Cristi, santi e madonne arruolati dai boss. Quando la ‘ndrangheta va in processione

L’episodio di Zungri rappresenta l’ennesimo tassello di un mosaico a tinte fosche. La plateale devozione dei mafiosi che pretendono di partecipare da protagonisti ai principali cortei religiosi affonda le radici nella volontà di consolidare quel consenso popolare che costituisce la sua linfa vitale soprattutto nei piccoli centri. Ecco cosa accade nel Vibonese e nel resto della Calabria

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di G. B.
6 agosto 2018
13:57

Malavita e religione. Santi, madonne e processioni e la pretesa di boss, ed aspiranti tali, di avere un ruolo da protagonisti nelle varie manifestazioni. Per un profondo senso religioso, dichiarano. Più verosimilmente per una sottocultura propria della ‘ndrangheta che in Calabria affonda le sue radici nella notte dei tempi. C’è chi si sente il “braccio armato” della Madonna di Polsi e chi anche da latitante non dimentica di adornare i propri bunker di quadri e immagini sacre.


Di certo a tale mix di ignoranza e cultura criminale non si è sottratto, negli anni, il Vibonese e se è vero che la ‘ndrangheta ha usurpato persino San Michele Arcangelo alla polizia (della quale è il patrono) utilizzandolo nei riti di affiliazione, altrettanto vero è che mostrarsi platealmente in pubbliche manifestazioni, quali devoti alla Madonna o al santo di turno, genera consenso sociale e per il mafioso la cosa continua ad avere un fascino irresistibile.



Non desta pertanto meraviglia l’episodio accaduto ieri a Zungri, con il 59enne Giuseppe Accorinti beccato dai carabinieri a portare in spalla il quadro della Madonna della Neve, patrona del paese, durante la processione più sentita dagli abitanti. Una fedina penale lunga quattro pagine, con reati di ogni genere, quella di Peppone Accorinti, ritenuto dagli investigatori il capo dell’omonimo clan attivo nella zona del Poro, ma che per qualcuno non è bastata ad impedirne - o quanto meno ostacolarne - la partecipazione alla manifestazione religiosa.


«Perché tutti sono figli di Dio e la Madonna è di tutti», ha esclamato più di qualche cittadino di Zungri, anche se magari tanta devozione meriterebbe la commissione di qualche reato in meno - ed i precedenti di Giuseppe Accorinti parlano da soli - ed anche qualche frequentazione in meno. Già, le frequentazioni. Perché a questo punto diventa interessante per i militari dell’Arma andare pure a controllare quante frequentazioni, fermi in auto ed altro esistono nei loro archivi fra alcuni componenti del comitato organizzatore della processione e Giuseppe Accorinti.


Di sicuro, allo stato Peppone Accorinti, seppur libero e senza sorveglianza speciale, ha due procedimenti penali in corso: uno dinanzi al Tribunale di Roma per narcotraffico internazionale (operazione “Replay”) dopo l’annullamento con rinvio per competenza territoriale ad opera della Cassazione della condanna a 21 anni di carcere rimediata in primo e secondo grado, un altro per usura dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia nato dall’operazione “Odissea”.


Altre condanne sono invece già da tempo passate in giudicato, come quella per associazione mafiosa rimediata nel lontano 1987. Già solo questo avrebbe dovuto indurre a non permettere che Giuseppe Accorinti portasse in spalla il quadro della Madonna. Non solo per non far scadere manifestazioni religiose importanti come quella di Zungri la cui devozione popolare è anzi da salvaguardare ed ammirare, ma anche perché una precisa disposizione della Chiesa vieta ai condannati per reati associativi e di mafia di avere un ruolo nelle processioni di qualunque tipo.


Ingerenze simili in un recente passato, fra l’altro, hanno avuto anche risvolti penali e sono servite a dimostrare l’assoggettamento della popolazione e il condizionamento sociale che sono propri delle organizzazioni di stampo mafioso. È accaduto nella vicina Briatico, dove il ruolo del clan guidato da Antonino Accorinti e dai Bonavita ha trovato ampio spazio nelle pagine dell’inchiesta “Costa Pulita” visto che negli scorsi anni la statua della Madonna del Monte Carmelo - che si tiene ogni 15 luglio - e l’intera gestione dell’evento è stata appannaggio della consorteria criminale con la statua caricata su un’imbarcazione di Antonino Accorinti e guidata personalmente dallo stesso esponente dell’omonimo clan seguita da altre imbarcazioni.


Ingerenze dei clan non sono mancate - stando agli atti di diverse inchieste - anche nelle tradizionali Affrontate di Briatico, Sant’Onofrio, Stefanaconi, Sant’Angelo di Gerocarne e qualche decennio addietro anche a Vibo Valentia. La stessa città di Vibo Valentia che nel luglio del 2014 si è vista annullare la processione della Madonna del Carmine dopo che il comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica aveva sollevato osservazioni su alcuni portatori della statua che, secondo i rapporti delle forze dell'ordine, erano vicini alla cosca di 'ndrangheta dei Lo Bianco.


Ma l’attitudine dei boss a cercare il consenso nelle manifestazioni religiose si conferma endemico nell’intera regione. Risale al 2014 uno dei casi più eclatanti, quello di Oppido Mamertina, dove durante la processione della Madonna delle Grazie fu fatta sostare l’effigie davanti alla casa del Boss Mazzagatti. Il classico “inchino” che generò la reazione immediata del maresciallo dei carabinieri che si ritirò dalla manifestazione e informò subito dell’accaduto la Dda di Reggio Calabria. Alla presa di posizione dell’ufficiale seguì anche quella del vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, mons. Milito, che dispose la sospensione di tutte le processioni religiose nel territorio di sua giurisdizione.


L’esempio clou della religiosità mafiosa è però rappresentato dal santuariodi Polsi, in Aspromonte, dove per tradizione a settembre si riuniscono i principali esponenti delle consorterie ‘ndranghetiste da tutto il mondo. Qui si tracciano i bilanci dell’annata appena trascorsa, qui si programmano le nuove linee criminali, si stringono alleanze, si pianificano azioni delittuose. Il tutto sotto lo sguardo compassionevole di una Vergine sempre più Addolorata.

Giornalista
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