La riduzione dei consumi, l’aumento dei costi di gestione e lo spopolamento dei comuni aggravano una situazione già critica. A lanciare l’allarme è Confcommercio
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Meno incassi, più costi di gestione. Negli ultimi dodici anni più di 140mila esercizi commerciali al dettaglio hanno cessato l’attività. Nei prossimi dieci anni chiuderanno altri 111mila negozi. La crisi demografica e occupazionale, la riduzione dei consumi da parte delle famiglie, le città con costi della vita e con costi d’impresa insostenibili e lo spopolamento dei comuni aggravano una situazione che oggi è già al limite. Da Nord a Sud accade ovunque, ma ci sono aree del Paese in cui il fenomeno è destinato ad aggravarsi.
A lanciare l’allarme è Confcommercio e i dati che diffonde sono preoccupanti: la tendenza all’abbandono delle attività è costante, inarrestabile ed in crescita. Tra i dieci comuni con la più alta densità commerciale destinati - entro il 2035 - a perdere il maggior numero di imprese del settore ci sono Cosenza e Vibo Valentia.
Secondo Confcommercio nei prossimi dieci anni nel capoluogo dei Bruzi la popolazione calerà del 4,3% e chiuderà il 20,7% dei negozi. Nella città di Vibo Valentia il numero di abitanti crollerà dell’11,5% e si perderà il 15,9% delle attività commerciali. Tra le prime dieci città a rischio c’è anche Crotone, per cui Confcommercio stima che a fronte di una perdita di popolazione pari all’8,3% ci sarà invece un aumento del numero dei negozi pari allo 0,6%.
Via i punti vendita, nel nostro Paese aumenta il numero dei negozi sfitti ed improduttivi. Confcommercio stima che gli ex magazzini abbandonati sono circa 105mila, un quarto dei quali inutilizzati da oltre un anno. In Calabria sono 4.355, il 15,9% del totale. La regione che in termini di numeri ne conta di più è la Lombardia con 9.447, mentre in termini percentuali rispetto all’intera rete di distribuzione commerciale il record spetta alla Valle d’Aosta con il 28,1%. Confcommercio avverte che in mancanza di nuove politiche di rigenerazione urbana entro il 2035 il numero di imprese del commercio al dettaglio, ambulanti compresi, diminuirà del 21,4% e chiuderanno altre 111mila attività. Continuerà il trend negativo registrato per bar ed alberghi con nuove chiusure e perdite di posti di lavoro mentre crescerà ulteriormente il numero delle imprese del commercio online insieme a bed & breakfast, appartamenti per affitti brevi e ristoranti.
Crisi del commercio, cosa sta accadendo in Italia
La crisi è generalizzata e colpisce grandi e piccole strutture di vendita. La crisi dei consumi delle famiglie si porta dietro tutto il sistema del commercio locale che soffre sia per i minori incassi sia per l’aumento dei costi di gestione degli esercizi commerciali: locazione, tributi comunali, spesa energetica. I negozi di quartiere scompaiono anche perché le piccole attività non riescono a reggere il confronto con la grande distribuzione organizzata e con le piattaforme di vendita online. Queste ultime sono cresciute in maniera esponenziale accogliendo milioni di piccoli venditori: in pochi anni le imprese del comparto con le loro vetrine virtuali sono più che raddoppiate.
Nell’ultimo decennio è già sparito un quarto dei negozi di mobili e ferramenta, di abbigliamento e di calzature. Lo stesso calo si registra sul fronte del commercio ambulante: -24,4%. Nel settore della ristorazione e dell’accoglienza hanno perso molto terreno i bar, -19,1%, e la pandemia, unita alla crisi generalizzata dei consumi per beni e servizi, ha costretto alla chiusura il 9,5% delle strutture alberghiere. Numeri in crescita, e non di poco, per bed & breakfast e appartamenti per affitti brevi che nel 2024 sono il 92,1% in più rispetto al periodo pre-covid19. Aumenta - anche se in maniera più contenuta - il numero degli alberghi, +17,1%, delle farmacie, +16,9%, dei negozi di telefonia e di computer, +4,9%.



