L’analisi

I più acerrimi nemici il Sud e la Calabria li hanno avuti in casa, la colpa del gap è di chi ha governato il Meridione

Nel contesto globale serve un Nuovo Meridionalismo che sappia concentrarsi sulla massima valorizzazione delle proprie risorse. Occhiuto chiami i colleghi governatori settentrionali per spiegare e correggere, dove occorre, l'autonomia differenziata

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di Massimo Tigani Sava
27 gennaio 2024
16:00

È colpa del Veneto, della Lombardia e del Trentino se la Calabria non è riuscita, in decenni, a diventare una corazzata del turismo al centro del Mediterraneo, e quindi di creare le decine di migliaia di posti di lavoro produttivi che mancano all'appello? Per caso sono state negate ingenti risorse comunitarie da destinare a investimenti seri, generosi e proficui? Oppure la Regione e le Camere di Commercio non hanno mai avuto l'opportunità di partecipare alle fiere di settore? Sono scesi i nuovi Celti e i nuovi Longobardi per inondare di spazzatura i meravigliosi boschi che arricchiscono, dallo Stretto al Pollino, una delle più belle e potenzialmente più ricche regioni del mondo? Inchieste della magistratura hanno forse dimostrato che nuclei armati di padani hanno sabotato i depuratori che avrebbero dovuto rendere cristallini il Mare Jonio e il Tirreno? È auspicabile che i Calabresi e il resto dei Meridionali non si facciano influenzare da quei poco credibili difensori del Sud che sperano di trovare spazio politico urlando contro lo Stato e il Nord.

L'epoca di un meridionalismo piagnone e vittima è finita da tempo, e non è credibile con nessuna classe dirigente seria del Paese e d'Europa. Gridiamola subito una verità incontestabile rispetto alla quale si dovrebbero misurare sindacati, associazioni di categoria, esponenti della cultura e dell'istruzione, intellettuali e ceti professionali, giovani senza lavoro, braccia e menti costrette ad emigrare in cerca di un'occupazione e di una prospettiva di vita: i più grandi Nemici il Sud li ha avuti a casa propria, più forti dei competitor esterni che, chiaramente, fanno il loro gioco. Nel caso delle regioni del Settentrione occorre capire, pur invitandole a non disperdere una visione nazionale ed euromediterranea, che la rivoluzione violenta della globalizzazione, l'innovazione tecnologica senza respiro e la perdita di competitività dell'Europa tutta, le stanno quasi costringendo a cercare risposte in autonomia.


Siamo di fronte a un ineludibile ed epocale processo storico ed economico-sociale, prima che politico, di fronte al quale non bisognerebbe rinchiudersi in se stessi ma cercare soluzioni avanzate. È crollato da tempo lo schema del Dopoguerra in base al quale le industrie del Nord producevano, importando manodopera dal Sud, e dall'altro lato si usava il Mezzogiorno come mercato per automobili, frigoriferi, lavatrici ed anche formaggi. Siamo nell'era globale, le sfide sono sovranazionali e intercontinentali, i rapporti di produzione e di specializzazione tra Occidente e resto del Mondo sono mutati in via definitiva. L'Europa tutta è chiamata a ripensarsi e a riorganizzarsi, trovando equilibri innovativi. Ma i ritardi sono tanti. La politica è nel complesso inadeguata, i leader lungimiranti sono pochissimi. I poteri forti di un tempo agiscono in maniera autocratica

La macelleria sociale è la prima risposta, con sacche di sofferenza che aumentano ovunque. Assistiamo a un confuso “si salvi chi può” che è guidato dalla legge darwiniana del più robusto. Rifanno capolino nazionalismi che hanno poco senso. La stessa Germania stenta a capire che di fronte a Cina, India e ai Brics è piccola. Si fanno sventolare bandiere dell'Ottocento e del Novecento che meritano solo i musei. Una parte dell'establishment Usa si è scagliato contro i Russi avendo la mente ferma agli esiti della Seconda Guerra Mondiale, piuttosto che comprendere, com'è accaduto, che questa loro azione ha indotto Putin a spostarsi verso Oriente e a ritornare nel Mediterraneo assieme alla Turchia. I Giganti dell'Asia sono potenze globali, mentre alcuni Stati africani e sudamericani cominciano a voler ragionare da protagonisti. Come ha reagito l'Europa?

