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Statale 106, un lungo cimitero d’asfalto

Statale 106, un lungo cimitero d’asfalto
di Mariassunta Veneziano
Coordinamento editoriale: Altomonte, De Girolamo, Rende, Serra
Video editing: Vallone

Migliaia di feriti e 205 vittime in 10 anni. Quella che è tristemente conosciuta come la “strada delle morte” gronda sangue e promesse tradite da decenni. Impossibile evitarla per chi si sposta sulla dorsale ionica. Il nostro viaggio tra impegni (non mantenuti) e il dolore delle famiglie di chi ci ha rimesso la vita

Vista dall’alto è una lunga scia che attraversa la costa ionica da Taranto a Reggio Calabria seguendone sporgenze e insenature, via maestra che congiunge tre regioni in un’area orfana di autostrade. Ma non è così che bisogna guardarla: la Statale 106 va guardata da dentro. Di più, va vissuta. Perché la 106, da dentro, non è un’unica strada, ma almeno due: quella che dal confine nord della Calabria attraversa la Basilicata e arriva in Puglia, con due corsie per senso di marcia davanti agli occhi e nell’anima la sensazione di trovarsi davvero nel terzo millennio, e quella che collega città e paesi della nostra fascia ionica e costituisce un mondo a sé. Una matrioska d’asfalto: una strada che, a sua volta, ne contiene altre. Diverse. Strade diverse, diverse epoche. Tratti ammodernati e ponti del Ventennio. Perché è lì che questa storia inizia.

Un secolo fa: la Statale 106 nasce assieme all’Anas

Nel 1928, per la precisione, con la legge n. 1094 del 17 maggio di “Istituzione dell’Azienda autonoma statale della strada”. L’Anas per intenderci, che da quel momento avrebbe dovuto curarne la «manutenzione ordinaria e straordinaria» e provvedere alla sua «sistemazione» così come a quelle di tutte le strade riportate nell’elenco annesso che sostituiva, a partire dal 1° luglio di quell’anno, quello del precedente decreto del 1923. La 106 eredita così il tracciato di quella che era la Statale 86 jonica con questo percorso: “Reggio Calabria - Gerace - Punta di Stilo - Catanzaro Marina - Crotone - Innesto con la n. 108 presso Cariati - Innesto con la n. 19 presso Spezzano Albanese”.
È Vittorio Emanuele III, «per grazia di Dio e per volontà della nazione re d’Italia», a promulgare il provvedimento firmato da – nell’ordine – Mussolini, Giurati, Volpi, Ciano. Quasi un secolo fa.
In un’Italia che è andata avanti, la 106 è rimasta per lunghi tratti ancorata alle origini, intersecando spesso in maniera disordinata uno sviluppo urbano di per sé disordinato, sventrando centri abitati e campagne che su di essa sfociano attraverso innesti a raso che sono oggi tra quegli elementi che rendono questa strada inappropriata al suo ruolo e una delle più pericolose d’Italia. Negli anni ci sono stati lavori di ammodernamento qua e là che non ne hanno però cambiato le fattezze nel complesso e la 106 dimostra ancora tutti gli anni che ha. 

Lungo la statale 106: il reportage di Pasolini

Percorrerla da un punto all’altro della Calabria per volerne toccare con mano e documentare le storture assume perciò i contorni di un’impresa audace. Impresa che non disdegnò un intellettuale impavido e controcorrente come Pier Paolo Pasolini. Suo è il reportage intitolato “La lunga strada di sabbia”, realizzato nell’estate del 1959 per la rivista “Successo”. Un viaggio lungo le coste di un Paese in pieno boom economico, da sopra a sotto e viceversa, tra spiagge da “Sapore di mare” e le scorie di un Dopoguerra ancora da smaltire.
Partito dalla Liguria a bordo di una Fiat 1100, dopo aver girato la Sicilia, Pasolini riprende il suo tour verso nord risalendo la punta dello Stivale da Reggio Calabria verso Taranto. «L’Ionio – scriverà poi – non è un mare nostro: spaventa. Appena partito da Reggio - città estremamente drammatica e originale, di una angosciosa povertà, dove sui camion che passano per le lunghe vie parallele al mare si vedono scritte “Dio aiutaci” - mi stupiva la dolcezza, la mitezza, il nitore dei paesi sulla costa. Così circa fino a Porto Salvo. Poi si entra in un mondo che non è più riconoscibile».
Ecco, a un distendersi delle dune gialle in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È, veramente, il paese dei banditi come si vede in certi westerns

