Il ministro degli Esteri Alfano a Catanzaro | Il discorso integrale

Il rappresentante del governo ha affrontato temi caldi nel corso del convegno dal titolo 'Diritti umani e crisi della tolleranza'
di Luana  Costa
17 giugno 2017
14:57

Il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha affrontato numerosi temi invitato a partecipare al convegno dal titolo “Diritti umani e crisi della tolleranza” organizzato dall’Istituto superiore di scienze sociali e penalistiche presieduto dall’avvocato Nunzio Raimondi e dal docente universitario Massimo La Torre. Di seguito l’intervento integrale:

 


“Sono molto onorato di essere qui questa sera e ringrazio il rettore per la introduzione e per aver data immediata ospitalità oltre che il patrocinio a questa iniziativa vorrei ringraziare ciascuno di voi per il contributo che dà alla giornata di studi giuridici. Due considerazioni mi venivano in mente oltre ciò che avevo preparato nel venire qui. La prima considerazione è questa: io sono il 37esimo ministro degli Esteri della Repubblica italiana ma a politica estera italiana non è cambiata 37 volte e on è cambiata perché ha avuto alcuni pilastri fondamentali. Un pilastro fondamentale è stato il processo di integrazione europea che non è mai cambiato, un altro pilastro della politica estera italiana è stato il rapporto transatlantico, l’idea che un pezzo importante della nostra sicurezza venisse da un rapporto solido con gli stati uniti d’America declinato con la nostra presenza dentro la Nato. Un altro pilastro della nostra politica estera che non è mai cambiato è stata la vocazione Mediterranea, cioè l’idea che il nostro paese esprimesse sé stesso in una dimensione che da un lato fosse Europea e dall’altro desse conto della geografia oltreché della storia, ossia la vocazione mediterranea. E l’altro pilastro della politica italiana che non è mai cambiato è stato l’attenzione ai diritti umani. L’Italia protagonista non solo dentro il proprio paese ma nei fori internazionali della difesa dei diritti umani. La seconda considerazione che merita un’analisi anche sul senso del ragionamento è questa: i diritti umani pertengono alla origine dell’uomo in quanto tale, precedono il diritto perché attengono alla natura stessa dell’uomo ma se questo è il senso dei diritti umani la loro declinazione è cambiata nelle varie epoche della storia come il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza.

 