Pensando alla misura giusta delle vongole, agli interessi variegati delle multinazionali e al mondo green-oltranzista mentre in diversi tremendi focolai si sparano migliaia di bombe ogni giorno. L'Europa figlia di Voltaire è concentrata senza tentennamenti sui diritti illuministi e sulle rigidità della coscienza protestante (quanto potrebbe fare di positivo un Grande Papa cattolico!), lacerandosi sulle virgole quando in altri contesti si massacrano bambini senza tanti scrupoli! Talvolta troppa intelligenza razionale e un livello evolutivo molto alto impediscono di capire la realtà sanguinante: è assente quella capacità analitica in genere dimostrata dai politici veri più che dai burocrati e dai manager convinti che due più due debba fare sempre quattro. Nessuna teoria economica, tranne rarissimi casi, ha mai funzionato fuori delle lavagne delle università. Lenin e Stalin hanno cambiato il pianeta e non avevano studiato ad Oxford. E così Mao. Negli Usa servono nuovi Kennedy, al di là dell'essere democratici o repubblicani. 

Francesi e Inglesi dovrebbero capire che non hanno più la forza di imperialismi tramontati. E l'Italia? Basterebbe che si concentrasse sulla propria eredità culturale, storica e artistica, per diventare il luogo ideale nel mondo per vivere, pensare, studiare, inventare, produrre cibo a misura d'uomo, immaginando il terzo Rinascimento dopo quelli della Magna Grecia e di Michelangelo e Raffaello. Ecco perché, per certi aspetti, c'è un ritorno alle logiche della Repubblica di Venezia, o delle Signorie (Milano, Firenze...). Corsi e ricorsi storici direbbe il napoletano Vico. In questo quadro il Sud di tutto ha bisogno tranne che del ritorno in auge di quanti hanno già dato e hanno già dimostrato che cosa non hanno saputo e voluto fare.

Il Mezzogiorno deve anch'esso ragionare sul proprio ruolo che non potrà mai più essere quello dell'assistenzialismo mediato da classi dirigenti clientelari. Chiunque pensi questo verrà sconfitto da due fenomeni già pesantemente in atto: la desertificazione demografica, ben spiegata da Istat e Svimez, e l'emigrazione di massa come già accaduto nei due secoli passati. Si zittiscano, pertanto, le trombe dei finti Amici del Sud e i Meridionali costruiscano da sé Nuovi Amici, veri, autentici, leali, competenti. Anche al di là degli schieramenti in campo, perché oggi dire centrosinistra o dire centrodestra può significare tutto e nulla. Si può far finta di essere di sinistra o di destra issando strumentalmente bandiere ideologiche, ma poi nei fatti non risucire a produrre nulla per un autentico cambiamento del Sud e della Calabria. 

La Grecia classica ha dato il nome a questo modo di fare: demagogia! Ho ascoltato qualche ragionamento di Roberto Occhiuto quando è stato in vena di riflessioni politiche alte: il quadro lo ha chiaro, i rapporti romani li ha, ma a metà mandato deve fermarsi un attimo e fare il punto. Accelerare con convinzione dove serve e dov'è possibile, invitando i suoi colleghi governatori del Nord a scendere in Calabria per spiegare quali possano essere le opportunità dell'autonomia differenziata, ma anche i limiti da correggere subito e da superare. Tra le voci dell'opposizione si selezionino quelle più moderne, che pur ci sono, e capaci di immaginare un meridionalismo aggiornato e propositivo, che sappia giocare all'attacco e non in difesa. Cosa avrebbe potuto essere di bello e di ricco il Sud e perché non lo è stato e non lo è? Questa è la domanda primaria da porsi. Chiamare alla crociata contro un Nord cattivo e antimeridionalista è tanto sciocco quanto inefficace, perché questa partita perdente ha solo generali e colonnelli stanchi, ma non ha truppe da schierare. Il test delle Europee ci dirà tanto, perché il popolo ragiona molto più di quanto non si possa immaginare!

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