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La stagione delle ruspe che minaccia le tartarughe calabresi

La stagione delle ruspe che minaccia le tartarughe calabresi
di Vincenzo Imperitura
Coordinamento editoriale: De Girolamo, Rende, Serra
Video editing: Vallone

Sulle spiagge della costa jonica nidifica il 65% delle caretta-caretta presenti in Italia. Un tesoro naturalistico che deve fare i conti con la pratica (vietata) di pulire e preparare gli arenili con i mezzi cingolati che possono distruggere le covate. Come se non bastasse ci sono anche fuoristrada e moto da cross che scorrazzano sulle strisce di sabbia. Un paradosso per una regione conosciuta nel mondo anche per questo affascinante e pacifico animale. Ecco cosa succede sulla Riviera dei gelsomini

Una settantina di chilometri di meravigliose sabbie bianche che si fregiano di ben tre Bandiere Blu (Siderno, Roccella e Caulonia) trasformati, per quasi un mese ogni anno, in un enorme cantiere aperto. Da Monasterace fino Brancaleone e poi giù fino allo Stretto, le spiagge della costa jonica reggina (ma la situazione nel resto della Regione non è molto diversa) fanno il paio con i tanti cantieri disordinati che hanno da tempo colonizzato il resto del territorio. Operai e mezzi di movimento terra (soprattutto cingolati) fanno in genere capolino sulla battigia, e tra i primi bagnanti, alla fine del mese di maggio per rimanerci, mareggiate permettendo, fino a giugno inoltrato: una sorta di “stagione delle ruspe” che, con la scusa della pulizia degli arenili e della loro preparazione alla stagione estiva, tiene in ostaggio le spiagge per quasi un mese.
Con tanti saluti ai propositi di allungamento della stagione e alla retorica greenwashing sulle tartarughe marine, e in barba a ogni disposizione regionale e della soprintendenza ai beni paesaggistici. Un malcostume diffusissimo (e sul bene maggiormente monetizzato sul territorio) andato avanti per anni anche grazie al paradosso di una legge regionale che non prevedeva, unico caso in Italia, alcun dispositivo sanzionatorio.

Escavatori, bobcat, muletti, ruspe: lungo tutta la “riviera dei gelsomini”, in quei venti giorni prima dell’inizio della stagione, sono i mezzi meccanici i veri padroni della spiaggia. Sbancano dune, estirpano la vegetazione primaria, appiattiscono arenili, innalzano terrapieni per ospitare container, gazebi e baracche diventati negli anni sempre più grandi. 

Salviamo le tartarughe: leggi che nessuno rispetta

Eppure le disposizioni regionali parlano chiaro e a ribadirlo è lo stesso Dipartimento territorio e tutela dell’ambiente della Regione che, in una lettera inviata lo scorso 30 maggio a tutti i comuni costieri calabresi, ribadisce come sia vietato «l’utilizzo di mezzi meccanici per la pulizia della spiaggia, il transito di fuoristrada o altro mezzo su ruota e gli interventi di sbancamento e spianamento che possano alterare il contorno delle dune»: disposizione che diventa obbligo per i comuni che ricadono nelle zone delle tante riserve protette e «forte raccomandazione» per il resto del territorio regionale su cui comunque – per i lavori che vanno oltre la semplice pulizia della spiaggia – resta l’obbligo della valutazione d’incidenza rilasciata dalla soprintendenza ai beni paesaggistici di Reggio. 

