L’intervista

La montagna calabrese spiegata dal prof Bombino: «Aspromonte foresta più a sud d’Europa, tra felci preistoriche e specie uniche»

L’esperto docente dell'Università Mediterranea è autore di numerosi studi e pubblicazioni: «Conservazione dei boschi e resilienza per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici»

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di Franco Laratta
24 febbraio 2024
13:28
Nel riquadro Giuseppe Bombino
Nel riquadro Giuseppe Bombino

I mutamenti climatici, l’agricoltura, l’ambiente e il turismo. In questo nostro terzo appuntamento parliamo con il prof Giuseppe Bombino, uno studioso ed esperto in difesa e conservazione del suolo e dinamiche idro-geo-morfologiche dei corsi d’acqua dell’ambiente mediterraneo; docente dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, dipartimento di Agraria, autore di numerosi studi, ricerche e pubblicazioni scientifiche sulle principali riviste internazionali.

«Da studioso e da ricercatore, reputo utile, innanzitutto, fare qualche precisazione. Le vicende climatiche del nostro Pianeta non sono state mai costanti. Sulla Terra, infatti, i “periodi caldi” si sono alternati a quelli “freddi” con ciclicità pressoché regolare. E ciò avviene da milioni di anni. D’altra parte, la nostra stessa civiltà europea si è potuta affermare proprio grazie al sopraggiungere di un periodo caldo che segnava la fine dell’ultima glaciazione (meglio nota come glaciazione di Wurm). È stato proprio il progressivo aumento delle temperature a permette all’Homo sapiens di colonizzare vaste aree del continente, prima coperte dai ghiacci e, quindi, inospitali. E le migrazioni della nostra specie, in funzione delle variazioni del clima, sono attestate da molte evidenze scientifiche».


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Proviamo a fare un’analisi degli eventi alluvionali che negli ultimi decenni hanno interessato la Calabria.
«Si evidenzia come, a parità di evento meteorologico, la risposta del territorio sia stata nel tempo sempre più intensa e severa. E ciò, a causa delle profonde alterazioni procurate su vaste porzioni di territorio. E la montagna calabrese, morfologicamente tormentata e complessa, per sua natura geologica vulnerabile al dissesto, non sfugge alle aggressioni antropiche. Basti pensare agli incendi boschivi. Anche in questo caso, i cambiamenti climatici e le connesse modifiche del regime termo-pluviometrico non hanno che un’incidenza residuale, in quanto possono creare le precondizioni; ma non sono certamente la causa».

Interessante capire quali siano le azioni da intraprendere per ‘mitigare’ gli effetti dei cambiamenti climatici.
«Gli ecosistemi forestali  sono grandi regolatori del clima grazie alla loro funzione di immagazzinamento di anidride carbonica. La conservazione dei boschi e l’incremento della resilienza sono, quindi, le migliori strategie per “correggere” e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Ma, al contempo, le foreste, se non correttamente gestite e protette, sono anch’esse minacciate dai cambiamenti climatici che possono aumentare la siccità, le avversità meteorologiche e biotiche. I modelli su cui si basano le politiche di molti Paesi non tengono in adeguata considerazione l’aumento di questi disturbi che, con importanti differenze nei diversi biomi, possono avere un impatto sulla mortalità delle foreste. È necessario che gli attesi cambiamenti climatici siano accompagnati anche dal cambiamento dei nostri stili di vita e dei comportamenti, dei modelli di sviluppo e degli atteggiamenti nei confronti dell’ambiente».

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Proviamo a capire il ruolo che può interpretare la Calabria in questo particolare momento storico.
«La Calabria, con i suoi tre Parchi Nazionali, un Parco naturale regionale e con il suo sistema di aree protette può interpretare un ruolo inedito e suggerire una nuova ermeneutica intorno ai temi della transizione ecologica e della conservazione della natura nello spazio euro-mediterraneo».

In particolare parliamo dell’Aspromonte 
«La diversità di habitat e di ecosistemi, la biodiversità floristica, vegetale e animale, la vastità, la distribuzione e il valore dell’intero patrimonio forestale collocano l’Aspromonte all’interno di uno scenario e di una prospettiva del tutto inediti. In questo luogo, pertanto, è possibile leggere l’eccezionale valore biogeografico di un territorio ancora poco compreso e conosciuto e anticipare strategie di conservazione e di promozione di politiche innovative da esportare in un orizzonte mediterraneo ed europeo. La connessione geologica ed ecologica con l’ossatura dell’Appennino, la funzione di “corridoio biologico” con il Mediterraneo e l’Europa, le controverse serie evolutive e dinamiche delle foreste primigenie più a sud ed ancestrali del Continente, gli endemismi e le testimonianze floristiche del Terziario, gli adattamenti morfologici e fisiologici iniziati in era post-glaciale, sono solo alcuni degli aspetti che questa Montagna esprime, altrove non rinvenibili». 

