Ponte sullo Stretto, lo scavo produrrà una montagna di terra che non si sa dove smaltire: tutte le incognite

Ci saranno da stoccare circa 10 milioni di metri cubi di materiale di risulta. Il ministero rispolvera anche l’idea delle tre campate. Il vicepresidente di Legambiente: «Quest’opera serve solo a due cose: a distrarre dalle cose reali e a chi ci guadagna sopra» (ASCOLTA L'AUDIO)

di Mariassunta Veneziano
27 maggio 2021
07:25
Una vecchia rappresentazione grafica di come potrebbe apparire il Ponte sullo Stretto finito
Una vecchia rappresentazione grafica di come potrebbe apparire il Ponte sullo Stretto finito

Nove milioni e mezzo di metri cubi di materiale da costruzione da smaltire. Per la precisione, 9.531.700 metri cubi. È questo il quantitativo complessivo degli “scarti” del ponte sullo Stretto, secondo quanto riportato nella relazione generale del progetto definitivo del 2011. Giusto per dare un’idea, più o meno quanto l’intero pezzo di collina che il 15 febbraio 2010 si staccò e franò a valle a Maierato, nel Vibonese. Cosa si fa con tutta questa terra?

Secondo quanto si legge in questo documento, redatto da Stretto di Messina Spa e Eurolink, 2 milioni e 600mila metri cubi avrebbero dovuto essere depositati (si parla di «messa a dimora definitiva dei materiali di scavo in esubero») nel territorio di Melicuccà, lo stesso dove a fine mese dovrebbe aprire la discarica destinata ai rifiuti urbani. «La ricerca – si legge – si è rivolta, sia in Sicilia che in Calabria, verso siti ubicati in vicinanza dei cantieri, collegabili con la rete viaria, con caratteristiche idonee al deposito definitivo delle terre di scavo, da assoggettare a riqualifica ambientale».


Si riparte da zero

Parliamo al passato, però, perché questo è quanto emergeva dal progetto del 2011. Dieci anni dopo si è deciso di cambiare le carte in tavola. E di seppellire sotto un enorme punto interrogativo tutte le questioni connesse alla costruzione del ponte. «Rifiuto l’offerta e vado avanti», dicevano i concorrenti di un vecchio gioco televisivo. E così oggi quel progetto potrebbe diventare carta straccia. Si va avanti. O indietro. Perché dopo le infinite discussioni su attraversamenti sopra e sottomarini, pareva si fosse trovata la quadra nel progetto del ponte a campata unica. Poi, il silenzio. Oggi che la musica è ripartita riparte anche il ballo dei progetti e si rispolvera la vecchia idea del ponte a tre campate. Idea che viene ripescata nella relazione del gruppo di lavoro del Ministero delle Infrastrutture del 30 aprile scorso, dopo essere stata scartata ormai diverso tempo fa. «Il GdL ritiene che la soluzione aerea a più campate sia potenzialmente più conveniente di quella a campata unica», si legge nella relazione. E cambiando il numero delle campate, cambia tutto. Nuovo tracciato, nuovi studi… In pratica si torna ai nastri di partenza e tutto torna a essere un’incognita mentre quello che già era un’incognita diventa uno dei grandi misteri dell’universo: e adesso, quanto ci vorrà?

Legambiente: nessun dato preciso

«Una scelta di ripartire costruita sul nulla» commenta il vicepresidente nazionale di Legambiente Edoardo Zanchini, professore associato di Pianificazione e progettazione urbanistica. «Siamo a un livello progettuale inadeguato a capire finanche dove sarà posizionato questo ponte. Non ci sono indicazioni tecniche, i piloni di sostegno dovrebbero essere piazzati a Reggio e Messina che sono realtà ipercostruite, per cui bisogna capire dove li si vuole mettere».

Senza contare tutti gli altri aspetti già dibattuti negli anni: i venti, le correnti, il rischio sismico, le aree da tutelare, come quelle ricadenti nella Rete Natura 2000. «Gli unici studi fatti risalgono al vecchio progetto – sottolinea Zanchini – per il quale il parere di Via era condizionato da un elenco lunghissimo di analisi non portate avanti nella loro totalità».

Le mani della mafia sui rifiuti da smaltire

E sul versante dello smaltimento dei materiali e dell’impatto sul territorio? «Questa è una delle grandi questioni sulle quali a oggi c’è pochissima chiarezza. Per costruire il ponte serviranno delle cave mostruose, ci sarà tantissimo materiale da portare sul cantiere e tanto da conferire in discarica. Visto che in fondo al mare non si può mettere, dove lo si mette? Ricordiamoci che parliamo di territori a forte rischio idrogeologico. Senza contare gli enormi interessi che gravitano attorno a tutto ciò. Quando si parla di pericolo di inflitrazioni mafiose si parla proprio di questo: l’interesse criminale non è tanto all’opera in sé, ma al movimento di materiali che ne deriva».

Benefici inferiori ai costi

Anche sul fronte costi-benefici Zanchini ha qualcosa da dire: se dovrà “sostentarsi” solo con i pedaggi, afferma, non c’è alcuna possibilità che questi ripaghino le spese. Oltretutto, a chi serve? Ai pendolari dello Stretto? Alle lunghe percorrenze? «Il numero di pendolari non giustifica l’investimento e per quanto riguarda le lunghe percorrenze basta guardare cosa c’è al di là del ponte. Si risparmierebbe qualche ora in treno su alcune tratte, tipo per Roma o Napoli, ma per il Nord l’aereo resta comunque più competitivo. E per quanto riguarda le merci, si dovrebbe puntare a ridurre il traffico su gomma e non il contrario. Ormai esistono traghetti in cui è possibile far entrare un treno intero, è qui che si dovrebbe investire, ma di tutto questo non si parla».

Arma di distrazione di massa

Allora perché la questione ponte viene puntualmente riportata a galla dopo anni di oblio? A chi giova tutto questo tira e molla? Anche su questo Zanchini ha le idee molto chiare. «Il ponte ha due grandi funzioni. La prima è quella di far vedere che c’è qualcuno che si occupa del Sud ed è più facile parlare di un’opera che non c’è che di infrastrutture reali. La seconda è che anche solo parlandone c’è chi ci guadagna: questi progetti vengono pagati a peso d’oro, a percentuale sul costo finale. Ecco anche perché c’è l’interesse a buttare a monte tutto quello che è stato fatto finora e ripartire da zero».

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