LONG FORM

Un Ponte di chiacchiere, oltre cinquant’anni di progetti e miliardi affondati nello Stretto

Un Ponte di chiacchiere
di Mariassunta Veneziano
Coordinamento editoriale: Altomonte, De Girolamo, Rende, Serra
Video editing: Vallone
Chilometri di promesse e proclami disseminati nel corso di più di mezzo secolo, parole e progetti che si sono rincorsi senza approdare a nulla di concreto. È il ponte sullo stretto di Messina, una megastruttura divenuta mitologica che dal 1959 ha attraversato la storia d’Italia fino ai nostri giorni. Ecco la storia
Di qui sono passati presidenti del Consiglio e ministri, un console romano e un re, ingegneri, esperti, studiosi e persino zio Paperone. È il più lungo ponte del mondo costruito sulle parole e forse anche il più antico. Chilometri di promesse e proclami che si snodano negli anni, di progetti presentati e approvati e rivisti, messi nero su bianco ma mai pietra su pietra. La definizione più appropriata la dà forse il professor Aurelio Angelini, docente di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio, nel titolo del suo volume “Il mitico Ponte sullo Stretto di Messina” (edizioni Franco Angeli, 2007). Mitico, appunto.

Dal ponte sullo Stretto per gli elefanti al tunnel sottomarino

«Narra lo storico Strabone – si legge nel libro – che il primo ad avere realizzato un ponte, seppure provvisorio, per l’attraversamento dello Stretto di Messina fu il console romano Lucio Cecilio Metello nel 250 a.C., al fine di trasferire in Continente 104 elefanti catturati dalle legioni romane ad Asdrubale nella battaglia di Palermo. Secondo Strabone, Lucio Cecilio Metello “radunate a Messina un gran numero di botti vuote le ha fatte disporre in linea sul mare legate a due a due in maniera che non potessero toccarsi o urtarsi. Sulle botti formò un passaggio di tavole coperte da terra e da altre materie e fissò parapetti di legno ai lati affinché gli elefanti non avessero a cascare in mare”».
Si tratta, finora, dell’unico “ponte” sullo Stretto mai realizzato. Anni dopo, nel 1840, Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, commissionò degli studi per valutarne la fattibilità ma fu scoraggiato, pare, dai costi.
Si bloccò lì il tentativo, ma non l’idea, che invece ha continuato a viaggiare nel tempo. Ed eccola, di nuovo, dopo l’Unità d’Italia. Nel 1866 il ministro dei Lavori pubblici Stefano Jacini incaricò l’ingegnere napoletano Alfredo Cottrau di analizzare le possibilità di costruire il ponte. Che però, ancora una volta, rimase confinato nel terreno del mito. Un’opera impossibile per Cottrau, che così ebbe a spiegare quell’impossibilità: «Nello Stretto di Messina vi sono tali profondità di acque e correnti così impetuose da rendere quasi materialmente impossibile – a meno di spese colossali e favolose – la costruzione dei piloni o sostegni dell’impalcatura», senza tralasciare l’«azione dei venti».

Nel frattempo fa la sua comparsa in questa storia l’ipotesi di un attraversamento subacqueo. Fu l’ingegner Carlo Alberto Navone a presentare, nel 1870, il progetto di un tunnel con profondità massima di 170 metri sotto il livello del mare.

Ponte sullo Stretto, i nuovi progetti dal Dopoguerra agli anni Sessanta

Altri progetti fecero capolino e poi l’idea venne abbandonata fino al primo dopoguerra, quando nuovi studi e ricerche sfociarono ancora una volta nel nulla. Ma è nel secondo dopoguerra che la questione di un attraversamento stabile dello Stretto torna prepotente, complice anche la stampa che comincia a dare ampio risalto alle proposte avanzate. A dare il la al grande dibattito pubblico è un articolo della rivista “Tempo” del 1950 dal titolo “Tra Sicilia e Calabria il ponte più lungo del mondo”.

