo innamorato della sua terra

Avere 20 anni e vivere per la terra. Vincenzo Gullo è innamorato della natura, dell’ambiente, capire che la tua vita è quella di un contadino innamorato del suo lavoro. Il suo amore è tutto nei suoi terreni agricoli nel comune di Palmi. Lui è giovane, così diverso da tutti gli altri giovani.

A chi gli chiede perché ha fatto una scelta così difficile, Vincenzo è di una chiarezza e di una sicurezza impressionanti: «Questa è una cosa che nasce con me e non ha fatto altro che crescere ed evolvere con il tempo, fino a diventare il fulcro della mia vita. Senza dubbio è una caratteristica distintiva della mia identità».
La sua piccola azienda agricola sta nascendo giorno dopo giorno. Ci sono gli ulivi che danno sicurezza e certezza al giovane agricoltore. Stagione dopo stagione l’azienda si farà più bella e più ricca.

«Ci sono delle volte in cui mi stendo a terra sul bellissimo tappeto verde che crea l'erba fissando le folte fronde degli ulivi, l'azzurro del cielo e sento che non mi manca niente, mi sento felice e vorrei che quella sensazione non finisse mai. Non c'è niente di più bello della magia della natura, di quella che è la cosa più vera e semplice che esista al mondo».

Un ragazzo che a 20 anni trova la felicità sdraiandosi su un letto d’erba, ammirando il cielo, con gli ulivi che sovrastano tutto, è un ragazzo straordinario. Anche coraggioso, perché i sacrifici da fare sono enormi. Le avversità tantissime. Con il clima impazzito anche il raccolto è sempre più a rischio. Magari qualche volte Vincenzo si sarà chiesto chi gliel’ha fatta fare.

«Io non rinuncerò mai al sogno di una vita, perché io sono nato per vivere la terra, perché la terra è uno stato d'animo, è qualcosa che mi porto dentro e non può abbandonarmi mai; io senza lei non sono niente. La terra è stata la mia salvezza da sempre, il mio rifugio; la terra è il mio palcoscenico dove metto in atto la mia arte. Mi piace dire infatti che la terra è la mia tela e la zappa il mio pennello».
Questo ragazzino così forte e determinato sta affrontando difficoltà importanti, ed ha tanti momenti di scoraggiamento, ma con fierezza e determinazione ha affrontato le difficoltà ed è andato avanti con il suo obiettivo: «Io non coltivo la terra, io coltivo emozioni; nella terra ripongo sogni, ambizioni, ci metto amore, lacrime, sacrificio e raccolgo felicità, gioia. Per farla breve, è la mia vita tutto questo e quindi non posso mollare a nessun costo».

Quando Vincenzo è arrivato in questo nuovo fondo, le piante erano completamente abbandonate a se stesse. Dopo un duro lavoro la sua felicità è stata immensa perché le ha viste cambiare totalmente: «Dove c'era confusione ora c'è ordine e una buona struttura. Dove c'erano spine, ora c'è la pianta con la sua bella fronda libera di crescere e mostrare tutta la sua bellezza. Per gli altri queste sono semplici piante, per me sono pezzi di cuore, sono la mia stessa vita».

Don Peppino e l'olio secolare

«Sono tornato in Calabria per rendere l’azienda della mia famiglia sostenibile». Roberto Tesoriere, una laurea in Economia alla Sapienza di Roma, non aveva in programma un ritorno nella sua Mesoraca.

Tanto che aveva già avviato con alcuni amici un’agenzia di produzioni grafiche. Ma a un certo punto i segnali che arrivano dalla Calabria lo spingono a una valutazione, perché c’è bisogno di lui: «Quando ho valutato la possibilità di tornare in Calabria per lavorare nell’azienda di famiglia ho visto molte potenzialità e tantissime cose da poter migliorare. Questo perché l’attività esclusiva era la produzione con successiva vendita all’ingrosso. Ho deciso di dare un’immagine all’azienda e aprire alla vendita al dettaglio, tramite i social e l’e-commerce».
Roberto si occupa della gestione aziendale, anche se il suo settore preferito è il marketing. Si fa le ossa stando sul campo, studiando ogni processo e immaginando progressi e innovazioni da mettere in atto.

Trattare l’olio biologico di alta qualità non è semplice, anzi è una bella sfida. Roberto ha in mente tanti progetti, molti altri li ha già realizzati. Come l'evento “Ambasciatori di Calabria”, durante il quale è stata presentato la nuova latta del “Don Peppino - olio secolare”, in omaggio al nonno che ha fondato l’azienda e coltivato un uliveto nel comune di Mesoraca.