È davvero straordinario ricordare che la dichiarazione dei diritti dell’uomo fu scritta soltanto tre anni dopo la barbarie della guerra in un clima di distruzione e povertà totale e la sua forza sta nella grande convergenza di tradizioni religiose e culturali distinte ma tutte motivate dal comune desiderio di porre la dignità della persona umana al di sopra di ogni cosa. Perché i diritti umani sono diritti che si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, sono diritti basati sulla legge naturale iscritta nell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Non sono parole mie ma di Papa Benedetto. Da ministro degli esteri posso dire che i diritti umani sono quei diritti iscritti nel patrimonio genetico della politica estera italiana, delle nostre istituzioni, della nostra società civile, del mondo produttivo e dell’universo culturale. E ciò non è senza frutta perché la tutela dei diritti umani è una componente essenziale irrinunciabile della politica estera ma che trova la sua forza nella Costituzione nell’articolo 11 della costituzione con cui si stabilisce che il fine ultimo della proiezione esterna dell’Italia è un coordinamento che restituisca pace e giustizia tra le popolazioni. È la nostra costituzione perché la pace e il pieno rispetto dei diritti umani sono strettamente collegati. In tutti i contesti multilaterali dall’Onu all’Unione Europea, dall’Osce al Consiglio d’Europa l’Italia incoraggia sempre un approccio dialogante, trasparente, inclusivo senza mai un filo di accondiscendenza. La nostra credibilità e la nostra coerenza derivano da questo: dal pieno adeguamento del nostro ordinamento interno agli impegni assunti sul piano internazionale. Dico questo come sottolineatura di coerenza per dire che chi vuole essere ascoltato deve mettere in pratica i lavori che proclama, questo vale per le persone ma vale anche per i paesi e vale per i paesi in quanto proiezione di ordinamenti giuridici. Il caso emblematico è la eliminazione della pena di morte, in Italia avvenne nel 1786 e avvenne per mano legislativa del gran ducato di Toscana che cancellò completamente dal suo ordinamento la pena di morte. Questa è la prova del fatto che nel nostro paese, nella società italiana è profondamente radicato un umanesimo genuino, liberale e solidale ma quando dico che nel 1786 fu abolita la pena di morte mi viene subito in mente anche in base al titolo di questa iniziativa cioè “Diritti umani e crisi della tolleranza” che un grande intellettuale francese Voltaire qualche anno prima dell’abolizione della pena di morte nel 1763 editò un volume che probabilmente andrebbe riletto e diffuso nelle università ancora oggi ed è il trattato sulla tolleranza. Tutt’oggi l’abolizione della pena di morte è una battaglia che caratterizza la diplomazia italiana oltre ad altre sfide importanti che segnalano la declinazione concreta di quali sono questi diritti umani. È chiaro che il diritto alla vita e quindi il diritto a non morire di mano violenta è un diritto umano ma i diritti delle donne e dei bambini in particolare, le campagne contro le mutilazioni genetiche femminili o contro i matrimoni precoci e forzati, questi sono i temi dei diritti umani di oggi. I diritti dei bambini in situazione di conflitto questi sono i diritti umani di oggi; i diritti delle persone con disabilità, questi sono i diritti umani di oggi; la libertà di religione e di credo, questi sono i diritti umani di oggi; i diritti delle minoranze religiose, questi sono i diritti umani di oggi o anche la persecuzione dei cristiani anche quando essi non sono minoranza. Vi sembra un’idea lontana da noi? No, l’ho pensato quando arrivando ho visto monsignor Bertolone che è stato il postulatore della causa di beatificazione di don Pino Puglisi e Pino Puglisi è diventato beato con avvocato postulatore il vostro arcivescovo ed è diventato beato un prete di Palermo ucciso in quanto cristiano. Pochi anni fa a Palermo veniva ucciso un prete e veniva ucciso in quanto cristiano perché faceva predicazione di riscatto cristiana rispetto alla mafia.

 

Difendere, tutelare e promuovere i diritti umani è nel nostro interesse di sicurezza. Laddove i diritti fondamentali sono violati in maniera macroscopica scoppiano i conflitti e i focolai che minacciano la sicurezza. Oggi nel Mediterraneo tutte le crisi o quasi hanno radice nell’intolleranza e nell’estremismo. Intolleranza e estremismo che strumentalizza le differenze etniche, culturali e religiose mentre la valorizzazione di queste differenze hanno garantito per millenni prosperità in questo nostro meraviglioso mare Mediterraneo. C’è il terrorismo che sfrutta la religione per fomentare l’odio e l’instabilità; per alimentare instabilità attraverso il fomentare l’odio. E ricordo sempre ai musulmani quando li incontro che l’obiettivo dei jihadisti non è solo quello di dividere Occidente e Islam ma di seminare discordia all’interno della comunità islamica. E i musulmani stessi sono le prime vittime dell’integralismo. La contrapposizione non è tra cristiano e musulmani ma tra persone di pace e fanatici intolleranti. Quella è la vera divisione. In vari paesi del mondo musulmano come in quello cristiano è in gioco la scelta tra una visione della società aperta che rispetta le minoranze e le categorie più vulnerabili e un’altra società: chiusa, integralista, oppressiva, centrata sul dominio egemonico delle maggioranze e sul rifiuto dell’eterogeneità. La nostra sfida è quella di sicurezza in questo paese ma anche quella culturale di separare chi prega da chi spara. Dobbiamo estirpare le radici da cui trae alimento la furia distruttiva di chi lungi dal professare una fede fa una cosa opposta, prende in ostaggio una religione per portare quell’ostaggio, quella religione a giustificare stragi e battaglie che nessun Dio avrebbe mai autorizzato. Dobbiamo anche per questo focalizzarci ancora di più sui giovani: la scuola, le associazioni, i religiosi di ogni fede. Noi dobbiamo fare di più per prevenire la radicalizzazione, l’intolleranza e la violenza in tutti i luoghi dove si forma la gioventù. In tutti i luoghi dove si forma la gioventù va diffuso un messaggio compatibile con il carattere pluralista e democratico della nostra contemporaneità. L’educazione ai diritti umani è uno strumento di importanza fondamentale perché ogni individuo acquisisca consapevolezza dei propri diritti fin dai primi anni della scuola fino al liceo.

