Roccisano: «Forte con i deboli: la Manovra colpisce il non profit»

L’ex assessore regionale sulle dinamiche politiche nazionali: «Come si intende tutelare i diritti dei cittadini più fragili se si colpisce chi di loro ne ha quotidianamente cura?»

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24 dicembre 2018
14:09
Federica Roccisano
Federica Roccisano

«Che questo governo avesse scelto di essere forte con i deboli e debole con i forti lo avevamo capito da tempo, da quando si è iniziato a lasciare le navi con i migranti in mare e a chiudere i porti. Oggi, questo dato è ancora più evidente, dal momento che la Manovra 2019 varata la scorsa notte ha deciso di recuperare ben 118 milioni di euro aumentando l’IRES (imposta sul reddito delle società) non alle grandi società di capitali, ma alle realtà del non profit, portando l’imposta dal 12% al 24%, allo stesso livello di qualsiasi altra impresa for profit. Ed è quasi paradossale, pensare di voler colpire un mondo che negli anni ha fatto e sta facendo tuttora la differenza, resistendo alla crisi economica del 2007 con un volume di dipendenti che al 31 dicembre 2016 era pari a 812.706 unità».  È il commento di Federica Roccisano, ex assessore regionale.

La scelta inserita nella manovra potrebbe a suo giudizio avere conseguenze pesanti in tutta Italia e ancora di più al Sud: «Già perché, come in molti operatori stanno dichiarando in queste ore sui social e sui mezzi stampa, gli enti non profit proprio grazie a quel risparmio di imposta, derivante dal regime agevolato inserito nel 1973, hanno potuto fare investimenti altrimenti impensabili. Nel corso degli anni – rimarca -  le organizzazioni non profit hanno potuto acquistare mezzi per il soccorso, immobili da destinare all’aggregazione delle persone che vivono in condizioni di disagio, beni strumentali necessari per il trasporto degli stessi, e tanto altro ancora. E al Sud la situazione sarà sicuramente più grave perché le realtà del non profit hanno fatturati inferiori rispetto a quelli che operano nelle regioni del Nord e, quindi, inferiori economie per far fronte alla gestione dei servizi in presenza di un aumento delle tasse».


 

Quindi la situazione calabrese: «dove operano 9mila organizzazioni non profit e oltre 11mila dipendenti che ogni giorno prestano il loro servizio con chi vive qualche tipo di disagio sociale o fisico o psichico. Per loro – continua - il segnale d’allarme, dopo questa decisione del Governo giallo verde, dovrebbe suonare ad un volume ancora più alto, dal momento che viviamo già una fase di grande disagio sociale, in termini di povertà educativa e necessità degli interventi a favore dei giovani, ma anche di grave disagio per le persone più fragili, quali i disabili, gli anziani e le donne in difficoltà».

 

Sulle organizzazioni del non profit calabrese «gravano già gravi ritardi nell’applicazione delle norme e spesso anche gravi ritardi nei tempi di pagamento per le strutture accreditate. Pensiamo agli effetti del raddoppio dell’imposta su quelle organizzazioni non profit che gestiscono con le proprie forze gli asili nido, o i centri diurni per anziani, o i centri di aggregazione giovanile o anche le case per le donne vittime di violenza. Per poter andare avanti dovrebbero aumentare i costi per i partecipanti (e quanto sarebbe sostenibile in una regione povera come la Calabria?); peggio, potrebbero tagliare il numero dei dipendenti; o peggio ancora potrebbero essere costrette a chiudere».

 

E qui ci sarebbe la vera catastrofe sociale per una Regione «che oggi garantisce pochissimi posti accreditati nelle strutture socio assistenziali di alcuni territori, tra cui il reggino, al centro proprio in questi giorni delle cronache giornalistiche per una difficile erogazione dei servizi divisi tra una sanità pubblica fatiscente e una sanità privata sull’orlo della chiusura. Se si indebolisce, ulteriormente, anche il terzo settore, si capisce la difficoltà per chi avrebbe necessità di una qualsiasi assistenza». «Resta, a tal proposito – conclude -  la curiosità di veder sciogliere un dubbio su come pensa il Governo di conciliare gli interventi di fiscalità di vantaggio a favore dei pensionati che si trasferiscono al Sud, che avrebbero una detrazione del 7% in virtù della loro scelta di vita, con l’assenza di servizi coerenti con le esigenze di chi, essendo un po’ in avanti con gli anni, potrebbe avere necessità di un qualsiasi tipo di servizio socio-sanitario. Ma resta da capire, oggi e in maniera decisamente urgente, come si intende tutelare i diritti dei cittadini più fragili se si colpisce chi di loro ne ha quotidianamente cura».

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