Una ricerca coordinata dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn rivela una presenza in aumento dagli anni 2000 a oggi e i danni crescenti. Le marinerie di Calabria e Sicilia segnalano le maggiori criticità
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Le “invasioni” nel Mediterraneo non riguardano soltanto le specie aliene. Una nuova ricerca coordinata da Claudia Scianna, ricercatrice della Stazione Zoologica Anton Dohrn presso il Calabria Marine Centre di Amendolara, evidenzia come l’aumento del vermocane (Hermodice carunculata) stia generando effetti rilevanti sulla piccola pesca. Lo studio, pubblicato sul Journal of Environmental Management e intitolato “Increasing occurrence of the bearded fireworm… in the central Mediterranean Sea”, rappresenta il primo lavoro scientifico che analizza in modo sistematico l’impatto del vermocane sui diversi attrezzi della pesca artigianale, attraverso il contributo diretto dei pescatori.
La ricerca nasce da un’ampia collaborazione tra la Stazione Zoologica Anton Dohrn, l’Università di Palermo e l’Università di Sassari, e assume un valore ancora più significativo nel quadro del cambiamento climatico. Il Mediterraneo, riconosciuto come hotspot climatico globale, si sta riscaldando rapidamente, favorendo l’espansione di specie termofile come il vermocane.
«La stretta collaborazione con i pescatori ci ha permesso di ricostruire serie temporali cruciali per comprendere l’aumento della specie negli ultimi decenni. Dati che, ad oggi, sarebbe stato impossibile ottenere con altri metodi», spiega Scianna all’agenzia Dire. Il team ha raccolto testimonianze da 120 pescatori artigianali, costruendo una base conoscitiva ampia e solida. I risultati confermano un incremento dell’abbondanza del vermocane negli ultimi vent’anni, la sua progressiva espansione verso nord e un impatto negativo sulle attività della piccola pesca, già sottoposta a varie pressioni ambientali ed economiche.
La ricerca sottolinea anche il ruolo strategico del sapere dei pescatori, non solo come fonte di conoscenza ecologica, ma come leva per favorire la partecipazione attiva alla gestione delle risorse marine. «I pescatori siciliani e calabresi sono quelli che riportano le osservazioni più frequenti e un aumento significativo dalla fine degli anni Duemila. Sono anche tra i più disponibili a partecipare a interventi di riduzione dell’impatto, come attività di eradicazione», afferma Antonio Di Franco, ricercatore della Stazione Zoologica e co-autore dello studio.
Secondo Antonio Calò, docente dell’Università di Palermo e co-coordinatore della ricerca, questi risultati rappresentano un primo passo: «I dati raccolti ci invitano a proseguire con monitoraggi socio-ecologici coordinati e sperimentazioni su attrezzi, periodi e aree, coinvolgendo le marinerie, così da comprendere ulteriormente il fenomeno e sviluppare interventi pilota».
Il lavoro sul vermocane continuerà nei prossimi anni, con nuovi studi orientati a fornire strumenti utili per la conservazione degli ecosistemi marini e per il sostegno alla piccola pesca, un settore che oggi necessita più che mai di basi scientifiche e strategie di gestione condivise.


