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Ospedali di carta: a Palmi, Rossano e Vibo solo progetti e promesse tradite

Ospedali di carta: a Palmi, Rossano e Vibo solo progetti e promesse tradite
di Cristina Iannuzzi. Agostino Pantano, Mariassunta Veneziano
Coordinamento editoriale: Altomonte, De Girolamo, Rende, Serra
Video editing: Vallone e Gigliotti

Sono decenni che i nuovi presidi sanitari vengono annunciati in pompa magna come cosa fatta ma finora solo nella Sibaritide si vede almeno lo scheletro di cemento armato. Altrove soltanto terreni incolti e cantieri chiusi. Troppo poco per crederci davvero. Eppure porrebbero consentire la realizzazione di oltre mille posti letto. Ecco la loro storia, tra scandali, continui stop e inaugurazioni fasulle

Tre ospedali - a Vibo, Palmi e Rossano - per un totale di oltre mille posti letto e un investimento complessivo di circa mezzo miliardo. Ma sono solo numeri sulla carta. La Calabria parla dei suoi nuovi ospedali addirittura dal secolo scorso ma ancora aspetta.
Soltanto del nosocomio di Corigliano-Rossano (ma quando fu progettato i Comuni erano ancora separati) si vede almeno lo scheletro edilizio: pilastri, tondini di ferro e cemento a vista e niente più. Per gli atri due non si va al di là della prima pietra simbolica, incastonate e dimenticate. Intanto i calabresi che vivono in quei territori aspettano e, se ne hanno la necessità, cercano cure e assistenza altrove, quando possono permetterselo.
Questa è la storia dei tre ospedali fantasma della Calabria, mille volte promessi e ancora lontanissimi dal taglio del nastro ma già con un passato da dimenticare.

Del nuovo ospedale nella Piana di Gioia Tauro c'è solo il nome

A distanza di 15 anni dal solenne annuncio dell’intendimento, dell’ospedale da costruire a Palmi c’è solo il nome o poco più. Si dovrebbe chiamare Flavio Scutellà la struttura per 339 posti letto, in memoria cioè di una delle vittime di malasanità la cui morte suscitò, nel 2007 e per diversi anni, un’ondata di sdegno in tutta la regione fino a indurre il governo Prodi a dichiarare lo stato di emergenza per affidare alla Protezione civile il compito di edificare, con urgenza più somma delle altre volte, 4 nosocomi in Calabria.

«Non ci sono parole per descrivere il sentimento che provo oggi, dire rabbia è dire poco», si lascia andare Alfonso Scutellà commentando la beffa che le istituzioni continuano a riservargli. Eppure, il padre del bambino di Scido morto per la triplice inadeguatezza del sistema territorio-ospedale-trasporto d’urgenza, non è certo un tipo remissivo. Fondò l’associazione “I nostri Angeli” e continua a dire la sua. «La politica è brava a indignarsi – commenta amaro - ma neanche quando fa toccare a noi cittadini il fondo, ci aiuta a risalire la china». 
Dalla desolazione emotiva, al deserto del luogo che chiunque arrivi nell’area dell’ospedale promesso può constatare. In un giorno infrasettimanale qualunque non si vedono ancora mezzi all’opera, nell’area situata nei pressi dello svincolo autostradale, ricavata espropriando – fra mille polemiche sollevate da chi non lo voleva qui l’edificio - la florida azienda agricola di una scuola Professionale.

Fino a 15 giorni fa, era completamente aperto il perimetro segnato da una recinzione ammalorata, messa tante stagioni politiche fa per segnare un territorio che però è rimasto degradato e senza trasformare la promessa in fatto concreto.

Oggi, almeno, c’è un cancello sul cui dorso esterno campeggia una segnaletica fresca di stampa, vi si legge dell’avvio dei lavori – commissionati da Terna, il colosso delle infrastrutture elettriche nazionali – per costruire la “Variante agli elettrodotti… per consentire la risoluzione dell’interferenza con il costruendo ospedale della Piana di Gioia Tauro”.

Tradotto: ci sono una manciata di tralicci mastodontici che se prima non si rimuovono, interrando i cavi, vi potete scordare che l’impresa che deve costruire l’ospedale possa ficcare un chiodo.