Un passaggio previsto dalla norma che però nessuno (o quasi) rispetta: «Negli ultimi dieci anni – dicono dagli uffici reggini della soprintendenza – si contano sulle dita di una mano le richieste relative alla valutazione d’incidenza sui lavori in spiaggia arrivate in ufficio. Sia da parte dei comuni, sia da parte dei privati. Ogni lavoro che, con lo sbancamento delle dune, la costruzione di terrazze, o l’appiattimento della spiaggia, modifica l’ambiente e il paesaggio della spiaggia, va preventivamente approvato dalla soprintendenza ai beni paesaggistici».
Si contano sulle dita di una mano le richieste relative alla valutazione d’incidenza sui lavori in spiaggia arrivate
La stessa soprintendenza, in seguito a una segnalazione, era direttamente intervenuta qualche tempo fa con una lettera inviata al comune di Roccella in cui si invitava l’ente a sospendere i lavori in uno dei tanti cantieri aperti. In quell’occasione, gli uffici reggini della soprintendenza avevano ricordato agli uffici comunali come la zona in questione fosse «sottoposta a tutela paesaggistica e pertanto qualsiasi intervento deve essere preventivamente sottoposto alla valutazione di questo ufficio» e sottolineando come «la costa della nostra provincia viene scelta dalla tartarughe caretta-caretta (specie in estinzione) per la nidificazione, pertanto la gestione delle spiagge da parte dei comuni dovrebbe essere più attenta, evitando l’uso di mezzi meccanici».
Nonostante regole e raccomandazioni però, e in barba ad ogni attenzione per la fortuna di operare su «un mare quasi sull’uscio di casa, blu carico, con bordi celeste Madonna e striature vinose», Comuni ed operatori turistici hanno trattato, e continuano a trattare, le spiagge del territorio come fossero un normale cantiere edilizio (foto in basso Onlus Caretta Calabria Conservation).
Nei primi dieci giorni di giugno, anche a causa delle mareggiate che hanno sferzato la costa jonica nelle ultime settimane ritardando i lavori, i mezzi meccanici operativi sulle spiagge si contavano a decine. Un chilometrico ammasso di mezzi pesanti lungo tutta la riviera, che smuove la sabbia cambiandone la conformazione e contribuendo, con la sistematica estirpazione della vegetazione spontanea, all’erosione della spiaggia stessa, che resta maggiormente esposta a fenomeni erosivi causati dal vento, dalla pioggia e dal mare.

Una consuetudine andata avanti negli anni anche grazie al paradosso tutto calabrese che, associato alla legge che disponeva obblighi e divieti a tutela dell’ambiente, la Regione non avesse previsto il relativo dispositivo sanzionatorio. Nella sostanza, le regole per le aree protette – e il relativo divieto di utilizzare i mezzi meccanici – valevano solo sulla carta visto che, ad illecito verificato, non seguiva alcuna multa. Così come non erano previste sanzioni per gli operatori, pubblici e privati, che eseguivano lavori di “sistemazione” della spiaggia in assenza delle autorizzazioni della soprintendenza. Mancanza tutta calabrese che si è protratta per più di 15 anni e che, di fatto, ha tenuto al sicuro dalle sanzioni i trasgressori, pubblici e privati. Mancanza sanata solo qualche mese fa. 

«Ora le multe ci sono e sono anche salate»

«Da quest’anno le cose sono cambiate», dice Giovanni Aramini, dirigente del dipartimento territorio e tutela ambientale della Regione e autore delle lettera che richiama i comuni costieri al rispetto delle regole. Lettera che la Regione ha inviato ininterrottamente agli enti territoriali fin dal 2016 ma che era rimasta pressoché inascoltata. Almeno fino ad oggi. «Ora però le multe sono previste e anche piuttosto salate – dice ancora Aramini –. Le prime, una decina in tutto, sono già state notificate per conoscenza ai nostri uffici. Noi crediamo che le operazioni di pulizia possano e debbano essere fatte senza l’utilizzo delle ruspe. Anche perché quella dello spianamento della spiaggia è una pratica assolutamente non necessaria: è inutile rendere gli arenili lisci come un tavolo da biliardo. Se spieghiamo ai turisti che lasciamo le spiagge nella loro connotazione naturale, magari con le piccole dune e il “salto” sulla battigia, le nostre spiagge risulterebbero molto più attrattive. E gli stabilimenti potrebbero piantare lo stesso numero di ombrelloni. Sulla costa jonica calabrese, e in particolare in quella reggina, nidifica il 65% degli esemplari di caretta-caretta che si riproducono in Italia. Rivendicare che rispettiamo l’habitat di una specie in via d’estinzione sarebbe un ottimo messaggio turistico, invece continuiamo a farci ammaliare dal rumore delle ruspe».