È proprio negli anni ’50 che si costituisce tra le maggiori imprese di costruzioni italiane il “Gruppo Ponte di Messina spa”, antesignano della “Stretto di Messina spa”, società concessionaria che nel 1981 assumerà la competenza esclusiva della materia. Ci arriveremo tra un po’, intanto restiamo ancora nelle puntate precedenti per aggiungere altri due elementi degni di nota.
Il primo lo è per la sua particolarità. Nella selva di progetti di attraversamenti aerei e sottomarini spunta la proposta di un istmo artificiale per collegare le due coste: 70 milioni di metri cubi di materiale per 3336 metri di lunghezza. A presentarla è l’ingegnere Nino Del Bosco e il costo viene calcolato in 65 miliardi di lire. Siamo nei primi anni ’50, inutile dire che ne è stato di quest’idea. 
L’altro porta la data del 1969, quando il Ministero dei Lavori Pubblici bandisce un “Concorso internazionale di idee” al quale vengono presentati 143 progetti provenienti, oltre che dall’Italia, da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Svezia, Argentina e Somalia. Tra i membri della commissione giudicatrice compare anche Riccardo Morandi, l’ingegnere che aveva progettato – tra gli altri – il tristemente famoso viadotto Polcevera di Genova meglio noto come, appunto, Ponte Morandi. Dodici in tutto i premi assegnati.

La società “Stretto di Messina” e il walzer degli annunci

Arriviamo, così, ai tempi moderni. Nel 1981 si concretizza la creazione della società concessionaria Stretto di Messina spa, autorizzata dieci anni prima con la legge 1158/71 dell’allora governo Colombo. All’interno ci sono Italsat, Iri, Ferrovie dello Stato, Anas e le due Regioni Sicilia e Calabria.

Da questo momento l’idea del Ponte comincerà a tornare ciclicamente a ogni “cambio d’aria” nei palazzi romani e sembrerà sempre a un passo dal diventare concreta. Nel 1982 il ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno, il socialista Claudio Signorile, annuncia una realizzazione in tempi brevi. In tempi brevi, però, arriva solo un’altra dichiarazione ancora più “di peso”.

«Uscito dalla fase delle idee per entrare in quella della concreta realizzazione…». Così esordisce, nel 1985, un articolo del Corriere della Sera che riporta l’annuncio dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi: «Tempo previsto per l’opera, dieci anni». Sì, dieci: «Ultimazione entro il 1995-1996; certamente prima del Duemila». Certamente qualcosa dev’essere andato storto. E questo nonostante i buoni propositi e le cautele adottate per quella che Craxi definisce «un’opera da primato mondiale che attirerà su di noi l’attenzione di tutti i Paesi civili»: «Per evitare le solite lungaggini, ritardi e lentezze burocratiche di tutte le opere pubbliche saranno attribuiti al presidente del Consiglio (che li eserciterà tramite un Alto Commissario) i poteri sostitutivi nei riguardi di amministrazioni, enti ecc. inadempienti».
Nel 1986 la società Stretto di Messina presenta un nuovo studio di fattibilità. «L’allora presidente dell’Iri Romano Prodi – riporta il professor Angelini nel suo libro – affermava che il progetto del ponte era una priorità e che i lavori per la sua costruzione sarebbero cominciati al più presto».

Nel 1988 la Stretto di Messina presentò tre proposte: un ponte sospeso a campata unica, un tunnel sommerso agganciato al fondo marino e una galleria posta sotto al fondo marino. A spuntarla è la prima delle tre soluzioni: «Un ponte sospeso a campata unica di 3300 metri sulla direttrice Cannitello-Ganzirri, con un franco di 80 metri dall’impalcato, a tre corsie più emergenza per ogni direzione con al centro due binari, più due corsie di emergenza, al costo tecnico presumibile di 5.400 miliardi compresi gli accessi viari di 18 metri e ferroviari di 19 Km, rendendo passante la stazione FS di Messina 8, il tutto eseguibile in circa 8 anni».

Nel 1992 arriva il progetto preliminare definitivo: una sola campata sorretta da due torri alte 376 metri ancorate attraverso cavi in acciaio a blocchi in calcestruzzo interrati, impalcato largo 60 metri e lungo 3660. Il progetto viene approvato dal Consiglio Superiore dei lavori pubblici nell’ottobre 1997.