«Meglio tardi che mai - sbotta la presidente dell’associazione ProSalus, Stefania Marino – parliamo di un intervento che Terna era pronta a fare già nel 2017, proponendo una convenzione in tal senso per un contratto che la Regione si trovò a firmare solo 3 anni dopo».
I tralicci nel bel mezzo del futuro cantiere non sono che l’ultimo, visibile, intralcio di una lunga serie. Negli anni si è creato un beffardo effetto domino tra i ritardi amministrativi, e ogni attore della vicenda ha scaricato su altri le colpe intorno ad una scelta localizzativa che definire sfortunata è poco: l’ospedale lo si voleva costruire in una zona più baricentrica, in quel di Rizziconi, ma prevalse il servizio che esso avrebbe potuto assicurare ai centri della costa, perché da Bagnara in poi qui bisogna arrivare a Reggio Calabria per avere una risposta all’altezza.
Perfino la Sovrintendenza – dopo il ritrovamento dei resti di un acquedotto di epoca romana – ordinò altri scavi per escludere il valore vincolante delle scoperte, bloccando gli altri enti. 
«Sicuramente i ritardi fin qui accumulati derivano da una concomitanza di cause. In passato c’è stata una politica a lungo indifferente al progetto, poi una grossolana incapacità della burocrazia e un forte campanilismo, perché non è mancato chi ha fatto di tutto per ostacolare questo progetto e immaginare altre ipotesi localizzative».

Stefania Marino
Con l’ospedale che non c’è, qui come a Vibo Valentia e a Corigliano, anche il civismo calabrese si guarda allo specchio. ProSalus, che periodicamente riempie le piazze con le sue proteste, è al quinto accesso agli atti e conosce, coordinandosi con altri comitati di lotta sorti nella Piana regina, meglio di tutti la via crucis di questo iter.

«Una situazione catastrofica», la definisce il consigliere regionale Giuseppe Mattiani che c’era quando Terna – il 20 aprile scorso - ha recintato l’area per iniziare la rimozione della più macroscopica delle interferenze. Il politico di Forza Italia è di Palmi e con il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, condivide il partito e i risultati di questa che definisce «una nuova fase».

Nell’ordine, i via libera della Sovrintendenza, dell’Arpacal e dei ministeri competenti sono stati incamerati, altrimenti Terna non si poteva spingere a fissare nell’agosto prossimo la data ultima per rimuovere l’ostacolo.

«Con questo nuovo piglio, lavorando insieme e credendo nel dialogo, sono convinto che porteremo a termine l’opera», guarda il bicchiere mezzo pieno, Mattiani.
Difficile dire se dopo tutti questi anni, questa volta, “l’interferenza elettrica” da rimuovere sarà quella risolutiva per consentire alla “D’Agostino costruzioni generali” di realizzare l’ospedale che qui vogliono aggiuntivo e non sostitutivo dello spoke di Polistena.

«Ci siamo accorti – riprende il filo con amarezza la presidente Marino – che il quadro finanziario dell’opera è peggiorato, infatti è saltata la scadenza del marzo scorso che vincolava alla presentazione del Piano economico, ora la Regione ha dato una proroga fino a giugno per consentire al general contractor di dire quanto prevede di spendere e con quali finalità operative». Ci sono vincolati 150milioni per erigere la struttura e il perché si allunghino ulteriormente i tempi per avere il progetto esecutivo, e poi aprire il cantiere, sembra anche in questo caso frutto dell’impennata dei prezzi delle materie prime che l’economia italiana patisce.

Insomma, piove sul bagnato e sempre più sembra una corsa del gambero, questa storia di sanità negata che di tanto in tanto anche la stampa nazionale descrive come il più gigantesco esempio di una Calabria che, pur essendo ancora commissariata e avendo le risorse, fin qui non ha saputo fare.
La manifestazione organizzata a Palmi nel 2019 in favore della costruzione del nuovo ospedale 
«La Regione ci ha sempre detto che i soldi non sono un problema – chiarisce Marino – ma certo i nuovi ritardi per la consegna degli elaborati progettuali ci fanno venire più di un dubbio».

In realtà, il contraente un progetto definitivo l’aveva pure predisposto, nel 2018, e vidimato positivamente dalla Conferenza dei servizi 3 anni dopo: inutilmente, visto che le “interferenze” hanno bloccato l’apertura del cantiere. Prima la pandemia e poi la guerra hanno modificato il quadro economico, e ora si spera che nel deserto del suo mancato ospedale Palmi non debba fare i conti con altre “piaghe”.