Pier Paolo Pasolini
Messi da parte alcuni «scorci abitudinari» e il «folgorante miracolo» della spiaggia di Soverato, Pasolini si addentra in una Calabria che non gli sembra più nemmeno reale. «La strada lascia il mare e s’interna in una zona, tutta gialla, con le colline che sembrano dune immaginate da Kafka. Il tramonto le vela di un rosa di sangue. (…) Vado verso Crotone, per la zona di Cutro (…) Ecco, a un distendersi delle dune gialle in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È, veramente, il paese dei banditi come si vede in certi westerns».
La stampa locale non glielo perdonò e si scagliò contro di lui, al pari dell’amministrazione di Cutro. Pasolini rispose agli attacchi in una lettera pubblicata su “Paese Sera”: «Dicendo che la zona di Cutro è quella che mi ha più impressionato di tutto il mio viaggio, ho detto la verità: chiamandola poi zona di “banditi”, ho usato la parola: 1) nel suo etimo; 2) nel significato che essa ha nei film western, ossia in un significato puramente coloristico: 3) con profonda simpatia. Fin da bambino, ho sempre tenuto per i banditi contro i poliziotti: figurarsi in questo caso».
E ancora: «La storia della Calabria implica necessariamente il banditismo: se da due millenni essa è una terra dominata, sottogovernata, depressa. Paternalismo e tirannia, dai Bizantini agli Spagnoli, dai Borboni ai fascisti, che cos’altro potevano produrre se non una popolazione nei cui caratteri sociali si mescolano una dolorosa arretratezza e un fiero spirito di rivolta? E appunto per questo non si può non amarla, non essere tutti dalla sua parte, non avversare con tutta la forza del cuore e della ragione chi vuol perpetuare questo stato di cose, ignorandole, mettendole a tacere, mistificandole».
E non aveva forse tutti i torti Pasolini, a prendersela con quest’attitudine al risentimento – spesso, come denunciava nella sua lettera, montata ad arte a fini politici ed elettoralistici –, con questo fastidio che rimane sospeso sulla superficie di certe parole senza tentare di andare a fondo, a quanto di dolorosamente vero certe parole contengono.
E la realtà di oggi ha un volto indurito dal tempo passato invano, dalle lotte che poco o nulla hanno portato a casa, dall’indignazione di popolazioni costrette a vivere il loro quotidiano su una strada ferma a un secolo fa, che incurante attraversa un territorio dalle potenzialità inesplorate quando non volontariamente ignorate o violentate. Un volto in cui è pietrificato lo strazio di famiglie mutilate dalla ferocia della 106.
La strada della morte. Così la chiamano ormai da tempo immemore, da quando le tristi classifiche sull’incidentalità delle arterie del Belpaese hanno cominciato a vederla puntualmente ai primi posti. L’ultima fotografia scattata dall’Istat la mostra come la strada più pericolosa della nostra regione: 236 sinistri, 437 feriti e 18 morti nel solo 2021. Numeri che sovrastano quelli dell’A2 che certo non brilla per la sua sicurezza con 155 incidenti, 243 feriti e 4 decessi nel tratto calabrese.
Un quadro più aggiornato lo ha fornito di recente l’associazione Basta vittime sulla Statale 106, che dal 2014 si batte per l’ammodernamento della strada anche attraverso attività di sensibilizzazione e che si occupa tra le altre cose di raccogliere e analizzare i dati relativi all’incidentalità.
Il rapporto presentato a Catanzaro qualche giorno fa parla di 205 morti dal primo gennaio 2013 al 31 dicembre 2022. La maggior parte di questi morti li ha pianti la provincia di Cosenza (67), seguita da Reggio (57), Catanzaro (46), Crotone (35): il 23,5% erano giovani tra i 16 e i 25 anni.
Una delle ultime vittime della 106 aveva 24 anni. Federica Princi se n’è andata dopo poco più di un anno dallo schianto che in una notte di novembre aveva consegnato la sua gioventù a un letto d’ospedale, dov’è rimasta sospesa tra la vita e la morte.
Federica come Luca, che di anni ne aveva 19 quando tutto il suo mondo si è schiantato in un angolo di Calabria. O come i cugini Davide e Gabriele, uniti fino all’ultimo respiro dei loro 29 anni. E poi Francesco, Lorenzo e tanti, di ogni età, i cui nomi sono finiti ad alimentare il lungo rosario di vittime, anno dopo anno, mese dopo mese. L’ultimo poco più di una settimana fa, nel territorio di Corigliano-Rossano: quattro feriti e un morto, di origini ucraine, di cui le cronache non hanno riportato neppure il nome.
Un rosario visibile a bordo strada, su un guardrail punteggiato di fiori e fotografie, di piccole lapidi a cui è stato affidato il ruolo di testimonianza di una tragedia senza fine, che qui si ferma per poi ripartire, correndo, lungo la strada della morte.
«Omicidio di Stato» lo ha definito qualcuno. Peggio ancora, una strage. Una via del dolore che unisce in un unico pianto la costa ionica calabrese.
«Troppi incidenti, troppe vittime. Questo a causa soprattutto del fatto che per la stragrande maggioranza del suo tracciato è a sole due corsie». A febbraio 2022, il presidente della Regione Roberto Occhiuto fa sua l’eterna – e inascoltata – denuncia di cittadini e associazioni.
«La complessità della Statale 106 – afferma in quell’occasione – risiede nelle notevoli carenze relative alla sicurezza stradale, alla percorribilità e, rispetto a queste problematiche, ai notevoli costi complessivi per l’ammodernamento dell’intera tratta calabrese, che ammontano a più di 4 miliardi di euro. Purtroppo questi costi non saranno neanche parzialmente coperti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, e per questa ragione nelle scorse settimane ho scritto al premier Draghi».