Ponte sullo Stretto, il fronte del No e quello del Sì

Parallelamente, comincia a organizzarsi il fronte del No le cui ragioni ruotano soprattutto attorno alle conseguenze ambientali di un’opera del genere su un territorio caratterizzato da un paesaggio e da un ecosistema unici.
«Si trattava di considerazioni – scrive il professor Angelini – che, lungi dal poter essere considerate mere valutazioni di “detrattori a priori” del ponte, andavano inevitabilmente prese in considerazione per portare a compimento una valutazione seria e cosciente sul progetto di tale infrastruttura sotto molteplici aspetti tra loro interrelati: il fattore ecologico-ambientale, il fattore socioeconomico, il fattore culturale e, non ultimi, problemi politici e di diritto che andavano – e vanno – ben al di là di una legge del 1971».

Nel 1998 Verdi, Legambiente e Wwf costituiscono il comitato “Tra Scilla e Cariddi” che appunto, lungi da un no aprioristico all’opera, produce studi, ricerche e documenti sulla base dei quali lancia un appello all’Unesco per l’inserimento dello Stretto di Messina tra i Patrimoni dell’umanità.
Il progetto di costruzione del ponte tra Scilla e Cariddi rappresenterebbe la cancellazione fisica dell’ecosistema dello stretto, già attualmente fortemente compromesso. Non si tratterebbe soltanto di un irreversibile danno ambientale, ma della cancellazione delle basi biologiche e fisiche di un patrimonio culturale antichissimo
Era questo uno dei passaggi dell’appello, in cui si sottolineava la necessità di cancellazione definitiva del progetto del Ponte: «Al contrario sarebbe cancellata la memoria del tratto di mare tra Scilla e Cariddi».
Ragioni, queste, ribadite nel libro-studio pubblicato nel 2002 dal titolo “Il ponte insostenibile. L’impatto ambientale del manufatto di attraversamento stabile dello Stretto di Messina” (Alinea Editrice). E in tante manifestazioni organizzate negli anni dal Movimento No Ponte.
Patrimonio intangibile per alcuni, territorio a cui mettere mano prima possibile per i tanti che si avvicendano alla guida del Paese: lo Stretto di Messina è da sempre conteso tra chi lo vede come scrigno di storia, cultura e ricchezze naturali e chi come una fastidiosa interruzione di percorso a cui ovviare al più presto. Anche se si tratta di un “più presto” costantemente di là da venire.
Cambiano i governi e il Ponte è sempre lì, buono per ogni campagna elettorale o per marcare gli innumerevoli “cambi di rotta” e il decisionismo dei vari governi “del fare”.

Il Duemila evocato da Craxi arriva e «certamente» dell’«opera da primato mondiale» non c’è traccia. C’è traccia, però, di un incrollabile interesse a realizzarla. Opera simbolo del programma del secondo governo Berlusconi nel 2001, durante il terzo governo Berlusconi nel 2005 sembra a un passo dall’essere realizzata con l’aggiudicazione della gara d’appalto da parte dell’associazione temporanea di imprese Eurolink, capeggiata da Impregilo. Ma è a questo punto della storia che entra in scena l’ospite, da più parti, indesiderato: la magistratura. Prima con un’inchiesta sulla gara e poi con la relazione semestrale della Dia nella quale si leggeva di una Cosa Nostra molto impegnata «a rafforzare la propria maglia invasiva con interventi volti a tentare di interferire anche sulla realizzazione di grandi opere di interesse strategico nazionale, quale ad esempio il Ponte sullo Stretto».

Alla luce (anche) di tutto questo, il 22 gennaio 2006 migliaia di persone invadono Messina al grido di “No Tav, no Mose, no Ponte”. Ma il battaglione del sì va avanti nonostante tutto e tutti e il 27 marzo 2006 viene annunciata la firma del contratto tra la Stretto di Messina e Impregilo: valore 3,9 miliardi di euro e tempi stabiliti in 10 mesi per la progettazione esecutiva e 5 anni per la costruzione dell’opera. Mancano, però, pochi giorni alle elezioni che avrebbero sancito un cambio di colore al Governo: esce il centrodestra di Berlusconi, entra il centrosinistra guidato da Romano Prodi, che si affretta a depennare il ponte dall’elenco delle priorità. A ottobre di quell’anno passa alla Camera la risoluzione che mette – almeno temporaneamente – una pietra sopra alla questione.