La montagna e il suo straordinario peso sull’economia, la crescita e lo sviluppo di un popolo.
«Non vi è luogo più eletto, dunque, in cui comprendere le vicissitudini climatiche del pianeta e come i viventi vi si siano ad esse adattate. Nell’ultima foresta d’Europa, la più a Sud del continente europeo, infatti vegeta Dèmetra, la quercia (rovere) più antica del mondo, ma anche le felci preistoriche, la Woodwardiaradicans e l’Osmunda regalis, che testimoniano l’intelligenza nativa di un Aspromonte capace di custodire l’ancestrale memoria della Natura sin dai primi istanti della creazione del mondo. Queste entità vegetali conservano meccanismi di adattamento al clima che suggeriscono una “lettura” dei fenomeni in atto estremamente interessante. Occorre partire da qui per individuare le migliori misure e le più appropriate iniziative di mitigazione dei cambiamenti climatici»

Si stima che in Italia la temperatura aumenterà di altri 2,5 gradi entro il 2050, con conseguenze devastanti per l’ambiente l’agricoltura.
«Come è noto, il principale gas serra che contribuisce al cambiamento climatico è l’anidride carbonica; essa, tuttavia, ha generalmente un effetto positivo sulla crescita delle piante, poiché aumenta la fotosintesi ed il livello di assimilazione del carbonio. L’aumento della temperatura, tuttavia, riduce questo beneficio dal momento che modifica il ciclo idrologico (ad esempio, l’evapotraspirazione), incide sulla diffusione di nuove malattie che possono affliggere la produzione agricola. L’incremento della temperatura, inoltre, mentre riduce la disponibilità idrica durante il giorno, aumenta la respirazione delle piante durante la notte, riducendo l'accumulo netto giornaliero di biomassa». 

In relazione a ciò, vediamo cosa provocheranno i cambiamenti climatici.
«Provocheranno rese produttive sempre più instabili, diffusione di nuove infestanti e patogeni (ritardando il processo di esclusione della “chimica” in agricoltura) aumento del fabbisogno idrico. Questi effetti, peraltro, interesseranno tutta la filiera dell’agricoltura, coinvolgendo la sicurezza alimentare, la qualità del cibo e la stabilità dei prezzi».

La ricerca scientifica svolge un ruolo fondamentale. 
«Un recente studio condotto a scala europea ha dimostrato come il miglioramento genetico ha favorito un incremento delle rese dell’1,16% ogni anno. D’altra parte, per conseguire un pari incremento attraverso l’aumento della superficie agricola, si sarebbero dovuti impiegare oltre 20 milioni di ettari rispetto a quelli attualmente occupati, a tutto vantaggio delle aree naturali. Lo studio ha inoltre stimato che il miglioramento genetico delle piante nell'Ue ha garantito anche una minore emissione di circa 4 miliardi di tonnellate di emissioni dirette di CO2».

Dobbiamo fare un cenno anche al miglioramento varietale.
«Si stima, inoltre, che il miglioramento varietale abbia avuto effetti positivi sia sulla biodiversità, sia sul risparmio di risorse idriche (stimato intorno a 50 milioni di metri cubici di acqua negli ultimi venti anni). È grazie al continuo progresso scientifico, dunque, che, in campo genetico, possono essere valorizzati varietà e nuovi geni in grado di stabilizzare le caratteristiche produttive e qualitative e di resistenza delle colture agli stress di natura biotica e abiotica».

Con la pandemia, i borghi e i piccoli centri montani calabresi finalmente sono tornati centrali.
«Durante l’emergenza sanitaria, seppure nel quadro di un loro tendenziale spopolamento, i borghi e gli spazi rurali ci hanno comunicato una dimensione “multifunzionale”, quasi salvifica. Si è andata consolidando sempre più la tendenza a valorizzare la dimensione del borgo per il suo carattere residenziale, anche diffuso, legato alla fruizione turistica con finalità culturali e paesaggistiche, storiche e archeologiche, enogastronomiche, agro-ambientali e naturalistiche. Ne è conseguito che il borgo sia stato percepito e riconosciuto dalla collettività, proprio mentre sperimentavamo “l’isolamento forzato”, quale luogo in cui “ripensare” ad un nuovo modello di sviluppo, anche occupazionale, in risposta ai complessi processi e trasformazioni connessi alla globalizzazione. Si tratta di un fenomeno “culturale” messo in moto, in un certo senso, dalla pandemia».