«Mi sento continuamente con i tecnici della ditta che deve costruire l’ospedale e anche loro hanno urgenza di recuperare i ritardi», dice il sindaco Giuseppe Ranuccio rispetto alla coda di nuovi dubbi alimentati in questi giorni. Il primo cittadino, che da sinistra guida una compagine civica e senza ideologia di parte, è noto per le sue critiche anche dure al presidente Occhiuto ma, sulla costruzione dell’ospedale, si dice «ottimista, questa volta». Il commissario di recente ha ricevuto alla Cittadella lui e una delegazione della ProSalus, dunque il giovane amministratore ha anche il polso dei retroscena e delle impressioni che si porta dietro questa vicenda tortuosa.
«Non c’è un motivo per cui questa struttura strategica non si debba fare: i soldi c’erano e ci sono, l’impresa è solida ed ho constatato come non ci siano interessi contrari a fare l’opera. Certo, va compreso anche lo scetticismo rispetto ad un iter che ha dovuto superare cavilli straordinari ma ora finalmente tutto sta andando nella direzione giusta».

Giuseppe Ranuccio
Vogliono remare tutti dalla stessa parte, a Palmi, del resto questa sarà l’estate della Varia – la grande festa in cui i devoti di ogni estrazione sociale tirano un enorme carro votivo, simboleggiando la forza della concordia – ma questo clima nuovo non spegne le voci allarmate.

«Continueremo a vigilare», conclude la presidente Marino mentre Alfonso Scutellà non vuole che finisca tutto in cavalleria. «Dobbiamo vederci in questi giorni – è il suo invito al cronista che precetta per altre dichiarazioni – dobbiamo tenere accesi i riflettori perché nella Piana di Gioia Tauro si continua a morire di malasanità e, purtroppo, la tragedia di mio figlio non ha insegnato nulla».

Il padre di Flavio, presidente di una associazione che raccoglie i famigliari di vittime, si riferisce ai sospetti generati dal decesso di un ragazzo di Molochio, ma questa – come la protesta che ad Oppido Mamertina è in corso dal 28 febbraio e come l’ansia che cresce per il post impiego a termine dei medici cubani nell’ospedale di Polistena – è un’altra (brutta) storia.  

Ospedale della Sibaritide: «Ci siamo, è fatta». Anzi, no

Nella prima immagine il progetto del nuovo ospedale della Sibaritide, nella seconda il cantiere
Le previsioni del presidente della Regione Roberto Occhiuto erano state ottimistiche, ammesso che sia lecito utilizzare questo termine per un iter avviato ormai quasi vent’anni fa: fine lavori a dicembre 2023. Ma il termine è già slittato di altri due anni nella mancanza di stupore generale forgiata dalle fatiche di un percorso che di slittamenti ne ha visti fin troppi.

Il contratto di concessione viene sottoscritto a settembre 2014 tra la Regione Calabria, l’Asp di Cosenza e la “Ospedale della Sibaritide Società consortile per Azioni”, costituita dal raggruppamento temporaneo di imprese aggiudicatario Tecnis-Cogiatech. Valore: più di 143 milioni di euro per la realizzazione di una struttura da 376 posti letto. Ma i problemi arrivano subito. A novembre 2015, la Tecnis risulta infatti destinataria di un provvedimento interdittivo della Prefettura di Catania e un mese dopo è sottoposta a commissariamento.

Vicenda, questa, che blocca la sottoscrizione del protocollo d’intesa per la legalità – per contratto propedeutico all’avvio della progettazione – tra la Regione Calabria, l’Asp di Cosenza, il concessionario e la Prefettura di Cosenza. Protocollo che è poi sottoscritto ad aprile 2016, in seguito alla revoca dell’interdittiva antimafia.
Il progetto definitivo dell’ospedale della Sibaritide viene quindi consegnato alla Regione nel settembre 2016 e nell’ottobre successivo il rup indice la conferenza di servizi che conclude solo a giugno 2017. A questo punto, tutto sembra prendere la strada giusta: a luglio viene approvato il progetto definitivo, a novembre quello esecutivo stralcio dei lavori prioritari, che prevede: pulizia dell’area, bonifica dagli ordigni bellici, cantierizzazione, recinzione dell’area ospedaliera, movimentazione delle terre, operazioni propedeutiche all’avvio dei lavori strutturali. Si parte a gennaio 2018 e a dicembre dello stesso anno la fase preparatoria si conclude
La macchina sembra essersi messa definitivamente in moto e la Sibaritide, più abituata a perdere che a ottenere, comincia a intravedere la luce in fondo al tunnel. Salvo poi restare bloccata proprio al centro del tunnel e costretta a guardare quella luce da lontano. A maggio 2019, infatti, con decreto del rup viene approvato il progetto esecutivo del nuovo ospedale: oltre 2000 elaborati pronti a passare dalla carta al cemento, dall’immaginazione alla realtà. Ma qui arriva l’ennesimo stop. A frenare la corsa che sembrava finalmente partita sono i problemi finanziari della Tecnis, che si trova così costretta a lasciare il campo, mettendo in vendita il ramo d’azienda “presidi ospedalieri” che comprende le concessioni di progettazione, realizzazione e gestione dei nuovi ospedali della Piana di Gioia Tauro e della Sibaritide.