Statale 106, la svolta «epocale» del ministro Salvini

Il ministro Salvini e il presidente Occhiuto durante l'incontro nel quale veniva annunciato il finanziamento per i lavori della Statale 106
La crisi di governo, però, è dietro l’angolo. E per un premier che va, un altro ne arriva. Nuovo premier, nuova squadra e proclami che non tardano ad arrivare. La 106 è, assieme al Ponte sullo Stretto, al centro dei pensieri dell’esecutivo targato Meloni e in particolare del nuovo ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini che si dice deciso a scrivere un nuovo capitolo per la costa ionica che le infrastrutture le ha come spina nel fianco.
Anni di attese (vane), cantieri in vista, cantieri visti, cantieri in corso e paesi dove un cantiere nemmeno sanno cos’è. Poi, all’improvviso, arriva la svolta. E non può che essere «epocale». Questo ammodernamento si farà, la nuova 106 non è più un sogno ma – citando un famoso spot pubblicitario – una solida realtà. E solida sembra, sorretta da un finanziamento di 3 miliardi di euro. Ma – passando dalla pubblicità alla saggezza popolare – non è tutto oro quello che luccica.
Tre miliardi sì, ma mica tutti adesso. Pochi, maledetti e subito per il 2023-2024: 100 milioni di euro. E gli altri? Spalmati in 15 anni. Il 2037 arriverà, non sarà dietro l’angolo ma arriverà. Accanto a questa certezza, però, più d’uno pone un dubbio: assieme al 2037 arriverà anche la nuova 106? Cosa succederà nel tempo che rimane? Si avvicenderanno i governi. Verosimilmente ci saranno passi falsi, passi indietro e mezzi passi. E quel “si farà”, che tanto ricorda il “si farà” tante volte già sentito in riferimento a un ponte inesistente, qualche legittima preoccupazione la desta.
All'indomani dell'annuncio del ministro Salvini, il consigliere regionale del Partito Democratico Ernesto Francesco Alecci attacca il titolare delle Infrastrutture parlando di «schiaffo ai calabresi» e «presa in giro».
«Tre miliardi in 15 anni vuol dire che i lavori non termineranno prima di 20 anni. Credo che tutto ciò sia veramente vergognoso»
Occhiuto contrattacca rinfacciando ad Alecci l’immobilismo del suo partito, una forza politica a cui le occasioni di lasciare un segno non sono mancate.
Il «risultato storico», insomma, non convince tutti. Ma alla fine arriva comunque in finanziaria. Mentre nuove polemiche rinascono dalle ceneri di quelle vecchie.
È il senatore di Fratelli d’Italia Ernesto Rapani a smuovere, di nuovo, le acque. Perché sull'asse viario oggetto del finanziamento rientra la partita Sibari-Corigliano-Rossano e il tempo è tiranno. Serve un passaggio propedeutico nell'assemblea civica, bisogna deliberare la deroga al dibattito pubblico entro il 28 febbraio 2023. «Su 41 comuni e 2 province manca solo il deliberato del consiglio comunale di Corigliano-Rossano. Anas sta aspettando solo la decisione del comune jonico», incalza Rapani: «Il rischio è che se non dovessero deliberare la deroga al dibattito pubblico l’Anas sarà costretta a procedere con l’istruttoria e potrebbe escludere il progetto della jonica», si allarma Rapani.
Da parte sua, il sindaco Flavio Stasi rimpalla le accuse. I ritardi, dice, non sono colpa dell'amministrazione: «Un percorso quasi tutto in rilevato (tipo diga), compresi gli attraversamenti dei due scali, con un consumo di territorio abnorme ed un tratto a poche decine di metri dal mare. Abbiamo sempre ritenuto che tali criticità meritassero soluzioni serie, ma in questa battaglia sacrosanta l'amministrazione è stata lasciata per lungo tempo da sola dalla deputazione regionale e nazionale».
E mentre nei palazzi si continua a sfogliare calendari, scambiarsi accuse e far di conto, nella vita reale che scorre sulla Statale si continua a morire.

