Coronavirus, tutto il mondo lavora al vaccino: ecco quanto tempo serve

È partita la corsa per aiutare i malati. Scienziati al lavoro: tra qualche mese si dovrebbe avviare la sperimentazione sull'uomo

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di Redazione
31 gennaio 2020
13:09
Vaccini
Vaccini

Si comincia a lavorare sul vaccino contro il coronavirus 2019-nCoV (i casi accertati in Italia sono due). I medici di tutto il globo sono al lavoro per cercare una soluzione alla pandemia e nel giro di tre mesi si dovrebbe avviare la sperimentazione sull’uomo.

 


Nell'era delle mappe genetiche e di internet questo sforzo è possibile anche senza che il virus debba uscire dalla Cina. Proprio da qui è arrivato il primo annuncio, seguito da quello degli Stati Uniti, e sono almeno cinque le aziende che nel mondo occidentale stanno lavorando in questa direzione, una delle quali si trova in Italia.

Partita la corsa per aiutare i malati

Intanto è partita la corsa per aiutare i malati. Lo Shanghai East Hospital dell'Università Tongji si è detto pronto a sviluppare un vaccino in collaborazione con l'azienda Stermirna Therapeutics; poi è stata la volta di una delle maggiori autorità internazionali nel campo dei vaccini, Anthony Fauci, direttore dell'Istituto americano per le malattie infettive (Niaid) dei National Institutes for Health (Nih): «abbiamo già cominciato, insieme con diversi nostri collaboratori». Si tratta di un processo lungo e che presenta incertezze, ha aggiunto Fauci che calcola in almeno tre mesi l’inizio della prima fase dei test sugli esseri umani. «Per preparare un vaccino servono molti anni - spiega -. Ma, in questo caso, gli scienziati ci stanno lavorando dal 2003. Grazie agli studi sulla Sars, altro coronavirus, hanno bisogno di meno tempo».

Il vaccino quando sarà pronto?

Più prudente nel dare i numeri è Rino Rappuoli. Il microbiologo italiano di fama internazionale, con una cattedra all'Imperial College di Londra, come riporta una articolo di Enza Cusmai per “il Giornale”,  afferma che «la sequenza genetica è già nota e il vaccino potrebbe essere ottenuto nell'arco di una settimana» ma «c' è da fare la produzione su larga scala, con i necessari requisiti di qualità fissati dalle norme internazionali, la sperimentazione sull' uomo e l' approvazione del vaccino da parte delle autorità. In caso di emergenza e con nuove tecnologie possono essere più brevi, ma si va da uno a tre anni».

Dello stesso parere il virologo Fabrizio Pregliasco: «Per il lavoro di laboratorio serve solo qualche settimana. Ma poi si deve aspettare la risposta degli anticorpi nei test. Che avvengono prima sui topi poi sugli umani. E per questo delicato passaggio servono almeno sei mesi. In totale passa un anno e forse più. Gli errori non sono ammessi. Un vaccino che va usato su miliardi di persone dev' essere sicuro».

Vaccino costruito al computer

In ogni caso sarà un vaccino costruito al computer e basato sull'informazione genetica. Il vaccino «non potrà essere quello classico basato sul virus inattivato: dovrà essere un vaccino di tipo genetico, basato sull'informazione contenuta nel materiale genetico del virus», ha detto all'Ansa Luigi Aurisicchio, amministratore delegato dell'azienda di biotecnologie Takis, di Roma, che sta lavorando al vaccino contro il nuovo coronavirus. 

 

Non è infatti più necessario, come un tempo, avere fisicamente a disposizione il virus: basta conoscerne il materiale genetico. Quest'ultimo è liberamente accessibile online e a tutti i ricercatori del mondo perché è stato depositato nelle banche dati GeneBank e Gisaid.

La tecnologia messa a punto dall'azienda italiana

La tecnologia messa a punto dall'azienda italiana consiste nel prendere un frammento del genoma del virus e nel clonarlo nei filamenti circolari di Dna presenti nei batteri. Il pacchetto così ottenuto viene iniettato nel muscolo e poi una breve scossa elettrica fa entrate il vaccino all'interno della cellula, nell'area diversa dal nucleo chiamata citoplasma. Le cellule producono così una sostanza che può essere riconosciuta dal sistema immunitario (chiamata antigene) e la portano sulla loro superficie.

La tecnica di somministrazione, chiamata elettroporazione, viene utilizzata attualmente per alcune forme di chemioterapia e in passato era prevista anche per il vaccino contro un altro coronavirus, quello responsabile della Mers (Middle East Respiratory Syndrome) del 2015.

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