Un anno dopo, Prodi annuncia la chiusura della Stretto di Messina e lo scioglimento del contratto. Sotto accusa ci sono anche i soldi sperperati durante il quinquennio 2002-2006: 21,3 milioni di euro solo per le consulenze, 28,8 milioni per il personale, passato negli anni da 36 a 102 unità. L’operazione viene però fermata per evitare di esporre il Governo a esose penali.
Le carte in tavola cambiano nuovamente nel 2008, con la caduta del governo Prodi e il ritorno di Berlusconi. E del Ponte, naturalmente. Per la cui realizzazione viene dettata la nuova tabella di marcia: inizio lavori nel 2010, fine nel 2016. Il progetto preliminare viene presentato al pubblico in un convegno organizzato a Varapodio a gennaio 2010. Intanto, a fine 2009, parte a Cannitello, frazione di Villa San Giovanni, il cantiere per la deviazione della linea ferroviaria tirrenica, propedeutico alla realizzazione del Ponte: l’opera viene completata nell’aprile 2012.

Il 29 luglio 2011 il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli annuncia l'avvenuta approvazione del progetto definitivo da parte del consiglio di amministrazione della Stretto di Messina. 
Ma neanche due anni dopo, il 15 aprile 2013, la società viene posta in liquidazione con decreto dell’allora presidente del Consiglio Mario Monti.

Intanto, nel walzer di dichiarazioni, si inserisce anche Angelino Alfano, nel 2015 ministro dell’Interno del Governo Renzi, durante la presentazione del suo “piano di rilancio del Mezzogiorno” allo Svimez: «Non è possibile che l’alta velocità arrivi fino a Reggio Calabria e poi ci si debba “tuffare” nello Stretto, per poi ricominciare a viaggiare a… bassa velocità. Questo è un progetto che vogliamo rilanciare». Il progetto a cui fa riferimento è quello del Ponte, ma anche qui la storia ci dice com’è finita: Alfano non è riuscito a rilanciare il progetto né se stesso, dopo la fine dell’esperienza negli esecutivi a trazione Pd.

E a proposito di Matteo Renzi, nel turbinio di parole sul Ponte, oltre alle dichiarazioni a favore della costruzione dell’opera durante la sua presidenza del Consiglio, ci sono anche quelle che nel 2020 compaiono, nero su bianco, tra le pagine del suo libro “La mossa del cavallo”: «Per vincere la sfida della povertà serve più il ponte sullo Stretto che il reddito di emergenza».

Un ardito punto di vista che non si discosta granché da quello del nuovo Governo Meloni, all’interno del quale un altro Matteo – Salvini, stavolta – all’indomani della sua nomina a ministro delle Infrastrutture ha subito cominciato a scalpitare (a proposito di “mossa del cavallo”) per la realizzazione – e stavolta, come sempre, per davvero – del Ponte sullo Stretto.  

Vita, morte e rinascita della Stretto di Messina spa

Come primo passo concreto, viene riattivata la Stretto di Messina. Società che dal giorno della sua nascita a quello della liquidazione ha già bruciato quasi 960 milioni di euro, secondo quanto riporta una relazione della Corte dei conti del 2017. Un capitolo che non si è chiuso neanche dopo il 2013: «L’onere annuo per il mantenimento in vita della concessionaria, sceso sotto i due milioni di euro solo nel 2015, risulta ancora notevole», si legge nello stesso documento. Soldi che di anno in anno hanno continuato a fuoriuscire dalle casse per servizi e forniture e per i compensi del commissario liquidatore Vincenzo Fortunato e del collegio sindacale per un totale di circa 150mila euro.

E a proposito di soldi, è necessario citare il contenzioso da 700 milioni euro con l’ex general contractor Eurolink a cui si aggiungono i 90 milioni richiesti dalla statunitense Parsons Transportations Group, aggiudicataria del bando di “project management consulting”. E ancora, l’indennizzo di 325 milioni di euro chiesto allo Stato dalla Stretto di Messina.

Poi, a un tratto, arriva la finanziaria 2023. Che riesuma la società ormai da dieci anni destinata alla fine e intende mettere una pietra tombale su tutto: da una parte la revoca dello stato di liquidazione, dall’altra «l'integrale rinuncia alle azioni, alle domande e ai giudizi nei confronti delle amministrazioni pubbliche, a completa tacitazione di ogni diritto e pretesa». La società «è altresì autorizzata a definire la rinuncia alle azioni, alle domande e ai giudizi da parte del contraente generale, degli altri soggetti affidatari dei servizi connessi alla realizzazione dell'opera e di tutte le parti in causa nei giudizi pendenti, a definitiva e completa tacitazione di ogni diritto e pretesa, nonché delle ulteriori pretese in futuro azionabili in relazione ai contratti sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge». Scurdammoce o passato, insomma, e andiamo avanti.
Il mio obiettivo è di posare la prima pietra per la costruzione del Ponte di Messina entro due anni. Costa di più non farlo che farlo.

