Virginia Fatima Bueti in occasione della Giornata dedicata alle vittime del terrorismo ha ripercorso la storia di Gianni Aricò e dei suoi compagni, morti in un incidente dai contorni poco chiari
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La strage di Gioia Tauro e la morte di Gianni Aricò e degli anarchici della Baracca sono state ricordate nell'Aula della Camera durante la cerimonia per 'Il Giorno della Memoria' in memoria delle vittime del terrorismo da una giovane studentessa calabrese, Virginia Fatima Bueti.
Subito dopo la proiezione di due video in cui sono stati rievocati i due episodi, la giovane ha narrato i fatti che risalgono al 1970. «Gianni Aricò, insieme ai suoi compagni anarchici - ha spiegato - fece un'inchiesta di controinformazione dei fatti di Reggio del luglio 1970 (la città dello Stretto rivendicava il ruolo di capoluogo di Regione). E nel tentativo di andare a Roma a consegnare i documenti raccolti a 'Umanità nuova' furono vittime di uno strano incidente stradale e i documenti che trasportavano non furono mai ritrovati».
«Prima di partire e dopo aver subito telefonate minatorie, pedinamenti, agguati, assalto e devastazione della sede delle riunioni, Aricò confidò alla madre di aver raccolto delle prove scottanti che avrebbero fatto tremare l'Italia. Anche con molte fotografie», ha detto la studentessa, aggiungendo che dall'inchiesta «era riuscito a far emergere connessioni tra la malavita e i gruppi di Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale che si erano infiltrati nella rivolta popolare di Reggio».
Ma in questi documenti, ha sottolineato, «si faceva probabilmente riferimento anche alla strage ferroviaria di Gioia Tauro, del luglio 1970» in cui persero la vita 6 persone e ne rimasero ferite oltre 70. «L'inchiesta per disastro colposo venne chiusa, ma poi riaperta grazie alle rivelazioni di un pentito nell'ambito di un'indagine sulla ndrangheta calabrese». «Esiste un filo - ha ricordato ancora la giovane - tra la morte degli anarchici, il deragliamento del treno e la strategia della tensione». «La zona di Reggio e provincia sono sempre state considerate un'area marginale e invece sono state in realtà un laboratorio per la destra eversiva, in connubio con la malavita locale. Per squarciare il velo su omissioni e depistaggi, ha osservato Bueti, vennero fatte molte indagini», ma «ancora non si conoscono i mandanti né della strage di Gioia Turo, né di come siano morti davvero Arcò e i suoi amici anarchici».
E noi «non potevamo restare indifferenti di fronte a queste storie anche perché si sono consumate nel territorio dove viviamo». Storie che dimostrano come «la democrazia non sia mai una conquista definitiva, né stabile». «Ci siamo interrogati sui motivi di tale violenza e barbarie», ha aggiunto attribuendo la responsabilità anche «all'assenza di dialogo e al mancato rispetto verso l'altro». Arrivando alla conclusione, pronunciata tra gli applausi, che «la realizzazione di una convivenza civile e democratica richieda cura e impegno da parte di tutti» e «nessuno può sentirsi escluso».