‘Ndrangheta: a processo anche l’ex rettore del santuario di Polsi

Il parroco è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa perché, è scritto nella richiesta, avrebbe svolto un ruolo di “mediatore nelle relazioni tra esponenti istituzionali ed esponenti della " ‘ndrangheta, funzionali allo scambio tra informazioni ed agevolazioni”
di Redazione
10 febbraio 2017
18:13

C'è anche il parroco di San Luca Giuseppe Pino Strangio, fino a pochi giorni fa rettore del Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, tra le 70 persone (e non 83 come scritto in precedenza) per le quali la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha chiesto il rinvio a giudizio. Tra i destinatari dei provvedimenti, anche il senatore di Gal Antonio Caridi.

 


Santuario di Polsi: don Antonio Saraco è il nuovo rettore

 

Don Strangio è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa perché, è scritto nella richiesta, avrebbe svolto un ruolo di "mediatore nelle relazioni tra esponenti istituzionali ed esponenti della "'ndrangheta, funzionali allo scambio tra informazioni ed agevolazioni". Il sacerdote ha lasciato la guida del Santuario, retta per una ventina d'anni, il 28 gennaio scorso quando il vescovo di Locri monsignor Francesco Oliva ha accolto la sua richiesta di dispensa avanzata proprio dopo avere ricevuto l'avviso di conclusione indagini. Il Santuario della Madonna di Polsi è un luogo di culto mariano noto anche per i summit che, secondo quanto è emerso da diverse inchieste, le cosche di 'ndrangheta vi tenevano in coincidenza della festa dell'1 e 2 settembre per decidere strategie e affari.   

 

Strangio, è scritto nella richiesta di rinvio a giudizio, "mediava nelle relazioni tra esponenti delle forze dell'ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della 'ndrangheta, in funzione di garante delle promesse e di agevolatore dello scambio tra le informazioni gradite ai primi e varie forme di agevolazione gradite ai secondi, in maniera che l'azione di contrasto dello Stato si nutrisse di apparenti successi, dietro ai quali nulla mutasse nelle reali dinamiche di potere interne alla 'ndrangheta (ovvero queste mutassero, grazie a 'guidati' interventi repressivi, secondo le strategie dei massimi esponenti dell'associazione criminale) ed in quelle correnti tra quest'ultima e le altre strutture di potere, riconosciute e non riconosciute, così rafforzando la capacità dell'organizzazione criminale di controllare il territorio, l'economia e la politica ed amplificando la percezione sociale della sua capacità d'intimidazione, generatrice di assoggettamento ed omertà diffusi". (Ansa).

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