Il pontefice prepara la sua prima visita in Algeria: non è solo il passato aureo della Chiesa delle origini. È anche un luogo di martirio e di memoria recente
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
“Una pace disarmata, e disarmante”. Così ha detto Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, nella sua prima benedizione Urbi et Orbi. E fin dalle prime parole, si è intuito che il nuovo Pontefice parla un linguaggio che unisce teologia, storia e memoria. Un linguaggio che, presto, avrà un corpo e un volto: quello del suo primo viaggio apostolico, destinazione Algeria, più precisamente Annaba, l’antica Ippona dove visse e morì Sant’Agostino.
La scelta non è solo spirituale, è identitaria. Leone XIV viene dall’Ordine degli Agostiniani, di cui è stato priore generale per oltre un decennio. E il legame con l’Algeria è profondo: in quella terra, proprio Agostino fu vescovo dal 395 al 430 d.C., e ad Annaba oggi si trovano ancora le rovine della sua cattedra episcopale, nella basilica a lui dedicata, diventata negli anni simbolo di dialogo interreligioso e cooperazione.
Ma l’Algeria non è solo il passato aureo della Chiesa delle origini. È anche un luogo di martirio e di memoria recente. Leone XIV lo ha ricordato indirettamente già nella sua omelia d’insediamento, citando la preghiera lasciata da uno dei 19 martiri d’Algeria: “Signore, disarmali. E disarmaci”. Parole scritte da Christian de Chergé, priore del monastero trappista di Tibhirine, rapito e ucciso nel 1996 insieme a sei confratelli durante la guerra civile che insanguinò il Paese tra il 1992 e il 2002.
Una guerra oscura, chiamata “Décennie noire”, che causò oltre 150.000 morti e vide nel mirino religiosi cristiani e musulmani, vittime di gruppi armati islamisti come il GIA e l’AIS. Tra loro, anche due suore agostiniane missionarie, Esther Paniagua Alonso e María Caridad Álvarez Martín, assassinate ad Algeri nel 1994. Esther, infermiera, aveva imparato l’arabo per curare bambini disabili nel quartiere popolare di Bab el-Oued. Caridad aveva trascorso oltre trent’anni nel Paese, fedele fino alla fine alla sua missione: “Voglio rimanere in questa attitudine davanti a Dio”, aveva detto.
Oggi le suore agostiniane sono ancora presenti in Algeria, con comunità attive a Dar El Beida e presso Notre Dame d’Afrique. Il loro lavoro prosegue in silenzio: educazione, assistenza sanitaria, empowerment femminile. Una testimonianza viva che Leone XIV conosce bene, e che intende onorare con la sua visita.
Ma c’è anche una dimensione politica, inevitabile. Per un Papa che invoca pace e disarmo, scegliere come prima meta un Paese dove la Chiesa ha versato sangue silenzioso è una dichiarazione d’intenti. Annaba, con la sua basilica restaurata e animata dai frati agostiniani, è oggi un laboratorio di convivenza e solidarietà, sostenuto anche dalla Fondazione Agostiniani nel Mondo, che promuove iniziative culturali e sociali rivolte ai giovani, agli anziani e ai migranti.
In un’intervista alla TV pubblica italiana, quando ancora era cardinale, Prevost aveva detto: “La voce della Chiesa non come istituzione, ma come comunione dei fedeli, è oggi la voce che offre speranza. Anche in situazioni di violenza e guerra”. La sua Algeria sarà proprio questo: una tappa di speranza in una terra martoriata ma viva, dove il Vangelo si è intrecciato con l’islam e con la storia.
E se la memoria di Sant’Agostino resta il faro spirituale, il sangue dei martiri d’Algeria ne è l’eco contemporanea. La visita di Leone XIV ad Annaba non sarà solo un gesto simbolico, ma un ponte tra la Chiesa delle origini e la Chiesa del futuro: disarmata, umile, eppure capace di disarmare.