La ferocia dei caporali africani per sfruttare altri migranti: l'inchiesta

Ricostruito il sistema criminale che nella piana di Gioia Tauro vedeva i lavoratori irregolari stretti nella morsa tra proprietari italiani senza scrupoli e altri extracomunitari ingaggiati per tenerli sotto controllo e non pagarli

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di Francesco Altomonte
9 gennaio 2020
18:56

Il libro nero del caporalato nella piana di Gioia Tauro è composto da quasi 600 pagine, quelle che formano l’ordinanza di custodia cautelare che ha colpito i 29 indagati finiti nella maxinchiesta denominata “Euno”.

Al suo interno sono confluiti sei mesi di indagine, durante i quali i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria hanno ricostruito un vasto sistema di sfruttamento basato sulla coercizione psichica e anche fisica dei migranti.

Il capolarato nella piana di Gioia

Un sistema feroce, come sottolineato anche dal procuratore capo di Palmi Ottavio Sferlazza nell’incontro con i giornalisti. «È un fenomeno particolarmente grave, odioso – ha attaccato il capo della procura di Palmi – connotato da elementi di disvalore che non hanno uguali».

Un’analisi pesante, quella di Sferlazza che trova conferma, però, nei documenti che compongono l’atto di accusa nei confronti degli indagati, italiani e stranieri. Nelle carte dell’inchiesta, infatti, emerge un modello dello sfruttamento che potremmo definire “standard”. Da una parte c’è una pletora di diseredati che farebbe di tutto per una giornata di lavoro, dall’altra italiani senza scrupoli che sottopagano gli stagionali.


Botte e minacce

In mezzo ci sono un manipolo di caporali senza scrupoli, che lucra su trasporti e il lavoro altrui. Decine e decine di pagine dell’ordinanza è dedicata proprio a loro, alle intercettazioni nelle quali decidono prezzi e trattenute, in cui sbeffeggiano i lavoratori.

In quelle carte, però, c’è dell’altro: le denunce dei due ragazzi africani: uno minacciato pesantemente, l’altro preso a randellate in testa solo perché chiedevano di essere pagati.

Le denunce

«A te non deve interessare quello che mi dà – dice un caporale a un lavoratore – i soldi a voi li do io e tu non devi chiedere niente al titolare, lui i soldi li dà a me…».

Il rapporto tra caporali e stagionali sta tutto in questa frase: la totale sottomissione a colui che ti fa lavorare, ribellarsi vuol dire vuol dire restare a casa.

La denuncia dei due ragazzi ha dato la possibilità allo Stato di intervenire, adesso Sferlazza chiede certezza della pena e velocità nel processo, per fare in modo che il gesto di coraggio di quei due lavoratori non sia vano.  Domattina inizieranno al tribunale di Palmi gli interrogatori di garanzia, primo banco di prova per le istituzioni e il castello accusatorio messo in piedi dalla procura di Palmi.  

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