Il ruolo insostituibile dell’agricoltura in questi momenti particolarmente gravi.
«L’agricoltura, da questo punto di vista, rappresenta una “sintesi” in grado di ricostituire la “filiera” di una dimensione sostenibile, in cui cultura, produzione e protezione dei luoghi e dell’ambiente si sovraimpongono armonicamente. Ecco perché siamo andati spontaneamente verso i luoghi meno antropizzati. Non è stata soltanto un tentativo di sottrarsi alle profonde contraddizioni delle Città, sovraffollate. Il Borgo, semmai, è stato percepito come il luogo della “pacificazione” storica attraverso cui “correggere” le controversie di un modello di sviluppo rivelatosi, ormai, drammaticamente fragile. Ma è anche un’opportunità per “ricucire” le trame e le tessiture di un territorio agro-forestale e rurale che ha risentito, nel tempo, delle alterne vicende che hanno colpito l’umanità calabrese, che raccontano di avvicinamenti e di fughe, di rientri e di abbandoni. Non dimentichiamo che ogni volta che in Calabria l’uomo è fuggito dalla montagna essa ha risposto a modo suo: sottomettendosi alle acque che volevano farla precipitare verso il mare».

Agricoltura e forestazione sono fondamentali per il futuro della Calabria.
«È ampiamente riconosciuto come l’agricoltura e la forestazione (unitamente al turismo) siano i fondamentali pilastri su cui dovrebbe poggiare ogni strategia di sviluppo socio-economico in Calabria. È altrettanto noto, inoltre, l’effetto “moltiplicatore di reddito” espresso dall’agricoltura e dalle attività ad essa connesse per l’economia locale (l’aumento di 1 punto percentuale del PIL nel primario determina, infatti, un incremento più che sestuplicato del Pil in tutti gli altri settori economici). Io penso che la pandemia abbia risvegliato il nostro istinto di sopravvivenza che ci ha portato alla ricerca di ambienti e luoghi in cui ristabilire equilibri che noi stessi abbiamo tradito e frantumato».

 Il turismo è l’altro pilastro per l’economia della nostra terra.
«La cultura, la natura e il paesaggio, dallo Stretto al Pollino, sono i nostri principali fattori produttivi e costituiscono gli elementi eletti della filiera del turismo culturale ed esperienziale, naturalistico e balneare, in cui vengono spontaneamente integrate le componenti materiali ed immateriali del patrimonio storico, artistico e archeologico diffuso, dell’esclusivo sistema costa-montagna, delle identità eno-grastronomiche e dell’agricoltura. Sono questi i settori in cui è ragionevole avviare azioni di sostegno alla nostra economia; inoltre, essendo una proposta di turismo “responsabile”, “lento” e “non massivo”, ben si presta alla “sperimentazione” di attività e di comportamenti compatibili con l’esigenza di contenere i rischi di contagio se dovesse insorgere un’altra emergenza sanitaria. Anche le peculiarità del contesto territoriale-paesaggistico e la tipologia delle attività ricettive partecipano a questa opportunità: è la nuova frontiera dell'undertourism che, peraltro, coniugando le ragioni sanitarie ai benefici psicologici, avrà un ruolo determinante per orientare comportamenti "sani"».

Anche i giovani giocano un ruolo importante in questo momento particolare, a tratti drammatico.
«I ragazzi di oggi hanno tutti gli elementi per partecipare ad un progresso basato su una economia responsabile. E ciò, alla luce della emergenza economica che vive la nostra Regione, diventerà necessariamente una intuizione, un’innovazione. Una illuminata strategia politica dovrebbe sostenere ed accompagnare questa economia umana, rafforzando la circolarità dei fattori dell’undertourism: l’agricoltore e il pastore, la guida escursionistica, la bottega artigiana e l’agriturismo, il rifugio montano, il lido balneare e la guida turistica divengono, pertanto, la filiera di un sistema umano e territoriale produttivo e valoriale»

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