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Pasqua, risorge la Calabria più vera

Pasqua, risorge la Calabria più vera
di Giampaolo Cristoforo, Giusy D'Angelo, Francesca Giofrè
Coordinamento editoriale: De Girolamo, Rende, Serra
Video editing: Vallone

I riti della Settimana santa sono molto di più di una semplice tradizione. Sono l’essenza stessa dell’identità calabrese che in questi giorni viene catalizzata dal sentimento religioso di un intero popolo. Ma non bisogna essere credenti per avvertirne il primato culturale. Dall’Affruntata ai flagellanti, dalla Naca alla ‘Ncrinata, ogni centro ha la sua processione di fede e folklore

Riti che si ripetono ciclicamente con l’avvicinarsi della Pasqua. Tornano secondo schemi precisi, scanditi dal tempo e dalle tradizioni. Un caleidoscopio di eventi suggestivi, carichi di simboli, che mixano fede e cultura popolare. Dalle Affrontate ai Vattienti, dalla Naca al Caracolo. Dal Pollino allo Stretto. Aspetti religiosi uniti a influenze culturali dalle radici antiche che restituiscono, anno dopo anno, il bagaglio identitario di una regione ricchissima. Ecco alcuni dei principali riti che caratterizzano da secoli la Settimana Santa in Calabria.

La processione dei Misteri a Cassano

La passione e morte di Cristo rappresentata per le vie del paese: a Cassano allo Ionio il Venerdì Santo prende così vita la processione dei Misteri. Un tempo dalla durata di ben dieci ore, dalle 9 alle 19 inoltrate, da pochi anni è stata ridotta al solo pomeriggio.
Diciannove le “varette” – statue in cartapesta – che raffigurano i momenti e i personaggi principali della passione e morte di Gesù Cristo. Il loro cammino, concepito come un vero e proprio corteo funebre, viene accompagnato dai “flagellanti” o “disciplini”. Si tratta in genere di persone che per voto o grazia ricevuta vestono un saio bianco completo di cappuccio: c’è chi si batte con un flagello in ferro battuto, chi trascina una pesante catena di ferro, chi fa tutta la processione scalzo. Tra la folla emergono anche le “Addoloratine”, bambine che indossano il vestito a lutto uguale alla Madonna. Il tutto è accompagnato dal suono mesto delle troccole e dai canti popolari, tra cui quello intonato dalle donne del posto e che suona come uno struggente lamento: “Ohi Jesu”.

Il Venerdì santo a Vibo: le Vare e la Desolata

Il Venerdì Santo a Vibo Valentia è scandito da due suggestive processioni, da secoli espressione della commozione popolare per la morte di Gesù. Nel pomeriggio l’Arciconfraternita Maria SS del Rosario e San Giovanni Battista dà vita alla processione delle vare: sei statue, tutte settecentesche e raffiguranti i principali momenti della passione di Cristo, vengono portate a spalla lungo le vie del centro storico. A chiudere il corteo, la Madonna Addolorata e San Giovanni. Il rito si conclude con il rientro in chiesa e la “chiamata dei santi”: il sacerdote chiama sotto al pulpito le statue, per ultima quella di San Giovanni che entra correndo. Di sera, poi, dalla chiesa di San Giuseppe esce in processione la “Desolata”: l’Addolorata, con un pugnale conficcato nel cuore e il volto afflitto per la morte di suo figlio, cammina per le vie della città con il sottofondo delle marce funebre eseguite dalla banda. Tra le melodie caratteristiche, la celebre “Una lagrima sulla tomba di mia madre” di Amedeo Vella.