La cessione alla Società D’Agostino Angelo costruzioni generali Srl arriva a compimento a fine ottobre 2019. Superato l’ostacolo, il cronoprogramma sembra adesso pronto a ripartire e il 3 novembre 2020 si può festeggiare la posa della prima – vera – pietra. A maggio 2022, durante un sopralluogo nel cantiere, un «molto soddisfatto» presidente della Regione Roberto Occhiuto non mostra tentennamenti: «Entro fine anno ci sarà la struttura». E poi: «La conclusione dell’opera è prevista per dicembre 2023. Avremo finalmente un ospedale all’avanguardia».

La fine del 2022 arriva e, anche se i lavori strutturali sono a buon punto, c’è ancora fare. Ma si pensa a una consegna nelle prime settimane del 2023, un termine che consente comunque di mantenere la previsione di conclusione dei lavori entro quest’anno. Ma. Ancora una volta, ma.

In mezzo a questa storia di rinvii e pause forzate ci si mettono pure i rincari delle materie prime. E i soldi inizialmente previsti non bastano più. Così la nuova società concessionaria chiede una rimodulazione del progetto e la deadline scivola via lontano dall’anno in corso.
 «Il cronoprogramma relativo ai nuovi ospedali della Sibaritide, di Vibo Valentia e della Piana di Gioia Tauro prevede che siano consegnati tra il 2025 e il 2027». Ad annunciarlo, ai primi di aprile, è la consigliera regionale di Forza Italia Pasqualina Straface, al termine di una riunione della terza commissione regionale Sanità nella quale è audito Pasquale Gidaro, dirigente del settore Edilizia sanitaria e investimenti tecnologici della Regione Calabria. Tra i tre, quello in fase più avanzata è l’ospedale della Sibaritide, che quindi dovrà essere il primo a essere completato. Tra almeno altri due anni però, nel 2025 appunto.
«Gli uffici – sottolinea Straface – hanno valutato un incremento di costi, rispetto al quadro economico del 2014, di circa 42 milioni di euro. In ogni caso, la Regione ha già messo il concessionario nelle condizioni di poter operare al meglio, erogando già un’anticipazione per un importo di 17 milioni».

Allo stesso tempo, viene emanato un ordine di servizio per una variante al progetto esecutivo per l’adeguamento della struttura alla normativa anti Covid, che prevede tra le altre cose la separazione dei percorsi nel pronto soccorso e il potenziamento dei reparti di terapia intensiva e sub intensiva, come spiega la consigliera forzista in occasione della stessa riunione. «Il progetto della variante dovrà essere presentato entro il 29 maggio 2023 ed entro fine luglio, passati i tempi tecnici per acquisire i pareri dell’Asp e le eventuali prescrizioni dei vigili del fuoco, potranno ripartire i lavori a pieno regime. Contestualmente, partirà l’operazione relativa al riequilibrio del piano economico-finanziario per effetto dei maggiori costi dei materiali e delle varianti».

Pronti a ripartire, insomma. Di nuovo. Con l’energia dei «nuovi impulsi» che puntualmente arrivano e vorrebbero avere il potere di cancellare tutta la stanchezza dell’attesa. Come se vent’anni non fossero mai passati. 

Ospedale di Vibo: la beffa della prima pietra più vecchia d'Italia

È l’ospedale delle due prime pietre. Dei cantieri aperti. Delle inchieste giudiziarie. Degli attentati. Degli impegni presi e puntualmente disattesi. Era il 2004 quando in località Cocari, nel corso di una cerimonia in pompa magna, veniva posta la prima pietra per la realizzazione del nuovo ospedale di Vibo Valentia.

