«Mi avete chiamato per portare una croce». Inizia così, con una frase pronunciata a braccio in inglese davanti ai cardinali nella Cappella Sistina, il pontificato di Papa Leone XIV.

Un'espressione netta, che racchiude in sé lo stile sobrio e diretto del nuovo Vescovo di Roma. Subito dopo, con tono pacato ma fermo, il Papa ha proseguito: «Voglio che camminiate con me», dando avvio a una prima omelia che non ha fatto sconti né usato giri di parole. In un mondo che – ha detto – «preferisce tecnologia, denaro, successo, potere e piacere», la fede è ormai considerata «una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti».

Nessuna concessione alla retorica. Né richiami a un consenso facile. Il nuovo Pontefice, al secolo Robert Francis Prevost, ha scelto parole radicali. «Ridurre Gesù a un leader o a un superuomo», ha avvertito, «è ateismo di fatto». Un passaggio che ha colpito tutti i presenti, perché pronunciato in modo semplice ma intransigente. Cristo – ha ribadito – non è un’icona rassicurante da social o un modello di efficienza da emulare, ma il Figlio di Dio, da seguire nella croce e nella verità. È stato un inizio denso, profondamente evangelico, lontano da ogni trionfalismo: «Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli Apostoli, affida a me questo tesoro perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore a favore del Corpo mistico della Chiesa».

Celebrata nella lingua universale del latino, la liturgia ha visto le letture in inglese e spagnolo – le lingue più parlate dal nuovo Pontefice, figlio di Chicago e missionario per anni in Perù. Il Vangelo era tratto da Matteo, con le parole fondative del primato petrino: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Il canto, in italiano, ha risuonato sotto la volta michelangiolesca come un’eco solenne della storia millenaria che da oggi Leone XIV è chiamato a guidare.

Ma la parte più forte del messaggio è arrivata verso la conclusione. «Ci sono ambienti in cui non è facile testimoniare il Vangelo – ha detto – dove chi crede è deriso, disprezzato o compatito. Ma proprio per questo, in quei luoghi urge la missione, perché dove manca la fede si diffondono ferite profonde: la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la crisi della famiglia, la violazione della dignità della persona». È stato il momento in cui la voce di Prevost si è fatta più vibrante, quasi accorata. Perché la Chiesa – ha spiegato – non può restare ferma, né parlare da sola. Deve «sparire perché rimanga Cristo, farsi piccola perché Lui sia conosciuto e glorificato».

Al termine della messa pro ecclesia, i cardinali si sono raccolti attorno al nuovo Papa per la benedizione. La Cappella Sistina, da secoli teatro delle elezioni papali, si è trasformata ancora una volta in un crocevia di storia e futuro. E mentre nel pomeriggio si riunisce il comitato per l’ordine e la sicurezza in vista della solenne cerimonia d’intronizzazione, una cosa è già chiara: il nuovo Papa non intende compiacere il mondo. Ma nemmeno condannarlo. Intende amarlo. Anche a costo di portare una croce.