6 marzo

Gaetano Marrari, eroe calabrese nel buio della Shoah: «Non ancora riconosciuto Giusto tra le Nazioni»

Oggi la commemorazione per ricordare coloro che si sono opposti a tutti i crimini contro l'umanità. La nipote del maresciallo Nunzia Rita Rizzi Lupis: «Nonostante una comunicazione nel 1984, il nome del nonno non risulta nell'albo»

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di Anna Foti
6 marzo 2024
09:00

Ricorre oggi, 6 marzo, la Giornata europea dei Giusti. Proclamata nel 2012 dal Parlamento europeo su proposta della fondazione Gariwo la foresta dei Giusti per commemorare coloro che si sono opposti con responsabilità individuale a tutti i crimini contro l'umanità e a tutti i totalitarismi, estendendo il concetto di Giusto elaborato da Yad Vashem.

Nella foresta dei Giusti anche
le 766 persone di nazionalità italiana riconosciute dallo Yad Vashem, l’ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, Giuste tra le nazioni. Tra loro anche tanti calabresi. Tuttavia qualcuno manca, nonostante una missiva che nel 1984, quando Gaetano Marrari era ancora in vita, ne preannunciava il riconoscimento. «L'inserimento di nonno nell’albo dei Giusti tra le Nazioni inspiegabilmente non è stato eseguito». A parlare con la pacatezza che la contraddistingue è la nipote del comandante Gaetano Marrari, Nunzia Rita Rizzi Lupis, figlia di Maria Cristina Marrari Rizzi che instancabilmente ha raccontato la storia di suo padre, comandante del campo di Ferramonti, passando poi il testimone alla figlia.

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Gaetano Marrari e il campo di Ferramonti

Gaetano Marrari, maresciallo originario di Reggio Calabria, che nel 1940 fu nominato comandante del Corpo di Pubblica Sicurezza del campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, nella valle del Crati in territorio cosentino. In quel campo, il più grande costruito dal regime fascista, destinato a recludere oltre due mila persone, ebrei e cristiani, italiani e stranieri, antifascisti ed oppositori politici comunisti, greci, slavi, apolidi, omosessuali, dove si entrava sradicati dalla propria esistenza, spogliati di tutto e privati di ogni bene compresa la libertà, fu sorprendentemente possibile sopravvivere. Nessuno fu deportato o ucciso. Quella deriva a Ferramonti di Tarsia non fu mai raggiunta, arginata da umanità e coraggio.


Il comandante Gaetano Marrari, con il direttore del campo Paolo Salvatore, con il frate cappuccino Callisto Lo Pinote con il rabbino Riccardo Pacifici, scrisse in Calabria una storia di umanità inaspettata o forse ritrovata. In un’Europa in cui imperversava l’orrore della shoah.

«All’interno del campo, ancorché militarizzato, nacquero bambini, furono celebrati matrimoni, c'erano le scuole e le persone, seppure controllate, potevano circolare, incontrarsi, pregare secondo il loro culto e lavorare anche fuori dal campo. Erano molte le attività svolte e tanti furono anche gli spettacoli e i concerti che gli stessi internati animarono. Ma i tempi erano difficili e ricordo il giorno in cui fu issata la bandiera gialla, per annunciare un’epidemia di colera all’interno del campo, che in realtà non c’era, e così dissuadere le truppe tedesche, pronte a controllare e deportare nei loro campi di sterminio, dall’ingresso nel campo», ha sempre instancabilmente raccontato la figlia del maresciallo reggino Gaetano Marrari, Maria Cristina, scomparsa qualche anno fa. Nel campo lei aveva vissuto, trasferitasi con tutta la famiglia e sempre ricordava quella decisione così rischiosa assunta anche dal padre e quel gesto che salvò la vita di tantissime persone.

Il campo di Ferramonti entrato in funzione nel giugno del 1940, era costituito da 92 baracche su una distesa di 16 ettari. Era privo di camere a gas. Era un campo di internamento e non di sterminio. Fu il primo campo ad essere liberato dagli Alleati, il 14 settembre 1943, e l’ultimo ad essere chiuso l’11 dicembre 1945. Molti, non avendo dove andare, restarono lì per qualche tempo, anche dopo la liberazione. L'editore Gustav Brenner anche oltre. Si sposò e restò a vivere a Cosenza.

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La comunicazione dello Yad Vashem

«Your name wil be joined to those who, at considerable risk to themselves, helped Jews in distress». Così scrive Mordecai Paldeil, direttore del dipartimento dei Giusti dello Yad Vashem di Gerusalemme in una missiva datata 21 giugno 1984. La lettera era stata inviata a Gaetano Marrari all’indirizzo di via De Nava dove ha vissuto. In essa si richiama l’aiuto prestato agli ebrei durante l’olocausto  – «for the help extended to Jews during the Holocaust period» – e si congratula annunciando l’inserimento del suo nome tra coloro che a rischio della loro vita li avevano aiutati.

