Il senatore parla del congresso in cui è candidato unico annunciando che a maggio partirà la discussione nei circoli. Ammette che sulle federazioni provinciali c’è da mettere mano e lancia la controffensiva al Governo su sanità, diritti sociali e legalità
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C’è aria di crisi sui sindaci del centrosinistra che governano i capoluoghi calabresi. Da Cosenza a Vibo, da Catanzaro a Reggio Calabria i sindaci che sembravano poter suonare la carica per la riconquista della Cittadella sono costretti a ripiegare in difesa. Il tutto mentre il Pd celebra il suo congresso regionale anticipato di un anno. Ne abbiamo parlato con il senatore Nicola Irto, unico candidato alla segreteria regionale dem.
Senatore, nei territori i sindaci hanno perso il loro slancio? Come intendete intervenire per evitare fibrillazioni locali?
«Non mi pare che i sindaci di centrosinistra siano rinunciatari o abbiano perso bussola, scarpe e muscoli. Anzi, continuano a rappresentare con forza i bisogni dei rispettivi territori, mentre il centrodestra prova a fare campagna acquisti di amministratori in alcuni Comuni: chiedono loro la tessera sfruttando la leva del potere ma poi li fanno cadere o li scaricano subito dopo. Basta guardare, per esempio, a Paola e a Lamezia Terme. È sotto gli occhi di tutti che il governo Meloni ha marginalizzato la Calabria, dal Pnrr alle grandi opere, dalla sanità al lavoro, allo Stato sociale. Davanti a questo indirizzo politico nefasto, i sindaci resistono, si uniscono e reagiscono. Per esempio, di recente, proprio i primi cittadini di centrosinistra hanno fatto sentire la loro voce sulle necessità infrastrutturali della regione. Abbiamo, poi, situazioni locali, anche nelle grandi città, in cui bisogna mettere da parte gli individualismi, a favore della causa comune, che è una: sconfiggere le destre e ridare ascolto, sostegno e speranza ai territori. Per questo, puntiamo sul dialogo e sulla responsabilizzazione».
Lei si candida per costruire un campo progressista ampio. Non le pare, però, che questa tornata delle amministrative confermi difficoltà nei rapporti con gli alleati?
«Le elezioni comunali e quelle regionali si somigliano ma non sono affatto uguali: hanno differenze piuttosto significative. Tuttavia, non mi nascondo: dobbiamo costruire una grande alleanza per la Calabria e per l’Italia, spingendo sul merito delle questioni. È un aspetto essenziale, che chiama in causa la responsabilità politica, anche al di là del dato elettorale. Non ho mai pensato che le alleanze debbano essere una sommatoria di numeri e voti. Se ragionassimo in termini di accozzaglia, non andremmo lontano. Noi dobbiamo invece distinguerci nei contenuti, perché la differenza con le destre è netta».
Ce la faccia…
«Due esempi. Primo, il Fondo per lo sviluppo e la coesione è intoccabile e noi non l’avremmo mai barattato per speculazione politica come ha invece fatto la destra. Secondo, a nostro avviso sulla sanità serve un’operazione di verità, di coraggio e di cambiamento: noi calabresi non possiamo essere ingannati da una comunicazione spot, mentre in tutto il territorio regionale non è garantito il diritto a curarsi».
Cosa replica a chi dice che il dibattito congressuale del Pd è sotto tono?
«Ancora non sono partiti i dibattiti nei circoli, che inizieranno a metà maggio. Quindi sorrido, perché chi lo sostiene è strumentale oppure non ha altro da dire o scrivere».
Interverrà sulle federazioni provinciali che lei stesso ha contestato dopo le Europee?
«Certo, rispettando le scelte degli iscritti locali ma chiedendo tre cose molto chiare: aumentare la partecipazione, aprire nuove sedi e unire la piazza virtuale con la piazza reale, che non dobbiamo mai dimenticare. In sintesi, dobbiamo essere un partito più presente e attivo nei territori, vicino alle persone, inclusivo, aperto e plurale. Mettendo al bando contrapposizioni vecchie e furbizie che non giovano a chi le porta avanti e fanno perdere credibilità al Partito».
Che cosa intende precisamente con questo allargamento del campo progressista? Come attrarre altri soggetti?
«Dobbiamo allargare il progetto politico sulla base degli obiettivi e degli orizzonti politici, della proposta di condividerli e, soprattutto, di realizzarli. Noi, per esempio, vogliamo ridurre l’emigrazione sanitaria, il che vuol dire garantire servizi di qualità e quindi agire anche con molto coraggio. Gli altri soggetti, non solo con riguardo ai partiti, si attraggono con le idee, cioè creando un contenitore per raccoglierle, condividerle, discuterle e fare in modo che siano attuate. E, nel contempo, con la presenza nei territori, cioè raccogliendo istanze, proposte, richieste, voci e anche delusioni; interpretando i bisogni, le paure e i drammi delle comunità locali; rafforzando il collegamento tra i territori e le rappresentanze regionali, nazionali ed europee; anche utilizzando la tecnologia per connettere i singoli con le iniziative del Partito democratico regionale e viceversa».
Su quali punti partirà la controffensiva al centrodestra?
«Sanità in primo luogo. Poi Stato sociale, lavoro, riorganizzazione e trasparenza amministrativa, ambiente, rifiuti, acqua ed energia. Senza omettere la legalità, che è un punto importantissimo, di cui si parla sempre meno, purtroppo. Indubbiamente, la situazione più critica si registra in campo sanitario, per via della carenza dei medici, dei debiti ancora incerti e delle disfunzioni in ambito pubblico, che continua a perdere servizi, come chiunque può verificare con una banale comparazione rispetto agli anni passati. Non dimentico che c’è un’emigrazione sanitaria in aumento. Allora bisogna ridurla: è una sfida, un impegno, una scommessa che deve qualificarci».
La scelta del candidato per sfidare Occhiuto, o chi per lui, partirà subito?
«Credo che dopo le prossime Amministrative debba esserci una prima discussione, aperta, all’interno del centrosinistra che vuole e deve essere alternativo alle destre».