Dalla ‘ndrangheta di Cosenza a ministro di Dio: il pentito Luciano Impieri studia per diventare diacono
Il collaboratore di giustizia, già affiliato del clan Rango-zingari, ha intrapreso questo percorso di fede. In precedenza, anche un pezzo grosso come Vincenzo Dedato aveva abbandonato il crimine per diventare testimone di Geova
In una vita precedente si presentava alla porta delle persone per bussare a denari. Ora, invece, busserà alle loro anime. Luciano Impieri, 44 anni da Cosenza, non è più solo un collaboratore di giustizia, ma entra ufficialmente a far parte dei criminali folgorati sulla via di Damasco. È di queste ore, infatti, la notizia che l’ex racketeer del clan Rango-Zingari studia per diventare diacono della chiesa cattolica. Una svolta maturata nei mesi scorsi, ma che è frutto di un’elaborazione cominciata nel 2018. In quel periodo, Impieri è ancora un membro di primo piano del clan allora egemone in città. È bravissimo a estorcere denaro a commercianti e imprenditori, è quella la sua vocazione, e non a caso il soprannome che gli affibbiano nell’ambiente - “Piccolo Patitucci” – ammicca a quel tipo di talento, già tratto distintivo del superboss. All’epoca, però, il suo clan è attraversato da dinamiche interne che lo turbano fino a destabilizzarlo. L’omicidio di Luca Bruni, epurazione che si consuma nel 2012, gli fa aprire gli occhi su un mondo, quello della malavita, dominato da tradimenti e sgambetti. Impieri si allontana man mano da una realtà che non riconosce più come sua, si secolarizza un po’ alla volta, e nel 2018, da uomo libero e senza pendenze giudiziarie sul groppone, inizia a collaborare con la giustizia. Sei anni dopo, quel patto pare lo abbia esteso pure all’Altissimo.
Su sponda cosentina, la sua conversione non rappresenta un caso isolato. Un passo analogo al suo era stato intrapreso anni prima da Vincenzo Dedato, un altro che le estorsioni le aveva nel sangue. Personaggio di terzo piano della vecchia malavita anni Settanta e Ottanta, salta tutta la gavetta criminale e, vent’anni più tardi, si ritrova catapultato ai vertici come contabile del neonato clan Lanzino. In pratica, il viceboss.
La montagna di denaro che porta nelle casse del gruppo è conseguenza diretta della sua abilità nel racket, ma la sua ascesa irresistibile si stoppa nel 2000, quando lo arrestano e poi lo condannano per un paio di omicidi. L’ergastolo incassato in primo grado sarà poi cancellato in Appello. Torna in libertà alla fine del 2006, dopo sei anni trascorsi dietro le sbarre, tutti in regime di 41 bis.
Ed è anche per questo che, a febbraio del 2007, il suo pentimento suscita un certo scalpore. Ha affrontato in silenzio anni e anni di carcere duro, e diserta proprio ora che non ha più nulla da temere? L’enigma lo chiarirà lui stesso in aula, alla prima occasione utile: «Ho intrapreso un percorso spirituale – spiega – che mi ha portato a diventare Testimone di Geova». Vale da contrappasso. C’è stato un tempo in cui, come e più che per Luciano Impieri, tutte le porte si schiudevano al passaggio di Vincenzo Dedato. Ora, invece, anche lui, dopo aver suonato un campanello, mette in conto che, dall’altra parte, qualcuno finga di non essere in casa.