La schiovazione, Gesù liberato dai chiodi e deposto dalla Croce

La Schiovazione, in dialetto "Schiovazziuoni", racconta il momento in cui Cristo morto viene liberato dai chiodi e deposto dalla croce. Il rito si tiene a Serra San Bruno ed è curato dalla Regia arciconfraternita Maria Santissima dei sette dolori. La preparazione parte il Mercoledì Santo quando le statue della Madonna Addolorata, di San Giovanni e della Maddalena vengono trasferite con una breve processione. In dialetto si dice, “Si scindanu li santi” dalla chiesa Addolorata, dove vengono custoditi, alla chiesa matrice. A destra dell’altare viene preparato un palco, coperto. A fine celebrazione del Venerdì Santo, il tendone si apre e consegna ai fedeli la scena della Crocifissione con Gesù insieme ai due ladroni. Ai piedi della croce si trovano due confratelli che hanno il compito “staccare” materialmente la statua per poi deporla nel letto mortuario (foto dal sito dell’Acriconfraternita). Quindi si tiene una processione per le vie di Serra. In tarda serata, la statua viene trasferita nella naca, la “culla” sospesa del Signore adornata di tessuti e fiori in preparazione ad un ulteriore passaggio per le vie del paese previsto per la mattinata di Sabato Santo.

La Naca di Davoli Superiore

Nella sera del Venerdì Santo va in scena anche la suggestiva Naca di Davoli Superiore. Il borgo del Catanzarese conserva infatti una tradizione secolare e unica. La processione con la “culla” con Gesù morto rappresenta un unicum: decine e decine di abeti vengono portati in spalla dai fedeli per ricordare le sofferenze di Cristo. Gli alberi sono illuminati da lumini realizzati artigianalmente dai giovani del posto. Per settimane si ritrovano in locali adibiti a laboratorio da un gruppo di lavoro che aiuta il parroco nella realizzazione del rito. Quest’anno sono stati preparati circa 5mila lumini. Il rito affonda le radici nel 1600 e richiama centinaia di fedeli. La processione parte dalla chiesa di San Pietro e si snoda per tutto il paese. Centinaia e centinaia di candele formano una lunga scia luminosa. Nella notte più lunga e buia, portano un messaggio di speranza. Diversa ma altrettanto ricca di pathos, la Naca che si tiene a Catanzaro.

La Pigghjiata di Taverna

A Taverna, con il Venerdì Santo, si tiene la “Pigghjiata”, letteralmente “presa”. Si tratta di un atto unico teatrale in cui viene inscenato il momento dell’arresto di Gesù nell’orto degli Ulivi. Tanti giovani del paese ambiscono a far parte della “turba”, il gruppo di soldati romani e guardie del tempio che arrestano il Cristo e lo conducono per le vie del borgo in una cerimonia che diventa prettamente religiosa. La rappresentazione si protrae a più riprese nell’arco della giornata. Dopo i riti preparatori, la processione ha inizio. 
Dalla chiesa di Santa Barbara esce un lungo corteo di statue e personaggi che si incammina attraverso i vicoli e le strade del paese in un lungo e tortuoso percorso. Tutti diventano protagonisti e spettatori, l’intero borgo si trasforma in uno spazio rituale. A dare il ritmo della marcia è Giuda. Poi, nell’ultima parte del percorso, ha inizio la “ciampata”, una sorta di andamento a passo di gambero che rallenta e dilata in maniera surreale la durata della processione. Il quadro finale del corteo è rappresentato dal Cristo Crocifisso e dalla Pietà che costituiscono l’ultimo mistero doloroso del Rosario. I riti sono curati dall’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e Santissimo Salvatore.

La Giudaica di Laino Borgo

Nel cuore del Parco del Pollino, a Laino Borgo, si si svolge la Giudaica. Si tratta della rappresentazione vivente della Passione di Cristo, dall'ultima cena alla crocifissione e morte di Gesù: 19 scene totali con più di 150 figuranti e 94 attori (foto di Marco Laino). La rappresentazione è un marcatore identitario radicato nella storia della comunità che fa sì che Laino Borgo venga rinominato "Gerusalemme del Sud". Un evento struggente, dal forte impatto che si protrae per ore e valorizza il paese e i luoghi simbolo della spiritualità come il santuario della Madonna dello Spasimo, meglio conosciuto come “Le cappelle”. Da dieci generazioni, famiglie intere tramandano un testo aulico del Seicento che racconta l’ultimo giorno di vita di Gesù. Una vera identità culturale del borgo della valle del Mercure che richiama visitatori da ogni angolo della Calabria e non solo.

