Il maxiprocesso

Rinascita Scott, gli attentati ordinati da Morelli e i retroscena del pestaggio a Giuseppe Mancuso

Il pentito Bartolomeo Arena spiega ulteriori dettagli sul profilo criminale di Salvatore l’Americano. Le armi nascoste in casolari e scantinati e l'aggressione al figlio di Vetrinetta insieme a Mantella

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di Pietro Comito
3 agosto 2021
12:58
Gli imputati in videocollegamento
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Tra gli attentati raccontati da Bartolomeo Arena nell’ultima udienza del maxiprocesso Rinascita Scott, anche quello alla Bartolini, colosso delle spedizioni con sede a Vibo Valentia. «L’idea nacque da un accordo tra Peppone Accorinti e Mommo Macrì – spiega il collaboratore –. Già in precedenza Mommo Macrì e Salvatore Morelli fermarono in città un corriere di Bartolini minacciandolo. A raccontarmelo fu proprio Morelli. Lo fecero scendere dal furgone, credo lo abbiano pestato, ma di più non so. So che nella zona di Vena di Ionadi furono effettuate anche altre estorsioni, come alla Stocco&Stocco».

Arena ricorda anche come sia stata di Salvatore Morelli l’idea di posizionare il delfino morto, che avrebbe rinvenuto sulla spiaggia di Trainiti mentre era in compagnia di Gregorio Niglia, davanti alla sede dell’azienda dell’imprenditore Francesco Michelino Patania. Sempre Morelli sarebbe stato il mandante degli attentati al negozio di autoricambi Mangiardi, eseguita da Michele Dominello e Michele Pugliese Carchedi, poi al furgone di Fausto De Angelis, già consigliere comunale a Vibo Valentia e titolare di due esercizi commerciali, eseguito da Domenico Tomaino, infine del taglio dei tendoni di protezione al parco archeologico di Vibo Valentia, ad opera di Michele Manco e Michele Pugliese Carchedi.


Il dichiarante rammenta come il suo gruppo possedesse una mole considerevole di armi, custodite in vari luoghi. Al vasto campionario di armi poi sequestrate nel casolare di Filippo Di Miceli a Piscopio, si aggiungono quelle nascoste «in diversi scantinati dei quali avevo le chiavi e spesso i proprietari non sapevano neppure cosa tenevamo lì».

Bartolomeo Arena racconta ulteriori dettagli, finora ignoti, circa il pestaggio a cui il figlio di Pantaleone Mancuso alias Vetrinetta, Giuseppe, fu sottoposto da Andrea Mantella e Salvatore Morelli: «Rispose male a Mantella e dopo che lo picchiarono, questo ragazzo raggiunse la macchina muovendosi come un cagnolino tanto che era messo male. Da allora Mantella dovette guardarsi, aspettandosi una reazione. Così Antonio Macrì venne da me a dirmi che Mantella aveva problemi di armi corte, avendo solo armi pesanti, come kalashnikov e fucili. Così fui io a procurare due pistole che furono consegnate a Mantella, che nei giorni successivi ricevette diverse imbasciate. Andò da lui, per esempio, Mario Di Rito che portava un messaggio di Antonio Mancuso, ma appena disse “Antonio Mancuso”, Mantella picchiò pure De Rito. Poi a Mantella arrivò un messaggio di Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni” che mandò a dire a Mantella che siccome quello era solo un cugino e non gli interessava, non sarebbe accaduto nulla»

Giornalista
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