Diario di guerra

Siamo disposti a morire per l’Ucraina? Ecco la domanda a cui non vogliamo rispondere

Lo storico discorso al Parlamento europeo del presidente Zelensky ci costringe a guardare in faccia la realtà. L’ingresso sotto l’ombrello della Ue è un’ipotesi remota ma gli europarlamentari hanno votato a favore sapendo che per ora non è possibile (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Enrico De Girolamo
1 marzo 2022
22:17
L’intervento in video conferenza di Zelensky al Parlamento europeo (foto Ansa)
L’intervento in video conferenza di Zelensky al Parlamento europeo (foto Ansa)

Siamo disposti a morire per l’Ucraina? Stringi stringi, è questa la domanda cruciale. Siamo disposti a rischiare la nostra quotidianità fatta di bollette e rate del mutuo da pagare, di shopping in centro se ci sono abbastanza soldi da spendere, di parcheggi impossibili, di sabati con gli amici, di binge watching collegati a Netflix, di liti in famiglia, di figli da crescere tra mille difficoltà e felicità a tratti?

Siamo disposti ad andare fino in fondo?
Perché è facile esprimere solidarietà all’Ucraina, schierarsi a parole contro l’Orso russo invasore, postare sui social qualche foto strappalacrime e tifare per la resistenza giallo-blu. Troppo facile dire che stiamo dalla parte giusta. Ma siamo disposti a rischiare un conflitto atomico per difendere questa convinzione?
No che non lo siamo, ammettiamolo.


Oggi, al Parlamento europeo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato in video conferenza dal suo bunker. Sempre oggi, poco prima, ha presentato la richiesta di adesione all’Unione europea dell’Ucraina, e su Instagram ha pubblicato le foto della firma scattata insieme al primo ministro Denys Shmyhal e al presidente del parlamento Ruslan Stefanchuk: «Ci stiamo rivolgendo all'Ue in merito a una adesione immediata dell'Ucraina attraverso una nuova procedura speciale. Il nostro obiettivo è stare insieme a tutti gli europei e, soprattutto, essere alla pari. Sono sicuro che è giusto. Sono sicuro che è possibile». Forse è possibile, ma non è affatto probabile. Bruxelles, attraverso l'Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell, ha fatto sapere che l’adesione dell'Ucraina all'Unione europea «è qualcosa che richiederà molti anni».

Intanto, il Parlamento europeo in sessione plenaria ha ascoltato Zelensky: «Senza di voi l’Ucraina sarà abbandonata. Abbiamo provato la nostra forza, che valiamo almeno quanto voi. Quindi, dimostrateci che siete con noi, provateci che non ci lascerete soli e che siete davvero europei. Solo così la vita vincerà sulla morte, la luce batterà l’oscurità». Gli interpreti ucraini, che traducevano il discorso di Zelensky in tempo reale a favore dei parlamentari europei, avevano la voce rotta per l’emozione e più volte si sono dovuti scusare per essere stati costretti a soffocare singhiozzi.

Un discorso storico, fatto da un uomo costretto a nascondersi per sfuggire alle bombe russe che lo cercano. Un uomo che nella sua vita precedente, prima di diventare presidente di un popolo assediato, era un attore comico, nato in una famiglia di origine ebraica e di madrelingua russa. Oggi è l’icona della resistenza ucraina, pronto a morire, come probabilmente accadrà, per il suo popolo. Pronto a rifiutare, come ha già fatto, di mettersi in salvo all’estero.

Gli europarlamentari lo hanno ascoltato con gli occhi lucidi, si sono alzati in piedi per applaudirlo mentre da un nascondiglio segreto chiedeva al mondo di non abbandonare il suo Paese e mentre, nelle stesse ore, un convoglio di mezzi russi, tra carrarmati e camion, lungo 60 chilometri, avanzava verso la capitale, Kiev.

Siamo disposti a rischiare la terza guerra mondiale per fermare quel convoglio? La domanda vera è solo questa. E la risposta la conosciamo. No. Non siamo disposti.

Eppure, alla fine di quel discorso che resterà nella storia, il Parlamento europeo ha votato sull’ingresso dell’Ucraina nella Ue e si sono contati 637 voti a favore, 13 contrari e 26 astenuti. Un plebiscito consapevole della sua inutilità, e per questo così unanime. Perché, rimarca Bruxelles, ci vorrà assai. Nella stessa lista d’attesa, infatti, ci sono ancora la Turchia (la cui richiesta risale al 1999), la Macedonia del Nord (2004), il Montenegro (2010), la Serbia (2012) e l'Albania (2014). Intanto avremo tutto il tempo di convincerci di aver fatto il possibile, nascondendo sotto al tappeto della nostra coscienza l’unica vera domanda a cui non vogliamo rispondere: siamo disposti a morire per l’Ucraina?

degirolamo@lactv.it

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