I riti del sangue in Calabria

La penitenza è sempre stata manifestazione di fede dall’alba dei tempi, in tutte le religioni. In Calabria attraverso particolari riti raggiunge, forse, il massimo della sua espressione. Il rito dei Vattienti, che significa flagellanti, si svolge a Nocera Terinese e Verbicaro. Alcune persone si percuotono le gambe facendo fuoriuscire del sangue in segno di devozione e fede durante i giorni della Settimana Santa. Ma i due riti, anche se molto simili, vengono eseguiti con modalità diverse.
A Nocera sono circa un centinaio le persone che lo praticano. Il vattiente è vestito completamente di nero e sul capo indossa una corona fatta con la pianta dell’asparago selvatico.
Gli strumenti utilizzati per flagellarsi sono due: la rosa e il cardo. Due dischi fatti con del legno di sughero con i quali si battono sulla parte posteriore delle cosce e sul polpaccio. Su uno viene fatta una colata di cera dove vengono incastonati dei piccoli pezzetti di vetro che vanno a provocare le ferite sulle gambe, l’altro invece è completamente liscio e serve per far confluire il sangue nella zona interessata. 
Il vattiente esce da solo o in piccoli gruppi – solitamente tra familiari – e compie il percorso che la statua della Madonna Addolorata, venerata nel comune del Catanzarese, fa la sera del Venerdì e per tutta la giornata il Sabato Santo, incontrandola una volta e facendo diverse tappe davanti i sagrati delle chiese e di fronte a case di partenti o amici. Il flagellante è accompagnato da due figure: l’ecce homo e il portatore di vino. Il primo è solitamente un ragazzino che legato con un cordino al vattiente indossa unicamente un panno rosso e porta sulle spalle una croce, l’altro è un amico che porta appunto il vino che serve per lavare e sterilizzare le gambe.
A Verbicaro, nel Cosentino, sono molti di meno – una ventina – e il rito si svolge invece il giovedì sera. I Vattienti, prima di vestirsi con gli abiti tradizionali - in questo caso rossi - ed uscire, si riuniscono tutti insieme per un momento conviviale. Poi alle 22.00 circa, si dividono in gruppi da tre e da due e si allontanano per andarsi a preparare in posti diversi. Lo strumento di flagellazione usato in questo caso è uno, sempre disco di sughero con delle schegge di vetro, però più piccolo. I flagellanti di Verbicaro per far confluire il sangue usano direttamente le mani percuotendosi la parte anteriore delle cosce. Fanno il giro del paese per tre volte, anche loro fermandosi in diverse postazioni per flagellarsi. In questo caso la liturgia e il rito non coincidono in quanto la processione nel comune del Cosentino parte dopo la mezzanotte e dura fino alle prime luci del mattino.

La Spina Sacra a Petilia Policastro

La Sacra Spina è la reliquia, conservata e venerata nel santuario di Petilia Policastro, in provincia di Crotone, che la tradizione vuole sia appartenuta alla corona che Gesù aveva indosso sul capo durante la crocefissione. La Sacra Spina, custodita in origine nella Sacra Cappella di Parigi, sarebbe stata donata nel 1498 da Giovanna di Valois, regina di Francia e moglie di Luigi XII, al suo confessore, padre Dionisio Sacco, vescovo di Reims. Quest'ultimo decise di portarla al suo monastero di origine, quello francescano di Petilia Policastro. Tuttavia, padre Sacco non riuscì a consegnare la reliquia al monastero, dove arrivò nel 1523 grazie a padre Ludovico Albo, e fu collocata in un ostensorio. Ogni anno si tiene la processione del calvario, una rievocazione che parte dopo la celebrazione della messa nella chiesa di San Francesco, passa lungo le strade di Petilia, fino ad arrivare al santuario della Sacra Spina a cinque chilometri dal centro abitato. Quest’anno ricorrono i 500 anni dalla consegna e sono in programma celebrazioni particolari

