Un mese dopo l’elezione di Papa Leone XIV, un articolo di Antonio Spadaro su L’Osservatore Romano riflette sul passaggio tra il pontificato di Francesco e quello del nuovo Papa. Due figure diverse, ma unite da un tratto comune: l’inquietudine. Cioè il bisogno profondo di non restare fermi, di cercare sempre nuove strade per parlare al mondo di oggi.

Francesco: la Chiesa che esce

Papa Francesco ha guidato la Chiesa per dodici anni (dal 2013 al 2025) con uno stile diretto, semplice, vicino alla gente. Ha messo al centro i poveri, gli esclusi, chi soffre. La sua “inquietudine” era missionaria: voleva una Chiesa che andasse incontro alle persone, che rompesse con certe abitudini troppo rigide e si aprisse al mondo reale. Ha cercato di parlare a tutti, credenti e non, con il linguaggio della misericordia e della fraternità.
Francesco non si è mai accontentato: ha voluto una Chiesa viva, capace di rinnovarsi. Il suo modo di fare ha colpito e anche diviso, ma ha lasciato un segno profondo.

Leone XIV: radici forti, mente aperta

Il nuovo Papa, Leone XIV (al secolo Robert Prevost), viene dagli Stati Uniti ma ha vissuto a lungo in Perù. È un vescovo agostiniano, uomo di studio e di dialogo. La sua inquietudine è diversa da quella di Francesco: meno legata al gesto simbolico, più alla riflessione. Ma nasce dalla stessa domanda: come può la Chiesa essere fedele al Vangelo nel mondo di oggi?
Leone XIV non vuole tornare indietro, ma nemmeno correre dietro alle mode. Cerca un equilibrio tra tradizione e cambiamento. La sua formazione spirituale e teologica gli permette di affrontare con serietà e calma le grandi sfide del presente: guerre, disuguaglianze, crisi della fede.

Una continuità diversa

Non c’è uno strappo tra i due pontificati. C’è piuttosto una continuità fatta di stili diversi, ma di uno stesso desiderio: non lasciare la Chiesa ferma su se stessa. Se Francesco ha messo in moto un processo di cambiamento, Leone XIV sembra volerlo approfondire, dare più radici a ciò che è iniziato.
Francesco ha acceso il fuoco, Leone vuole tenerlo vivo con pazienza e discernimento.
Viviamo in un tempo fragile, pieno di crisi: guerre, povertà, migrazioni, cambiamenti climatici. In questo contesto, la Chiesa non può restare in silenzio. Deve parlare, agire, ascoltare. Ma senza perdere la propria identità.

Spadaro conclude dicendo che la vera forza della Chiesa è proprio questa: saper accogliere le tensioni, i dubbi, le differenze. Non per paura, ma per amore. Le due inquietudini – quella missionaria di Francesco e quella teologica di Leone – sono il segno di una Chiesa viva, che non si chiude ma continua a cercare.
E questa, forse, è la vera lezione di oggi: solo una Chiesa inquieta può davvero accompagnare l’umanità nel suo cammino.