Ambientalisti contro ruspe, concerti e moto da cross

E quando non sono le ruspe a creare problemi alla nidificazione delle tartarughe, ci sono quad, moto enduro e fuoristrada, che utilizzano l’incredibile arenile jonico per testare i loro bolidi. Una piaga più volte denunciata dall’ associazione onlus “Caretta Calabria conservation”, che le spiagge della Locride alla ricerca dei nidi, le controlla giornalmente dall’alto grazie all’utilizzo dei droni. «Registriamo un traffico inusitato di fuoristrada e mezzi a motore in molti tratti di spiaggia, soprattutto nella zona che va da Locri ad Africo. Sono mezzi pesanti e il loro passaggio, soprattutto quando il periodo della nidificazione è già iniziato, rischia di compromettere i siti, come già successo in passato – dice a LaC Salvatore Urso socio fondatore di Caretta Calabria Conservation – a questi poi si aggiungono i movimenti di ruspe – cingolate e gommate – che alterano la tessitura e la composizione stratigrafica della spiaggia, mettendo a rischio la schiusa delle uova. Da quando il Jova Beach Party è stato autorizzato a spianare ettari di arenile, registriamo la moltiplicazione delle ruspe. Tutti, da quel giorno, si sentono autorizzati a non rispettare le regole. Noi sorvoliamo le spiagge tutti i giorni con i nostri droni e le immagini che abbiamo raccolto fanno rabbrividire. Abbiamo la fortuna di essere sede di riproduzione di una specie importantissima, un brand di cui tutte le amministrazioni del territorio si fregiano salvo poi, con l’altra mano, consentire questo scempio».
Diventate ormai uno dei simboli della Locride - il 65% delle nidificazioni italiane si registra proprio nella riviera dei gelsomini – le tartarughe marine sono le prime a risentire della forte antropizzazione del litorale. Rettili dal sangue freddo che prediligono quindi le acque più temperate, le tartarughe marine del Mediterraneo sono considerate specie a rischio d’estinzione. Minacciati dalla pesca e dalla presenza sempre maggiore di plastiche in mare, questi animali così fragili possono vivere fino a 50 anni, anche se delle circa 100 uova presenti per nido, solo un decimo di esse riesce a sopravvivere fino all’età adulta. Dopo la schiusa – tutte le uova si aprono, di notte, quasi contemporaneamente – i piccoli di caretta caretta (esserini non più lunghi di 5 centimetri) si servono dei riflessi della luna sul mare per raggiungere l’acqua. E in questi primi momenti di vita che le femmine della specie memorizzano tutta una serie di informazioni che utilizzeranno da adulte per ritornare a riprodursi sulla loro spiaggia natale. Solo nel 2022 sono stati 46 i nidi identificati sulle spiagge calabresi. Una presenza così comune che non è difficile imbattersi in un esemplare che emerge dallo Jonio.
Nell’estate del 2013, a Gioiosa Marina, una femmina adulta provò a nidificare tra gli ombrelloni di uno stabilimento. Disturbata dalla presenza dell’uomo, la tartaruga – che era stata immediatamente protetta e coccolata dai gestori del lido che informarono il centro specializzato di Brancaleone – rimase tra le sdraio per qualche ora per poi spostarsi qualche centinaia di metri più a nord, in una zona meno antropizzata, per deporre le uova. E un paio di anni più tardi, a Caulonia, fu “Giulio”, un vecchio cocker spaniel inglese, ad accorgersi della presenza di una tartaruga che, rimasta imbrigliata in rifiuti di plastica, era comunque riuscita a guadagnare la riva. Furono gli esperti della clinica di Brancaleone a intervenire per salvare l’esemplare.
E sempre a Caulonia, storia di martedì scorso, è stato individuato e messo in sicurezza dagli operatori del Wwf, il primo nido rinvenuto nel 2023. Nido distante non più di 300 metri da una zona della spiaggia fortemente compromessa dall’utilizzo delle ruspe, che con il loro semplice passaggio avrebbero potuto distruggerlo. «Serve una rivoluzione culturale - dice a Lac il professore Antonio Mingozzi, professore al dipartimento di biologia, ecologia e scienze della terra dall’università della Calabria e fino al 2015, data della sua inaspettata chiusura, a capo del progetto “Tartacare” dell’Unical - se non fermiamo l’uso dei mezzi meccanici rischiamo che le nostre diventino come quelle della riviera adriatica: non più spiagge, ma semplici distese di sabbia. Una spiaggia non alterata è uno spettacolo unico, non possiamo più permettere queste devastazioni. L’introduzione delle sanzioni rappresenta un passo straordinario, ma già da qualche tempo non siamo più all’anno zero e le cose, sotto diverse aspetti, sono migliorate in questi ultimissimi anni». 
I nidi fortunatamente sopravvissuti alle devastazioni estive, sono poi diventati, ennesimo paradosso di questa vicenda, cartine di tornasole per pubblicizzare le meraviglie naturalistiche della zona, con tanto di social di amministratori pubblici ingolfati con recinti di protezione e dirette di schiuse. Una pubblicità del tutto gratuita e probabilmente molto più attrattiva della sontuose campagne finanziate dalla Regione. E pazienza se poi sugli stessi siti che hanno ospitato le covate – e in cui, negli anni e per tutta la sua vita, lo stesso animale tornerà a nidificare – ci passano sopra le ruspe.