Matteo Salvini, ministro Trasporti e Infrastrutture
Il progetto a cui si guarda è il ponte a campata unica, quello del progetto approvato nel 2011. Con buona pace dell’ipotesi a tre campate ripescata dalla relazione stilata nell’aprile 2021 dal Gruppo di lavoro del Ministero delle Infrastrutture sulle possibili alternative di attraversamento stabile dello Stretto, dove, nelle conclusioni, si legge: «Il GdL ritiene che la soluzione aerea a più campate sia potenzialmente più conveniente di quella a campata unica», scartando al contempo le altre due alternative dei tunnel in alveo e sub alveo.

Sarebbe il più lungo al mondo: 3.300 metri, con una base stradale sospesa sostenuta da cavi d’acciaio e due pilastri posizionati tra Ganzirri (Reggio Calabria) e Punta Pezzo (Messina). Attualmente il record lo detiene il Ponte dei Dardanelli in Turchia, inaugurato a marzo 2022, la cui campata principale è lunga poco più di 2mila metri. 

Ponte sullo Stretto, il rischio sismico

E proprio dalla Turchia arriva una nuova ventata di allarme dopo il disastroso terremoto che ha colpito anche la vicina Siria il 7 febbraio scorso. E se arrivasse pure qua, ci si è chiesti, il Ponte sullo Stretto reggerebbe? Salvini respinge qualsiasi timore legato al rischio sismico, ma più d’uno il problema – legittimamente – se lo pone. Nella già citata relazione del 2021, a pagina 73 si legge: «Dal 1/1/1985 al 26/12/2020, in un cerchio con raggio di 30 km centrato a Messina, sono stati registrati 1138 terremoti di M>2», dati riportati sul sito dell’Ingv.

La memoria corre inevitabilmente alla tragedia del 1908, quando una scossa di magnitudo 7.2 devastò Reggio e Messina. E l’ipotesi di un nuovo evento di questo tipo in una zona notoriamente ad alto rischio sismico è tutt’altro che – parlando di ponte è proprio il caso di dirlo – campata in aria. «Se c’è stato un terremoto del genere nel 1908 non è assurdo pensare che ce ne possa essere un altro nei prossimi 50 anni». Ad affermarlo è Andrea Moccia, geologo e direttore editoriale di Geopop, un’interessante realtà che attraverso video e articoli sul web racconta le scienze in chiave, appunto, pop e alla portata di tutti.
A proposito di Ponte sullo Stretto e terremoti, Moccia parla di una «sfida ingegneristica enorme» perché se è vero che nel mondo esistono altre opere di questo tipo in zone molto sismiche e che hanno già resistito a scosse anche forti, è pur vero che una campata così lunga a tutt’oggi non esiste.

Tra i video di Geopop ce n’è uno che spiega in maniera semplice ma esaustiva la realtà geologica dello Stretto di Messina. «Il territorio siciliano fa parte della placca africana e spinge verso nord-nord ovest. Ma ci sono anche altri movimenti, come quello del mar Tirreno che spinge verso est-nord est», spiega Moccia. Il risultato è che al centro si crea uno “strappo”, «come quando prendo un foglio di carta e tiro da entrambi i lati». 
«Questo strappo, in geologia, è chiamato “zona di estensione” – continua il geologo –. Lo Stretto di Messina è al centro di una zona di estensione». Sotto il fondale marino si trovano infatti delle faglie “estensionali”: «Allontanandosi, queste faglie si riattivano e a ogni riattivazione c’è un terremoto», dice ancora.

Gli aspetti da considerare nell’ipotesi di costruzione di un ponte in quest’area, dunque, sono due e sono strettamente collegati tra loro: l’allontanamento tra Calabria e Sicilia e il rischio sismico.