Statale 106, attesa lunga e modernità a singhiozzi

I cantieri aperti lungo la
Statale 106


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È uno scenario intermittente quello della 106. A chi non ha mai avuto cuore di avventurarvisi basta dare un’occhiata al sito dell’Anas per farsi un’idea: «Lungo la statale Jonica, l’Anas ha già completato l’ampliamento a quattro corsie, con spartitraffico centrale, di tutto il tratto ricadente in Puglia (39 km) e in Basilicata (37 km). In Calabria sono stati ampliati a quattro corsie circa 67 km, di cui: 15 km al confine con la Basilicata (tra Rocca Imperiale e Roseto Capo Spulico, in provincia di Cosenza); 5 km a ridosso dei centri abitati di Gabella Grande (frazione di Crotone); 22 km tra lo svincolo di Squillace e lo svincolo di Simeri Crichi (compresi 5,2 km del prolungamento della strada statale 280 “dei Due Mari”); infine 25 km tra Locri e Roccella Jonica (in provincia di Reggio Calabria)».
Il «principale intervento» in corso è quello del terzo megalotto, 38 chilometri a due carreggiate tra Sibari e Roseto Capo Spulico, che ha preso il via il 19 maggio 2020 e dovrebbe vedere la fine – se i tempi saranno rispettati – ad agosto 2026. Un investimento di 1,33 miliardi di euro cantierizzato dopo una lunga gestazione attorno alla quale non sono mancate le polemiche tra istituzioni e comitati locali rimasti inascoltati. 
Il resto è attesa, disagio e dolore. Una ferita d’asfalto che attraversa la Calabria per 415 dei 491 chilometri totali. Una ferita che gronda sangue e reclama giustizia non solo per la sfilza di tragedie disseminate per tutta la sua lunghezza, ma anche per quel diritto alla mobilità – e alla vivibilità – che una strada oggettivamente pericolosa e ostica nega quotidianamente a mezza regione. Una carreggiata stretta che in alcuni tratti si restringe ulteriormente – e inverosimilmente per un’arteria di questo tipo –, costellata di autovelox che tra un comune e l’altro impongono limiti di velocità bassissimi ma mettono solo una pezza a quel buco enorme che è la questione sicurezza sulla “strada della morte”, viadotti di epoca fascista e innesti a raso che al momento della loro realizzazione saranno sembrati funzionali mentre oggi ci si chiede cosa ci facciano lì e un’illuminazione che da scarsa diventa inesistente: da dentro la 106 si presenta così.
Un’extraurbana nata per connettere le une alle altre le varie località sparpagliate lungo la costa ionica da Reggio fino a Taranto, che squarciando la Calabria da un capo all’altro diventa via di collegamento tra i centri abitati con le caratteristiche di una strada urbana, dove il traffico a lunga percorrenza e quello cittadino si mescolano nella routine di giornate che sorgono e tramontano a cavallo di assurde strisce pedonali, dove in caso di emergenza raggiungere l’ospedale più vicino dalle zone periferiche diventa una lotta ad armi impari contro il tempo in un territorio in cui anche il diritto alla salute è stato sacrificato a conti che non tornano mai. Costi da tagliare, soldi da trovare, somme da spalmare. Mentre da spendere, sempre e comunque, rimangono le parole.