Dalla spremitura delle due cultivar calabresi, Carolea e il secolare Oleastro, nasce un vero e proprio succo di oliva: «La nostra storia è stata affidata alle radici e alle fronde del nostro albero più antico».

Una pianta quasi millenaria racconta la storia olivicola della antica terra del marchesato di Crotone. Una pianta che Roberto voluto intitolare al nonno, Giuseppe Marescalco: «Con la speranza che attraverso le sue radici possa infonderci la sua visione e la sua passione per l’olivicoltura».

I giovani alla riscoperta del fagiolo poverello bianco

Il fagiolo poverello bianco, soprattutto nella zona di Mormanno, è ritornato protagonista grazie ad alcuni giovani che hanno deciso di mettere a sistema terreni dimenticati, ripresi e coltivati per consolidare la tradizione di alcune colture del Pollino che in pochi anni si sono trasformati in un attrattore enogastronomico formidabile per il turismo esperienziale.
È la storia di Pollino Food Experience una cooperativa agricola nata ufficialmente nell’aprile 2018 dal sogno di Biagio Pandolfi e suo fratello Antonio che decisero, un anno prima, di mettere in coltura terreni di proprietà. La scelta precisa di investire sulla coltura del Poverello Bianco di Mormanno insieme all’amico Giorgio Sola, ha innescato la scintilla che oggi ha visto quasi quintuplicare la produzione dell’ecotipo locale insieme ad altre identità agricole del territorio.

Da una parte la volontà di valorizzare un prodotto da sempre legato alla cultura agricola del Pollino, dall’altra lanciare il messaggio che in un’area protetta, tra le più grandi d’Italia, si può fare agricoltura di qualità in maniera ecosostenibile nel rispetto dell’ambiente.
I primi a cogliere questo messaggio sono state le due aziende agricole già presenti sul territorio “Il giardino d’Europa” e “Il campo di Venere” di Enrico De Luca e Giuseppe D’Alessandro che hanno aperto la strada al dialogo per avviare l’avventura della cooperativa agricola. Oggi la produzione si è allargata anche ad altre colture territoriali: il Cece nostrano seccagno, la Lenticchia di Mormanno, il Farro dicoccum sia decorticato che in farina integrale ed anche peperoni, peperoncini, pomodori che rappresentano il paniere ancestrale ereditato dai nonni che già producevano in quelle terre.

L’impegno è quello di valorizzare la cultura contadina sia attraverso l’agricoltura che attraverso la divulgazione. Spinti dalla passione per la terra e dalla voglia di portare sulle tavole prodotti genuini capaci di far scoprire i “sapori di una volta” si è scelto di utilizzare semi antichi e tutte le lavorazioni vengono effettuate a mano secondo la tradizione.

«Siamo costantemente alla ricerca di memoria per poter crescere e migliorare» dichiara Biagio Pandolfi, presidente della cooperativa agricola Pollino Food Experience – che di recente ha deciso di chiudere la filiera della produzione gestendo uno stabile della Diocesi di Cassano all’Jonio, il convitto vescovile di Mormanno, trasformandolo in un contenitore di racconto del territorio e di valorizzazione, a tavola, delle produzioni locali. Si completa così il progetto che parla di territorio e sviluppo sostenibile chiudendo il cerchio ideale dal campo alla tavola regalando un’esperienza immersiva a chi sceglie di soggiornare e scoprire il Pollino. Un progetto moderno e lungimirante animato da giovani che hanno avuto il «coraggio di rimanere e sfruttare le proprie capacità» affermano i soci della cooperativa.
Giovani laureati e professionisti che per molti anni hanno vissuto lontano dalla Calabria per motivi di studio e oggi sono protagonisti di «questo viaggio di ritorno» che permette loro di esprimersi a casa propria «che è la cosa più bella che potesse capitarci».

La forza dell’esperienza sul campo ha realizzato un fermento produttivo che ha visto nascere anche la De.Co. attorno al Fagiolo Poverello Bianco coinvolgendo, in maniera unica nel suo genere, tre municipalità confinanti nella Valle del Mercure: il comune di Laino Borgo, quello di Mormanno e di Laino Castello.

Insieme ai produttori – veri protagonisti di questa sfida agricola per la valorizzazione del contesto rurale – hanno dato vita ad un coordinamento che sta già guardando alle sfide futuro che non solo riguardano il consolidamento degli standard produttivi ma il raggiungimento di altri riconoscimenti in campo agricolo e soprattutto l’educazione al gusto ed alla conoscenza delle eccellenze alimentari.