Diritti sospesi

Sanità Calabria, la cattiva coscienza delle liste d’attesa: ecco perché sono infinite e chi dovrebbe risponderne

In Italia è in vigore una normativa per sveltire le prestazioni mediche che prevede tempi massimi per l’erogazione e relative sanzioni per chi non fa rispettare le regole. Ma qui nessuno si preoccupa di applicare la legge. E la sanità privata ringrazia

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di Alessia Principe
23 marzo 2024
06:15

«Pronto? Dovrei prenotare una colonscopia». Dopo 10 minuti il centralinista del Cup dell’ospedale di Cosenza risponde alla chiamata. Prima data utile per l’esame: 14 marzo 2025. Un anno, quasi esatto, da oggi. La ragazza dall’altro capo del telefono specifica: «Tenga conto che possono accedere al laboratorio di secondo livello, che è il solo disponibile qui, solo le persone affette da alcune patologie: chi ha subito un trapianto, pazienti con sindrome di Crohn, sospetta celiachia o neoplasia ecc. Queste sono le indicazioni». Di solito i “fragili” hanno la priorità, non è questo il caso. Tutt’altro.

Pazienti impazienti

I cahiers de doléances della sanità sono sempre fitti di lamentele: da un lato quelle dei pazienti (nomen omen perché la pazienza è lo stato d’animo richiesto a chi vuole essere curato o controllato a dovere) dall’altro dei camici bianchi che segnalano croniche carenze di organico. Dicevano i saggi: una squadra non segna, se non organizzata nel modo giusto. La domanda allora è: sul serio le liste d’attese non possono essere smaltite velocemente? È questione di possibilità o di volontà? E qui in Calabria, a fronte di prenotazioni che slittano di anno in anno, si può parlare di mala organizzazione o è solo questione di carenza di risorse o sfortuna?


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Attendere prego...

Al solito la teoria sembra ineccepibile, ma è la messa in pratica il problema. Per teoria si intende una carta che si chiama Piano nazionale delle liste d’attesa. Varato nel 2019 (in vigore fino all'entrata del nuovo) mira a smantellare cattive pratiche e a velocizzare le prestazioni sanitarie, con effetti a pioggia più che benefici: diagnosi precoci e pazienti in grado di curarsi prima e meglio.

Questione di priorità

Vediamo quali sono i punti cardine di questo Piano approvato dalle Regioni. In primis prevede un ordine nella compilazione delle priorità: U (Urgente) prestazione da eseguire nel più breve tempo possibile e, comunque, entro 72 ore; B (Breve) da eseguire entro 10 giorni; D (Differibile) da eseguire entro 30 giorni per le visite o 60 giorni per gli accertamenti diagnostici; P (Programmata) da eseguire entro 120 giorni dal 2020 (fino ad allora il timing era di 180 giorni). In questo caso, tornando alla chiamata iniziale, quella relativa alla colonscopia, sembra di vivere in un’altra dimensione. Quattro mesi di attesa massima consentita, contro i 12 mesi prospettati.

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La faccenda dell’intramoenia

La cosa più interessante riguarda la parte delle prestazioni intramurarie, cioè quelle che i medici effettuano a pagamento all’interno delle strutture pubbliche (su autorizzazione). Secondo questo Piano in caso di sforamento dei tempi di attesa (quelli indicati dalle sigle di priorità) scatta la possibilità per il cittadino di ottenere – dietro formalizzazione della proceduta da parte della dirigenza sanitaria – la prestazione in intramoenia pagando solo il ticket. Il professionista sarà poi retribuito dall’azienda sanitaria.

Leggiamo ancora. «In caso di superamento del rapporto tra l’attività in libera professione e in istituzionale sulle prestazioni erogate e/o di sforamento dei tempi di attesa massimi già individuati dalla Regione, si attua il blocco dell’attività libero professionale, fatta salva l’esecuzione delle prestazioni già prenotate». Insomma non si scappa, i termini vanno rispettati, altrimenti scattano le sanzioni anche nei confronti dei Direttori Generali «che potranno essere rimossi se non rispetteranno i tempi massimi di attesa stabiliti per legge». Alla Regione, poi, il compito di vigilare «sul rispetto del divieto di sospendere l’attività di prenotazione (liste bloccate, agende chiuse)».

Il Piano era stato pensato nei dettagli per permettere al sistema sanitario di non lasciare i cittadini in balia delle onde o dei privati che le prestazioni le eseguono subito e a carissimo prezzo. La disciplina prevista si applica «allorquando una ridotta disponibilità temporanea di prestazioni in regime istituzionale metta a rischio la garanzia di assicurare al cittadino le prestazioni all’interno dei tempi massimi regionali». Chiaro come il sole.

Il recall per pulire le agende

Altro strumento a disposizione per smaltire le liste è il rafforzamento del cosiddetto “recall”. Una cosa semplice che i privati attuano correntemente per rendere più efficiente il lavoro (c’è sempre da imparare dai privati), e che altro non è che una chiamata fatta al paziente prenotato per confermare data e ora della prestazione. Non è inusuale che un paziente che riceva la prenotazione per una Tac da qui a tre mesi decida di pagare di tasca propria e finire in qualche centro privato senza preoccuparsi di cancellare la prenotazione ospedaliera. Ed ecco che entrano in gioco gli operatori telefonici che, secondo il piano, potrebbero verificare modifiche o disdette procedendo, così, a una fondamentale pulizia delle agende di prenotazioni così da evitare “forzature”, cioè le prestazioni che non rispettano l’ordine cronologico fatte per coprire i buchi last minute (pazienti che non si presentano).

Il Rao per ridurre i tempi

Non è finita qui. Esiste anche il Rao, che sta per “raggruppamenti omogenei di attesa”, che va a stabilire la procedura per l’applicazione gestionale. Come funziona? Semplicissimo. Fase uno: il medico, in base all’urgenza rilevata, compila l’impegnativa e scrive un codice di priorità. Fase due: calcolo del tempo massimo di attesa nel momento in cui la persona contatta il CUP.

Il modello si basa su “parole chiave” che individuano una certa priorità del paziente in sinergia con il medico prescrittore e lo specialista. Insomma al sorgere di sintomi è necessario individuare con la maggiore precisione possibile, quali sono gli esami da effettuare senza procedere “a tappeto”, ma restringendo il campo il giusto e dando un tempo massimo per la prestazione. Facciamo un esempio. Per un ecodoppler cardiaco (leggiamo dalla tabella) in caso di aritmie documentare da un holter il tempo massimo di attesa è di 10 giorni, in caso di sospetta cardiopatia sintomatica infantile, il tempo massimo è di 72 ore e la classe di priorità è U (urgente).

La domanda ritorna. Possibile che con questi strumenti (sospensione intramoenia, Rao, e indicazioni priorità con relativa minaccia di sanzioni) per un esame diagnostico in Calabria si debba aspettare un anno? Sono mai scattate sanzioni? Soprattutto, è legale tutto questo?

 

Giornalista
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