Io, speriamo che me la cavo

Chiudono le scuole, chiude la Calabria. L’ultimo decennio, servito solo ad arricchire strani professionisti senza patria, si è rivelato talmente una perdita di tempo inutile, tanto da non aver visto neanche lo spiraglio dell’agognato cambiamento promesso da sedicenti Robin Hood.
di Angelo De Luca
26 settembre 2016
17:28
foto Aldo Tomaino
foto Aldo Tomaino

Dimentichiamoci per un attimo di Melito, di Nicotera e di “Mammasantissima”. Accantoniamo per un attimo i Nicola Gratteri, i Federico Cafiero de Raho e tutta la magistratura. Smettiamo per un attimo di credere in “Libera”, in Antonio Saffioti e in tutta l’antimafia di salotto e non. Il vero dramma di questa terra è un altro: la scuola sta velocemente morendo. Questa mattina il “Quotidiano del Sud”, grazie ad un articolo di Giulia Veltri, chiude definitivamente le porte al futuro di questa terra. I numeri sono bruttissimi e, purtroppo, destinati a scendere anno dopo anno. Le classi vuote, secondo un rapporto del Ministero dell’Istruzione, sono 127 in meno per l’anno scolastico 2016/2017, ben il 10 per cento in meno: 15.142 a 15015.

 


Ora, che il fenomeno sia da imputare alla diminuzione delle nascite in primis o al ritorno dell’emigrazione in secundis non è un di certo una consolazione. La scuola, intesa proprio come istituzione sacra, dovrebbe avere in Calabria più importanza del pane. In molti paesini dell’entroterra questo diritto a volte è negato o comunque minato da problemi di varia natura, soprattutto infrastrutturale. Ad esempio, l’incubo di qualunque professore che non viene magari spostato al nord Italia, è la destinazione Nardodipace. Di questo piccolo villaggio nelle Serre calabresi ne ha parlato anche la letteratura di Sharo Gambino. Negli anni in cui il compianto scrittore scriveva il celebre “Sole nero a Malifà”, si narravano anche le gesta degli eroi (pochissimi, anzi a parte Gambino nessuno) che a piedi partivano volontariamente per andare ad alfabetizzare quei bambini che altrimenti sarebbero rimasti senza l’aiuto di nessuno. Oggi, a distanza di 50 anni, Nardodipace (e ancor più le sue minuscole frazioni Cassari e Ragonà) rimangono abbandonate da Dio e dallo Stato. Per arrivarci, da ad esempio Vibo Valentia, ci si impiegano due buone 2 di strade al limite della praticabilità. Quando non nevica. Perché quando nevica nessuno corre il rischio di salire da quelle parti. Ecco, la Calabria della scuola è una grande Nardodipace. Lasciando stare i centri più grandi, la vera emergenza sta nei piccoli paesi. Classi pollaio, strutture inadeguate, riscaldamenti un giorno si e un giorno no, trasporti pubblici inesistenti, genitori che comprano addirittura la carta igienica. E così, una famiglia che ha a cuore l’interesse educativo dei propri figli preferisce o mandare i figli in altri paesi più “sviluppati” o cambiare regione. Pertanto, nella migliore delle ipotesi contribuisce a svuotare definitivamente il proprio borgo e nella peggiore uccide il futuro della propria terra.

 

Certo, è un enorme sacrificio in tutte e due casi, perché nessuno vorrebbe andare via dalla propria capanna. Ed infatti la colpa non è mai di chi parte e ovviamente manco di chi resta. La colpa è, naturalmente, di chi rappresenta le persone e di chi dovrebbe avere a cuore le sorti della propria terra. Insomma, la colpa è sempre della stessa persona: il politico.

 

“Il fenomeno – scrive ancora Veltri - dello svuotamento delle classi ha, dunque, assunto proporzioni importanti e una velocità sostenuta. Il dato generale consegnato dal ministero in questi primi giorni di ritorno fra i banchi è quello che la popolazione scolastica italiana registra un calo complessivo di circa 45mila unità: la notizia nella notizia sta nel fatto che questo decremento è concentrato tutto nel Meridione”.

 

Di tante passerelle giornaliere che si fanno in questa sventurata Calabria, fra tante promesse e sogni di progresso, quello che meno si dice e meno si parla è il futuro che passa attraverso la scuola e, consequenzialmente, attraverso i giovani ch’egli stessa forma. Sarebbe un esercizio altamente retorico ribadire il concetto sull’importanza della scuola, ma a furia di concentrarsi su altri fronti (lotta alla ‘ndrangheta, lavoro e disoccupazione, ambiente e sanità) ci siamo dimenticati di scommettere sulla prima ed unica istituzione di questa Repubblica. L’ultimo decennio, servito solo ad arricchire strani professionisti senza patria, si è rivelato talmente una perdita di tempo inutile, tanto da non aver visto neanche uno spiraglio dell’agognato cambiamento promesso da sedicenti Robin Hood. Lor signori hanno scommesso, giocato e lucrato sulle pelle della gente normale, che forse nemmeno conosce le migliaia di opportunità perse. Hanno raccontato una Calabria che sarebbe rinata sulle ali della legalità e dello sviluppo sano, esultando dopo ogni arresto di mafiosi come fosse merito loro. Hanno narrato in tutte le scuole favole e odi a uomini valorosi, fregandosi “mila mila euro” per comprare cappellini colorati da esibire con vanto. Hanno inventato nuovi partiti al grido plagiato de “La mafia è una montagna di merda”.

 

E oggi che la Calabria si desertifica manco chiedono scusa. Scusa non tanto per essersi costruiti carriere ben remunerate con la dignità degli altri, ma proprio per aver fallito la missione che – avevano giurato – ci avrebbe finalmente fatti diventare una regione normalmente normale. 

Angelo De Luca

Giornalista
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