 

C’è poi la grande sfida dei flussi migratori che in realtà è un cantiere aperto in mare. Tra questo anno e il prossimo nella definizione del negoziato sui rifugiati e i migranti l’Italia può dire con forza la sua perché abbiamo sempre perseguito l’approccio che ha utilizzato due grandi valori. Non lo dico da cristiano, se mi si chiede sulla migrazione che linea politica seguo, in certi contesti è stata considerata una linea politica di sinistra perché sono stato aperto all’accoglienza e anche al salvataggio in mare; in altre occasioni sono stato definito di destra. Se io dovessi definire sull’emigrazione la mia linea, io la definirei di realismo cristiano. Però nonostante tutte le polemiche centrato due grandi valori: quello della solidarietà e quello della sicurezza. Quanti paesi hanno dovuto rinunciare alla sicurezza per un senso malinteso di solidarietà e quanti anno creduto anche di potere rinunciare alla solidarietà, assicurarsi di vivere in un posto sicuro, e non hanno garantito né solidarietà né sicurezza. Noi abbiamo lavorato molto sulla sicurezza, abbiamo distinto chi ha pregato in Italia da chi voleva radicalizzarsi e al tempo stesso abbiamo messo l’Italia dalla parte giusta della storia restituendo onore all’Europa salvando centinaia e migliaia di esseri umani nel mare Mediterraneo senza che questo abbia pregiudicato la nostra sicurezza. Basta guardarsi attorno per dire se noi in un contesto in cui il rischio zero non esiste, siamo riusciti a realizzare questo obiettivo per il quale dovremmo essere un po' più fieri. Perché la questione va affrontata con una visione di lungo termine e con condivisione delle responsabilità perché rimarrà nell’agenda europea questa questione per anni e non può essere affrontata in via emergenziale da uno o due paesi in solitudine. L’attuale carico di oneri e responsabilità sulle spalle di un solo paese, come se questo solo paese, fosse il guardiano della frontiera esterna non è solo politicamente ingiusto ma anche giuridicamente controverso, come sta emergendo in diverse cause di fronte alla corte di giustizia dell’Unione Europea. E noi non rimaniamo a guardare nel frattempo ho convocato una riunione ministeriale con i paesi in transito della crisi migratoria e ci saranno i principali paesi africani interessati e i paesi europei. Vogliamo affrontare la questione con quello spirito di cooperazione e di responsabilità condivisa che è alla radice del multilateralismo. Chiederemo a paesi come il Niger, Libia di fare in fondo la propria parte ma incoraggeremo tutti a sostenere organizzazioni per difendere i diritti dei migranti che si trovano nei campi di accoglienza africani in condizioni drammatiche. Questa nostra azione ha come obiettivo il contenimento dei flussi da rendere compatibile con la salvaguardia dei diritti. Questo punto di equilibrio che andiamo cercando tra contenimento dei flussi e salvaguardia dei diritti è anche essenziale per contrastare la principale minaccia per la tenuta delle istituzioni democratiche: il clima di paura che si ingenera. Questa paura non va sottovalutata, va compresa fino in fondo e va arginata con gli strumenti che i governi hanno a disposizione per evitare le mille speculazioni. Non possiamo stare a guardarla la paura da lontana per arginarla dobbiamo prendere posizione e intraprendere azioni. Oggi con i nazionalisti e gli estremisti condividiamo le stesse democrazie, le stesse politiche ma non gli stessi valori e destini. Viviamo sotto lo stesso cielo ma non vediamo lo stesso orizzonte. I fattori di rischio esistono, negli ultimi anni abbiamo visto crescere razzismo, xenofobia, antisemitismo e non è un caso se l’anno scorso in parlamento abbiamo approvato la legge sul negazionismo, stabilendo una pena fino a sei anni di prigione per chi nega l’olocausto e proprio per questo quella legge sanziona tutte le forme di istigazione basate sulla discriminazione religiosa, etnica o razziale”.

 

Luana Costa

Giornalista
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