I mille colori di un tempo lasciano il posto (e le comodità) ai lidi “in bianco e nero” organizzati. Un viaggio tra passato e presente dove l’imprevedibilità della domenica di un tempo è sostituita dalla routine
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In un'epoca non lontana, le nostre care spiagge della Calabria erano tele viventi con i colori vibranti di un arcobaleno di gioia e spontaneità. Era una gara di ombrelloni e sdraio, erano i tempi delle spiagge libere, spazi sconfinati dove ogni famiglia diventava un piccolo universo e ogni ombrellone un vero e proprio "ristorante tipico" a cielo aperto. Lasciare l’auto lontano non importava, più di un viaggio per spostare “il bagaglio culinario” e non importava se con il mare le pietanze avessero poco a che fare.
Era bello, di prima mattina, crogiolarsi negli odori di parmigiane fumanti, polpette al sugo, frittate di pasta, i classici salumi e ogni ben di Dio preparato con amore la sera prima. Nascosti sotto gli asciugamani, al momento della ”adunata”, questi tesori comparivano come per magia, era troppo forte il richiamo dei profumi caserecci che si mescolavano alla brezza salmastra. Era la celebrazione di un prezioso patrimonio che in tanti ancora ci invidiano a cui noi riserviamo solo la nostalgica impronta del passato, la capacità di fare festa con poco, di trovare la ricchezza nell'autenticità e nella condivisione.
Si, condivisione, autentica, sincera, vera quella che capitava tra i “vicini temporanei”, pur non avendo nessun precedente legame, con i quali nascevano amicizie estive grazie al passaggio di piatti succulenti. E il gusto che la pietanza offriva a pochi metri dalle carezze del mare, in nessun altro caso era paragonabile.
Le ferie, le vacanze, erano argomenti sconosciuti per la gente del luogo. L’operaio, il manovale, il contadino, si concedeva a stento una giornata al mare, la domenica, insieme con la famiglia che diventava una sorta di festa. Non era solo un giorno di riposo, ma un rito sacro atteso con trepidazione con le famiglie che si radunavano, nonne, zii, cugini, tutti parte di una carovana che si muoveva all'alba per conquistare il miglior posto. Le auto traboccavano di sedie, tavoli pieghevoli e ogni sorta di "arredo" improvvisato, nel tentativo di massimizzare l'ombra striminzita che un singolo ombrellone poteva regalare. Si piantavano gli ombrelloni con cura, quelli con la pesante struttura in legno, si stendevano i teli di spugna e si creava un accampamento improvvisato. E poi il “capo spedizione” pensava alle bevande di ogni tipo, per grandi e bambini. Bottiglie e bacinelle piene d'acqua di mare che veniva cambiata appena finiva di essere fresca, usate per rinfrescare bibite. Senza dimenticare il tradizionale cocomero lasciato in ammollo sulla battigia pronto per un rinfrescante fine pasto, quasi a sostituire il dolce.
I bambini giocavano liberi sotto gli sguardi attenti delle mamme che spesso non avevano neanche il costume e indossavano delle pudiche vestagliette. Ai padri era riservato il privilegio del confronto rispetto ai propri mestieri, altro che gossip o sport. I più “vip” avevano a seguito anche la radiolina che dava ritmo alla giornata con la musica delle radio libere, magari con lo speaker che era l’amico o il parente che si sarebbe aggiunto alla comitiva prima del pranzo. Quella gioia genuina, fatta di risate a squarciagola, di schizzi inaspettati e di sabbia tra le dita, era l'essenza stessa dell'estate al mare, magari in compagnia dei parenti venuti dall’estero e con i cugini che “ostentavano” l’altra lingua di residenza.
Oggi, guardando le stesse coste, frequentando le stesse spiagge, si avverte un cambiamento. Il "lido organizzato" ha preso il sopravvento, imponendo una sua estetica, spesso schematica e in "biancoenero". File ordinate di ombrelloni tutti uguali, sdraio impeccabili, regole chiare e, talvolta, un'aria di perfezione che finisce per sminuire la spontaneità. Certo, offre servizi e comodità, ma ha cancellato i colori, l’attesa, gli odori, le chiacchiere, ha sacrificato l'anima pulsante delle spiagge libere, la loro capacità di adattarsi alle esigenze di ognuno senza imposizioni. La famiglia che aspettava la domenica per celebrare il suo rito, oggi si ritrova spesso ingabbiata in spazi definiti, quasi gomito a gomito con il vicino di turno, dove il profumo della parmigiana della nonna è stato sostituito da quello della frittura del bar. Il bar, proprio quello che in ogni ombrellone della spiaggia libera potevi trovare, senza prescrizione o obblighi di legge.
E quando ti ritrovi a condividere questi ricordi con figli e nipoti, ti senti anziano, riconosci il tempo che ti ha premiato, il racconto della fantastica “favola del mare” ti riporta, per pochi minuti, in un’epoca dove il poco era tanto e la riconoscenza era un dono.
Le nostre belle spiagge calabresi meritano di conservare quell'anima autentica, quel sapore di spontaneità e di gioia che le rendeva uniche. Forse è tempo di riscoprire il valore di quel "disordine" colorato, di quella libertà che permetteva a ogni famiglia di essere un arcobaleno vivente, rendendo le nostre spiagge non solo un luogo fisico ma vere agorà sociali.