Il Caracolo di Caulonia

Un rito che affonda le sue radici ai tempi della dominazione spagnola. Secoli di storia e una forte devozione popolare stanno dietro il Caracolo di Caulonia, appuntamento imperdibile nel pomeriggio di Sabato Santo. Otto le statue protagoniste della particolare processione che si snoda nelle principali vie del centro della Locride, a raffigurare i momenti più significativi della Passione: il Cristo all’orto, il Cristo alla colonna, l’Ecce Homo, il Cristo carico della croce, il Crocifisso, il Cristo deposto dalla croce, la Vergine Addolorata e San Giovanni. Quattro per una, vengono portate a spalla dalle arciconfraternite del Rosario e dell'Immacolata, in passato rivali. I confratelli, col cappuccio bianco e una corona di spine sul capo, partono ognuno dalla propria chiesa.

I due cortei si riuniscono quindi nel punto centrale del paese e raggiungono insieme piazza Mese, su cui si affaccia la chiesa Matrice. Ed è qui che si tiene il momento più suggestivo. E infatti in piazza Mese la processione dà vita a un movimento a chiocciola, avanti e indietro per circa un’ora con il sottofondo del suono delle raganelle in legno. Le statue fanno poi il loro ingresso nella chiesa matrice e all’uscita, infine, il corteo si ricompone e si riavvia, dividendosi, verso le due chiese del Rosario e dell’Immacolata.
Il termine Caracolo deriva dall’arabo “karhara” e significa girare ma può essere ricondotto anche allo spagnolo “caracol” ossia chiocciola.

L'Affruntata di Vibo Valentia

Il nero del lutto che lascia il posto al manto celeste di Maria e alla gioia per la Resurrezione di Cristo. Un tripudio di fede e commozione che da sempre caratterizzano l’Affruntata di Vibo Valentia, forse la più nota e sentita tra quelle disseminate in varie zone della Calabria. L’appuntamento, che rappresenta il culmine dei riti pasquali, si tiene tradizionalmente nella tarda mattinata di domenica.
Tre le statue protagoniste: Cristo risorto, la Madonna coperta da un lungo velo nero e San Giovanni. Una volta uscite dalla chiesa del Rosario, prendono strade diverse ma è sul corso Vittorio Emanuele che si svolge il momento principale. San Giovanni lo percorre per tre volte avanti e indietro, facendo la spola tra Gesù e la Madonna. L'ultima volta avanza insieme a Gesù ed ecco che da una via laterale sbuca la Madonna, che va di corsa verso suo figlio: è qui che cade il velo nero, segno del lutto, tra il fragore degli applausi e le urla di giubilo dei presenti. Maria avanza e indietreggia per tre volte, incredula dinnanzi a Gesù risorto. Poi il ricongiungimento e le tre statue che si allineano per poi proseguire insieme con la processione.

La ‘Ncrinata di Dasà

Il lunedì di Pasquetta a Dasà si tiene la intronizzazione della Madonna, ovvero la preparazione della statua che poi affronterà la ‘Ncrinata. Per il paese si tratta di un evento da forte sapore identitario, lungo più di 300 anni. Nell’archivio diocesano è attestato che la prima documentazione della ‘Ncrinata di Dasà è relativa al 1711. Pertanto la sua esistenza è certificata dal Settecento in poi ma alcuni studi ritengono che la celebrazione possa addirittura datarsi a due secoli prima, ossia a partire dal Cinquecento. C’è un’altra curiosità, la statua della Madonna della Consolazione portata in processione è di epoca tardorinascimentale.
A differenza delle Affrontate, si svolge il martedì successivo alla domenica di Pasqua. Ma non è solo questo a fare la differenza. Cambia anche la prospettiva. Chi osserva si immedesima dell’Addolorata. Si punta non tanto al momento dell’incontro ma al gesto del saluto, ‘Ncrinata appunto, che la Vergine riserva a suo figlio dopo la Resurrezione. E ancora. La Madonna coglie il messaggio di San Giovanni subito, senza ombra di incredulità. Solo una volta l’apostolo si reca dalla Vergine.