Carenza idrica in Calabria, interi territori in ginocchio. Ma la responsabilità è di tutti

La Sorical non è in grado di gestire la preziosa risorsa, la Regione latita e i sindaci non pianificano soluzioni. Ma anche i cittadini si limitano a lagnarsi sui social

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di Alessandro Stella
20 agosto 2020
18:38

Vibo Valentia, Ricadi, Monterosso, Tropea. Sono solo alcuni territori da cui in pochi giorni ci sono giunte segnalazioni di gravi carenze idriche, in alcuni casi prolungati per giorni. E la lista, possiamo scommetterci, è molto più lunga di questa e si può estendere a tutte le province della Calabria. Stando ai nostri riscontri diretti, tutto il Vibonese è in ginocchio per un problema di cui si parla da decenni. E se un problema non è stato risolto in tutti questi anni, vuol dire che non si vuole risolvere.

 


La Sorical, società a prevalente capitale pubblico che gestisce la rete idrica regionale, dovrebbe curare “il completamento, l’ammodernamento e l’ampliamento degli schemi idrici di grande adduzione, accumulo e potabilizzazione”, secondo quanto riportato sul sito istituzionale. E qui un sorrisetto viene quasi spontaneo, soprattutto sulla parola “ammodernamento”.

 

Da quel che ci risulta, infatti, il gestore, guidato dal supermanager Luigi Incarnato, si limita a inviare comunicati agli enti per segnalare continui guasti sulle condotte obsolete (ma non dovevano ammodernarle?), e macigni che distruggono tubature, eventi eccezionali che si accompagnano alla normalità: carenze prolungate che ingenerano esasperazione nella popolazione e che risultano alquanto ingiustificate, visto che la Calabria è una delle regioni più ricche di acqua nel sottosuolo.

 

Se i risultati sono quelli che riscontriamo sistematicamente ogni estate, e se due più due fa sempre quattro, la Sorical non è in grado di gestire un simile patrimonio, visti anche i debiti prodotti nel corso degli anni.

 

Poi ci sono loro: gli amministratori locali. Tonnellate di ordinanze che vietano l’utilizzo di acqua comunale per piscine, irrigazione, lavaggio mezzi e usi che non siano strettamente necessari. I sindaci calabresi sono efficientissimi distributori automatici di ordinanze, ma fallimentari risolutori di problemi. Sono rari gli esempi di amministrazioni che hanno avuto il buon senso e la lungimiranza di creare pozzi comunali da cui attingere per rendersi indipendenti da un gestore che, se fosse stato una grande azienda privata, avrebbe già dato da tempo il benservito ai responsabili, con relativa richiesta milionaria di risarcimento.

 

Ma i primi cittadini sono coriacei, non demordono e proseguono, beati, nella loro indifferenza: nessuno alza la voce, nessuno chiama in causa la magistratura, nessuno previene mesi prima una situazione che non salta mai un giro estivo, nessuno si rivolge alla cittadinanza dicendo chiaramente qual è la reale situazione, nessuno fa mea culpa o prova un minimo di vergogna, perché tanto «è sempre andata così».

 

Si pensa bene a investire soldi pubblici in sagre, manifestazioni culturali e pennacchi vari (quest’anno per fortuna attenuati dalla pandemia), anziché badare all’abc dell’amministrazione, in cui rientra anche la catastrofica gestione rifiuti, che evitiamo di trattare in questa sede perché non basterebbe un tomo enciclopedico (così come il tema della potabilità dell’acqua).

 

E la Regione? La presidente Santelli ha la minima idea della portata del problema? E l’assessore De Caprio, da cui dipende la “pianificazione e gestione del ciclo integrato delle acque” (per come si legge sul sito della Regione), si farà sentire, prima o poi? E ancora: il settore tecnico Risorse idriche esiste ancora o è morto per disidratazione? E ci fermiamo qui per evitare scurrilità.

 

Il problema di fondo è che, purtroppo, non siamo neppure di fronte all’assunto gattopardesco del cambiare tutto perché tutto resti com’è. Qui non si fa neppure finta di cambiare, è una condizione cristallizzata che sembra fare comodo a tutti, tranne ai fruitori ultimi, che si ritrovano così a dover pagare un servizio che non viene erogato come dovrebbe e a ingrassare autobotti private per un bene la cui distribuzione denota il grado di civiltà di un popolo.

 

E quindi, se due più due fa sempre quattro, noi calabresi, supini di fronte a tutto questo e capaci solo di sbraitare sui social, siamo un popolo di incivili!

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