Un anno dopo, l’area di cantiere fu messa sotto sequestro dall’autorità giudiziaria, che indagava su una torbida vicenda di tangenti, malapolitica, massoneria deviata. E quella prima pietra, prescritte le imputazioni, revocati e riappaltati i lavori, rielaborato il progetto originario e venuti alla luce i gravi rischi idrogeologici incombenti sull’area individuata per l’edificazione del presidio, sarebbe rimasta sola a lungo.

Diciotto anni dopo i sigilli, vissuti altri scandali giudiziari, del nuovo ospedale di Vibo Valentia esiste solo il cantiere.

L’incredibile e grottesca cronologia degli annunci dei vari politici che si sono susseguiti negli anni: dal governatore Scopelliti al sindaco Limardo

Così l’avamposto sanitario per la tutela del diritto alla salute resta oggi il vecchio e fatiscente Jazzolino, sempre più spoglio di medici, di reparti. Un presidio che, nonostante la strenua resistenza dei suoi medici, a causa della carenza di anestesisti, è stato più volte costretto a rallentare le attività operatorie, assicurando in alcuni periodi solo le urgenze. Pochi medici, talvolta costretti a turni massacranti, spesso oggettivamente impossibilitati a dare riscontro alle esigenze dell’utenza, talvolta vittime di minacce ed aggressioni: dal Pronto soccorso alle Malattie infettive, nessuno escluso.

E sul territorio, da Tropea a Serra San Bruno, passando per Soriano, giganti di cemento armato vengono limitati alle attività ambulatoriali e day hospital.  
Il nuovo ospedale, in questo contesto, è un progetto da 190 milioni di euro che non riesce a vedere la luce, nonostante l’impegno del presidente della regione Calabria Roberto Occhiuto che sin dal suo insediamento ha dato priorità alla costruzione dei nuovi nosocomi. L’ultima comunicazione del governatore risale a una settimana fa, quando dall’aula di Palazzo Campanella ha assicurato: «Abbiamo risolto tutti gli impedimenti che ostacolavano la consegna dei lavori. Manca soltanto un passaggio, che non riguarda la Regione, ma la Procura della Repubblica, perché - ha ricordato - i lavori necessitano dell’utilizzo di Fosso Calzone che, allo stato, è ancora sotto sequestro da parte dell'autorità giudiziaria».

Dunque un impedimento amministrativo, come conferma pure il commissario straordinario dell’Asp di Vibo Valentia Giuseppe Giuliano, il quale però azzarda una data: «Entro la seconda decade di maggio - dice - partiranno i lavori». Dunque, il 15 maggio? «Sì», conferma sicuro. Restano, allo stato, problemi amministrativi che riguardano un... tombino. Già. L’intoppo questa volta sarebbe determinato da un apparente inezia: i lavori spettano alla Provincia. Solo ad opera compiuta, la Procura potrà dissequestrare il Fosso Calzone.
«Ho parlato proprio oggi con gli uffici della Regione che mi hanno garantito l’avvio del cantiere intorno alla seconda metà di maggio», chiarisce il commissario. «I lavori saranno eseguiti interamente da una ditta e dovrebbero terminare in un triennio». 
Appare fiducioso il numero uno della sanità vibonese. Il cavillo, questa volta, sembra facilmente risolvibile. E poi finalmente Vibo Valentia avrà il tanto agognato ospedale, che «sarà all’avanguardia» spiega Giuliano mentre ringrazia Regione e Procura per avere contribuito a mandare avanti un progetto indispensabile per il Vibonese.

«La Regione ha dato la disponibilità a migliorare il progetto iniziale per un valore di 19 milioni di euro. Un’integrazione che ha un valore significativo. Rispetto al progetto iniziale, infatti, sarà realizzata una piattaforma per l’elisoccorso h24 e nuovi ambulatori, compreso il laboratorio di Emodinamica. Vibo Valentia avrà un ospedale all'avanguardia e sarà quindi più attrattivo anche per il personale sanitario». Il commissario è dunque certo che il problema della carenza di personale si risolverà con il nuovo ospedale. «Posso affermare – conclude Giuseppe Giuliano – che siamo ormai agli sgoccioli». Mentre la pazienza dei cittadini si è esaurita da un pezzo.