Dal primo viaggio a Santiago per accompagnare un’anima sofferente, fino alla nuova avventura in Canada. Abbiamo avuto il piacere di dialogare con Don Santo Borelli, un uomo che ha fatto del cammino una vocazione di fede, umanità e speranza da oltre vent’anni.

Quando e come è nata l’idea di rendere concreto il concetto di “cammino di fede” percorrendo lunghi percorsi di pellegrinaggio?

«Ho iniziato a camminare per necessità. Una persona che soffriva molto mi ha chiesto di essere accompagnata a Santiago de Compostela. Non avevo mai fatto nulla del genere e all’inizio è stato traumatico: lo sforzo fisico, i pochi servizi disponibili, la paura di non essere di sostegno. Ma già dopo pochi giorni, una volta levato il superfluo, ho scoperto la bellezza del cammino: l’essenziale, il ristoro tra le braccia di Gesù, come l’apostolo Giacomo. Santiago educa, tramite il sacrificio e l’impegno, alla riscoperta della fede. È un cammino penitenziario, verso una vita nuova, verso la conversione. Dal 2010, ogni anno un nuovo cammino. Oltre 20 in tutto. Ogni volta risponde a un’esigenza interiore, a un bisogno di senso. Vale per i credenti, che rafforzano la fede, ma anche per chi parte senza Dio e finisce per trovarlo lungo il percorso.»

Lei ha affrontato molti viaggi, anche in zone difficili. C’è una località in cui ha incontrato più attrito nel diffondere il Suo messaggio di pace?

«In Ucraina ho camminato durante la guerra, sotto la minaccia dei bombardamenti. Ma la popolazione ci accoglieva con il poco che aveva. Ad Auschwitz ho sentito l’odore amaro della tragedia della morte. Un dolore che si ripete, che non smette mai di ferire. Cinque anni fa ho attraversato i territori palestinesi. Tutti mi sconsigliavano di andare in terre come Jenin, ma ho incontrato una grande umanità: un popolo ferito e orgoglioso. Ho dormito su coperte a terra, mangiato cene con prodotti tipici e umili, ospitato da una famiglia mussulmana. Abbiamo pianto insieme agli abitanti per le atrocità del mondo. Sono esperienze che mi hanno insegnato che la pace si costruisce solo entrando nelle storie degli altri.»

Ci sono simboli fisici del cammino che conserva con affetto e spiritualità?
«Ogni cammino ha i suoi simboli. A Santiago c’è la conchiglia, che si riceve alla fine - una volta raggiunta Finisterre - segno dell’impegno e dell’accoglienza. Poi la freccia gialla, che guida i passi. E il bastone, mio fido amico da quattro anni, ormai necessario ma anche simbolo di compagnia. Conservo con cura tutte le “Compostelle”, gli attestati di fine cammino. Le tengo appese al muro, come memoria del sudore, della bellezza, della rinascita.»

Dopo centinaia di km, cosa La spinge ancora a ripartire?
«Ogni volta mi riprometto che sarà l’ultimo. Ma poi arriva la nostalgia. Non riesco a farne a meno. Il cammino diventa un’esigenza, un modo per ricaricare l’anima.»

Ha mai avuto momenti di dubbio o stanchezza estrema?
«Tanti. A Medjugorje mi hanno fermato le vesciche. Ma poi sono ripartito dopo un po’ di ristoro. E durante il cammino verso Roma ho affrontato strade pericolose, animali selvaggi, la solitudine. Ma la fatica è parte del senso profondo del cammino. In un mondo che evita ogni sforzo, riscoprire la fatica significa ritrovare sé stessi, Dio e gli altri.»

Quali sono i momenti e gli incontri che ricorda con più intensità?
«Ne ho tanti nel cuore. Sguardi, gesti, lacrime. Ma fatico a raccontarli. Scrivo dei diari, ma non riesco mai a dire davvero tutto quello che provo. È un’esperienza troppo personale.»

L’incontro con Papa Francesco nel 2021. Com’è stato recarsi da Donnici a Roma?
«Un’esperienza incredibile. Non esiste un cammino per arrivare a Roma, ho affrontato la superstrada, campagne isolate. Pensavo che non mi avrebbero fatto entrare, non ero neppure munito di biglietto. E invece, sono stato accolto, ho parlato con il Santo Padre. Lì ho capito che la Chiesa ha davvero le porte aperte per tutti, anche per chi vive ai margini.»

Come si svolgono gli incontri con i fedeli lungo il percorso?
«Io cammino. Spesso sono loro a fermarmi per chiedere cosa ci faccio con lo zaino. Alcuni per curiosità, altri per reale interesse. Io dico che cammino come Gesù. C’è chi studia sui libri, io imparo con i piedi. Il cammino è la mia scuola. Una volta trovata la giusta spiritualità, è facile entrare in sintonia e pregare, sperare, piangere insieme.»

Il prossimo cammino sarà in Canada. Perché ha scelto l’America del Nord?
«Tutto è nato quasi per caso, forse anche dal desiderio di rivedere i parenti. Voglio incontrare gli emigrati italiani, ringraziarli per il sacrificio che hanno fatto lasciando la propria terra. Lì non esiste una cultura del cammino, quindi ne ho creato uno: partirò da Ottawa, lungo il Trans Canada Trail, fino a Toronto e poi ad Hamilton. Sarà un pellegrinaggio nuovo, con il supporto di amici e un’auto al seguito per ogni evenienza. Il cammino non è una prova fisica. È un viaggio di fede. Quindi, ci devono essere tutti i presupposti per portarlo a compimento in maniera sicura. Tutti mi chiedono perché il Canada se non ha santuari importanti. La vera meta sarà il santuario formato dalle persone che incontrerò: Dio abita nei cuori, non solo nei luoghi. È per questo che l’ho chiamato “il Cammino del Cuore”: è un cammino che suscita la nostalgia, il desiderio della propria terra, con lo scopo di far sentire queste persone amate e ricordate.»

È più importante il traguardo o il percorso?
«Entrambi. Ho scritto un opuscolo con 40 frasi sul cammino, ma la più vera è questa: il cammino è vita. La meta fa parte del percorso. Tutto ha valore, dal desiderio di partire al passo finale. "Ultreia et Suseia", si dice a Santiago: “Andare oltre; andare verso l’alto”. Il pellegrino non si allena. Cammina per cercare. Per arricchire la propria anima e quella degli altri. Porterò con me dei piccoli crocifissi e immagini della Madonnina, per ricordare a chi incontrerò e a me stesso che la fede è un dono che si può sempre riscoprire.»

Il messaggio finale è semplice, universale: «Il cammino lo possiamo fare tutti, credenti o no. È la via più diretta per riscoprire il senso della propria esistenza.»