«Gli ultimi rilevamenti scientifici rivelano che il movimento di apertura dello Stretto è tra 0,5 e 0,8 millimetri all’anno», sottolinea Moccia. Ma la situazione, avverte, è più complessa perché accanto al movimento estensionale (di separazione tra i due territori) ce n’è uno laterale – che li fa «strusciare» – e si aggira tra 0,4 e 1,1 millimetri all’anno. Lo spostamento complessivo sarebbe di un metro in mille anni.
 «Un periodo enorme», evidenzia il direttore di Geopop, che precisa: «Quello di un metro è uno spostamento che l’ingegneria riesce a gestire».

Ma da più parti i dubbi si sollevano. E non solo sulla tenuta del ponte in caso di un forte sisma – sulla quale il gruppo WeBuild (ex Salini-Impregilo, che riunisce le imprese interessate alla costruzione) nel report diffuso di recente non mostra tentennamenti rimarcando i «decenni di attività propedeutiche nel corso dei quali, alle spalle dei dibattiti politici, centinaia di ingegneri, tecnici, professori universitari, ricercatori hanno lavorato per mettere a punto il miglior progetto possibile, in grado di mettere insieme sicurezza, efficienza, minor impatto».
La preoccupazione è anche un’altra: «Se anche il Ponte resistesse ad un forte terremoto, rimarrebbe a collegare due deserti. Non è meglio investire sul risanamento sismico piuttosto che su opere faraoniche e inutili?». A chiederselo, in un’intervista per LaC rilasciata al nostro collega Franco Laratta subito dopo il sisma in Turchia e Siria, è il docente dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria Domenico Marino.
Non si discosta molto da questo pensiero quello di Carlo Tansi, geologo e ricercatore del Cnr: «Premesso che il rischio sismico esiste perché a pochi metri da dove dovrebbe sorgere il ponte passa la faglia che causò il terremoto del 1908, io credo che prima di pensare a costruire quello che sarebbe il ponte a campata unica più lungo del mondo, bisognerebbe preoccuparsi di investire risorse nella messa in sicurezza degli edifici pubblici, altrimenti continueremo a difenderci dal terremoto come abbiamo fatto finora: con gli scongiuri».
E proprio il tema delle risorse è uno di quelli caldi. Lo stesso Salvini, accantonando il rischio sismico, non nega invece che il problema, in questo caso, esiste. «La questione – dice con il suo linguaggio senza fronzoli – è trovare invece i quattrini». Ma al contempo assicura: «Ci stiamo lavorando». Costo previsto: quasi 4 miliardi di euro.

Un problema, questo, che certo non aveva preoccupato zio Paperone quando nel 1982, protagonista della storia di copertina sul numero 1401 di Topolino, decise di partecipare con un suo progetto al concorso indetto dallo Stato italiano. Dopo varie prove l’idea geniale gli venne da un venditore di coralli “speciali”: «Basterà disporre opportunamente i coralli e questi uniranno le due coste con una barriera corallina solida, ecologica e soprattutto economica! I coralli cresceranno da soli e, in caso di terremoti, penseranno da soli a riparare i danni!».
L’affare gli verrà poi soffiato dal nemico di sempre Rockerduck: sarà lui a realizzare il ponte di corallo, ma durerà pochissimo, fatto a pezzi dai turisti in cerca di un souvenir.
Fuori dai fumetti, è Salvini a promettere «l’opera più ecologica della storia». Anche se le incognite – ancora dopo tanti anni di studi e discussioni – rimangono tante. A partire da quei nove milioni e mezzo di metri cubi di materiale da costruzione da smaltire a proposito dei quali, nella relazione del progetto del 2011, si leggeva: «La ricerca si è rivolta, sia in Sicilia che in Calabria, verso siti ubicati in vicinanza dei cantieri, collegabili con la rete viaria, con caratteristiche idonee al deposito definitivo delle terre di scavo, da assoggettare a riqualifica ambientale».

Un nodo non sciolto all’epoca e che, se davvero la posa della prima pietra ci sarà, bisognerà sciogliere. Con un occhio all’ambiente, uno al rischio idrogeologico di una terra fragile e un altro (sì, ce ne vuole un terzo) agli appetiti mafiosi scatenati da certi movimenti forse più ancora che dal ponte in sé.
E poi non resta che attendere il futuro. Ammesso che basti un’unica grande opera avveniristica per farlo arrivare fin quaggiù.