«In forza di questa missiva siamo stati a lungo convinti che mio nonno fosse anche formalmente stato riconosciuto come Giusto tra le nazioni. Tuttavia quando abbiamo cercato il nome di Gaetano Marrari nell’albo dei Giusti, non lo abbiamo trovato. Ancora oggi non ci spieghiamo il perchè, alla luce di quella missiva ricevuta e che ancora conserviamo. E anche alla luce del plauso espresso anche da Emanuele Pacifici in una missiva a mio nonno del 1987.

Che nella vita e nella storia fosse stato un Giusto lo abbiamo sempre saputo. Coloro che sono stati testimoni diretti lo hanno a loro volta sempre testimoniato e raccontato. E così ha continuato a fare mia madre e adesso mi impegno a fare io. Noi continueremo a ricordare e a condividere questa nostra storia familiare che ha incrociato una storia molto più grande di noi oltre che molto drammatica. Questo non è in discussione. Vorremmo però sapere e capire», Così prosegue la nipote Nunzia Rita Rizzi Lupis che dallo scorso anno ha deciso di iniziare a scrivere per avere qualche risposta.

Le richieste di chiarimenti dei familiari

«Centinaia di lettere – così lo scorso 8 settembre così Nunzia Rita Rizzi Lupis ha scritto all’Ufficio Consolare di Roma – testimoniano la grande umanità di mio nonno e il suo coraggio. In particolare una del Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane esprime viva gratitudine verso il Maresciallo “per il comportamento ispirato ad umana solidarietà”. Un’altra del 1984, inviata dal Dipartimento per i Giusti dello Yad Vashem, dichiara di averlo designato come “Giusto”. Io ho notato, però, che il suo nome non compare nell’apposito elenco ufficiale.

Da diversi anni chiedo a più persone di darmi una conferma di quanto comunicato a suo tempo. Fino ad oggi, però, non ho purtroppo ricevuto alcuna notizia.

Mia madre è stata testimone diretta di Ferramonti, perché ha vissuto nel Campo con tutta la sua famiglia e, venuta a mancare tre anni fa, non ha potuto avere la risposta che cercava insieme a me. Io adesso, non più in giovane età, desidererei lasciare ai miei figli e ai miei nipoti qualche certezza». La nipote Nunzia Rita Rizzi Lupis non si è fermata qui. Nei mesi successivi ha scritto anche all’Archivio storico della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e all’Ufficio italiano dell’Infrastruttura europea per la ricerca sull’Olocausto. Recentemente ha anche contattato l'ambasciata d'Israele in Vaticano. Attende ancora risposte.

«Abbiamo condiviso con nonno, fino a quando è stato in vita e poi attraverso l’appassionato percorso di testimonianza intrapreso da mia madre, la sua esperienza di comandante del campo di Ferramonti di Tarsia. Le persone ex internate hanno continuato a scriverci tenendo viva la loro e la nostra memoria. Un’eredità di umanità che custodiamo e ci impegniamo a tramandare ancora e che resta integra, a prescindere. Dunque, per solo amore di verità, chiediamo di sapere senza pretesa alcuna». Così conclude la nipote Nunzia Rita Rizzi Lupis.

Bianca Ripepi Sotgiu

Tra i Giusti tra le Nazioni calabresi riconosciuti dallo Yad Vashem e con un posto nella Foresta Gariwo c’è anche Bianca Ripepi Sotgiu, reggina di origine e sarda di adozione, maestra, scrittrice, insegnante, fondatrice dellUnione Donne ItalianeNata a Reggio Calabria proprio il 6 marzo del 1922, è morta a Cagliari nel 2005.

Nel periodo buio della Seconda Guerra Mondiale e della persecuzione degli ebrei che venne perpetrata anche in Italia, Bianca e suo marito Girolamo seppero vivere con grande coraggio e secondo coscienza, aiutando, anche a rischio della loro libertà e della loro vita, gli ebrei perseguitati. In particolare accolsero in casa la piccola ebrea Lina Amato Kantor riconoscendola come loro figlia e quindi salvandola dalla deportazione.

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In questa giornata che, dunque coincide con il suo compleanno, su impulso dello scrittore Tonino Nocera che ha curato la scheda biografica nel dizionario della Calabria Contemporanea dell’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea (Icsaic), una iniziativa in sua memoria, frutto della virtuosa sinergia tra il comitato di quartiere Ferrovieri Pescatori di Reggio e Calabria e il liceo artistico Preti Frangipane. Al centro dell’iniziativa la presentazione del progetto di allestimento dell’aula didattica all’aperto del liceo artistico Preti-Frangipane. L’aula sarà intitolata a Bianca Ripepi Sotgiu e avrà le pareti circostanti decorate con murales ispirati alla vita di Bianca Ripepi, ideati e realizzati dagli allievi di Arti figurative e Scultura del liceo. Inoltre saranno realizzate delle sedute dagli allievi nella sezione Design del Legno e dell’Arredamento del liceo. 

Giornalista
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