Un viaggio storico e pedagogico, dal canto gregoriano alle avanguardie, per ricordare che l’ascolto è cura e formazione dell’essere umano
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L’importanza della musica come strumento di origine dell’individuo immerge le sue radici nella classicità: “Penetra nelle profondità dell’anima” ci dice Platone, ed è quindi capace di modellarne la struttura morale, come un’armonia cosmica che regge il mondo.
La musica classica è una potenza etica: ha effetti specifici sull’animo, veicolo di verità, strumento di elevazione spirituale. Nei secoli la musica classica diventa l’eco del divino. Il canto gregoriano – austero, modale, contemplativo – rispecchia la verticalità della fede, la tensione dell’anima verso l’assoluto. Le grandi cattedrali sonore del repertorio medievale e gotico si edificano su una concezione dell’arte come “mistero rivelato”.
Con l’Umanesimo e il Rinascimento, la musica si umanizza, senza perdere la sua dimensione spirituale. Nasce la polifonia, quella “geometria dell’ascolto” che raggiungerà il suo apice con Palestrina, Monteverdi. In questa fase, l’arte musicale inizia ad assumere una forma autonoma, dialogando con la poesia, la filosofia.
Il Seicento, epoca barocca per eccellenza, inaugura una nuova stagione della musica: continuando nella sua riflessione mistica, ma soprattutto nell’esplorazione della passione umana. È l’epoca di Bach, Vivaldi, Händel. Johann Sebastian Bach, in particolare, rappresenta una sommità assoluta: la sua musica unisce simmetria tecnica e tensione spirituale. Le Variazioni Goldberg, la Messa in si minore, L’arte della fuga sono: equilibri divini, disegni dell’interiorità, sussurri all’infinito.
Il barocco mostra l’importanza dell’equilibrio tra razionalità e sentimento, tra ordine e creatività. Nella musica di quel tempo, ogni nota ha una funzione, ogni silenzio un significato. È un esercizio di concentrazione, ma anche di empatia: una pedagogia emotiva che oggi, in tempi di disconnessione affettiva, è quanto mai urgente riscoprire.
Con il Settecento e l’avvento dell’Illuminismo, la musica si fa linguaggio universale: Mozart, Haydn, il giovane Beethoven: tutti cantori della proporzione, della misura, della bellezza. In Mozart, particolarmente, convivono la levità e il funesto, la grazia e lo sconforto, l’umano e il celestiale. Ascoltare Mozart, indica riscoprire l’innocenza e lo spessore in un unico gesto. È annoverare che la semplicità è spesso la forma più alta di complessità, accende la curiosità filosofica, esercita il pensiero logico. È uno strumento pedagogico raffinato, capace di forgiare spiriti liberi e critici.
Dunque, si arriva all’Ottocento romantico che spalanca le porte alla soggettività. Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin, Brahms, Liszt: la musica diventa specchio dell’interiorità, confessione dell’indicibile, espressione del sublime. È il tempo in cui la sinfonia diviene epopea e il pianoforte diario vitale. In questa stagione, la musica classica si fa dramma, passione, lotta, speranza. L’educazione musicale in questo senso è anche educazione alla complessità emotiva, all’accettazione delle contraddizioni dell’essere umano.
Accade però qualcosa nel Novecento musicale: un territorio frastagliato, difficile, ma estremamente ricco. Da Debussy a Stravinsky, da Schönberg a Shostakovich, da Mahler a Messiaen, la musica classica si fa linguaggio della crisi e della rigenerazione. È il secolo delle guerre, dell’inquietudine, del disincanto. Ma anche il secolo della resistenza attraverso la bellezza.
Educare all’ascolto del Novecento significa educare all’incertezza, alla molteplicità. Si tratta di rassicurare, ma soprattutto di interrogare, provocare, stimolare. È una lezione che vale tanto per i giovani, chiamati a decifrare un mondo frammentato, quanto per gli adulti, spesso tentati dal rifugio nell’effimero.
Fino ad arrivare nel nostro tempo, dove il tempo stesso sembra essersi contratto in un presente fatto di notifiche, distrazioni, informazioni tossiche e contenuti inutili e di scarso valore, la musica classica rappresenta una forma di resistenza culturale. Essa chiede attenzione, dedizione, apertura, arte da contemplare e vivere.
Per questo nostro secolo, l’incontro con la musica classica può essere rivoluzionario. Può rappresentare la scoperta di una profondità perduta, di una lingua sconosciuta che però parla il linguaggio della bellezza. Può insegnare la disciplina senza autoritarismo, la libertà senza anarchia, un ritorno al senso, alla memoria, all’essenziale. È l’occasione per riconciliarsi con il proprio tempo interiore, per rallentare, per ascoltare davvero.
Insegnare la musica classica, ascoltarla, proteggerla, promuoverla, è un atto politico e culturale. È affermare che l’essere umano ha bisogno di fascino, di profondità, di silenzio. È ricordare che esiste qualcosa di più grande di noi, che merita rispetto, studio e amore.
In tempi in cui tutto scorre via in superficie, la musica classica ci invita a sostare, ad ascoltare, e forse, proprio per questo, è più necessaria oggi che mai.
L’educazione musicale in questo senso è anche educazione alla complessità emotiva, all’accettazione delle contraddizioni dell’essere umano.