Il piccolo centro del Vibonese è stato divorato dallo spopolamento. Il vuoto è l’elemento predominante tra i monti dei vicoli dove il bianco della neve si mescola al colore ruggine delle case. Resistono in mille, quasi tutti anziani
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Il fenomeno dello spopolamento è ormai una costante che da molti anni interessa la Calabria ed in generale le regioni meridionali. A soffrirne maggiormente i piccoli centri dove la vita caotica delle grandi città sembra essere qualcosa di alieno. È il caso, tra gli altri, di Nardodipace. Dal 1961, anno del picco massimo di abitanti (2729) si è passati a 1013 in tutto il comune. A soffrirne di più sono le due frazioni, Cassari e Ragonà, ubicate a 1080 metri di altezza e quasi rimaste immobili in un tempo lontano e grigio, dove l’unico colore a spiccare è quello dei verdi alberi e dei lucenti ruscelli illuminati dal sole nelle giornate estive. Già nel 1978 l’antropologo calabrese Luigi Maria Lombardi Satriani, insieme ad un’equipe aveva documentato la fame, l’impossibilità di prospettive future ed attuali, in una realtà quasi staccata dal resto del mondo, ma nel suo piccolo ancora viva.
Dopo 47 anni, lo scenario è all’incirca lo stesso ma con una caratteristica aggiuntiva: il vuoto, elemento predominante che rimbomba tra le pareti di quei monti e dei vicoli dove il bianco della neve si mescola al colore ruggine delle case, ora spogliate di quell’identità data, un tempo, dalla presenza vitale, seppure amara, uno scenario che si legge anche nelle parole di alcuni anziani abitanti di Ragonà chi vivono lì da sempre: «Una volta il paese era popolato eccome, ora siamo rimasti in quattro famiglie, quando ci riuniamo non arriviamo nemmeno a 15 persone, d’estate qualcuno torna e il paese si popola abbastanza e da qualche anno c’è anche qualche visitatore che viene a fare fotografie, a vedere il paese. La mattina presto ci occupiamo della campagna, quando non c’è troppo sole, e dopo mezzogiorno stiamo nel paese, ci sediamo tra le vie».
Sembrano mondi lontanissimi, dove lo sviluppo tecnologico ed i canoni della società moderna non arriveranno mai, poiché il loro futuro è diventare fantasmi di pietra arroccati, dato che nemmeno il potere amministrativo e politico negli anni è riuscito ad apportare seri cambiamenti volti allo sviluppo ed alla valorizzazione dei luoghi, come ad esempio la riqualificazione totale dei centri interessati. Il comune, frazioni comprese, oggi conta appena 1013 abitanti, per di più anziani, un dato che già ci parla dell’angosciante futuro, come se fosse una cosa scritta in cui l’essenza di queste realtà sembra essersi arrestata, contornata da un mix fatto di dimenticanza e credenza popolare, aspetto anche questo ancora presente, che ne acuisce il distacco col mondo. Ma a rimanere tra gli echi silenziosi del nulla, dove la vitalità diventa un concetto astratto sono le voci, i canti di chi ha vissuto una vita difficile e subalterna al resto del pianeta, respirando un’aria pura ma allo stesso tempo rarefatta dalla lentezza di un tempo quasi fermo che ha ucciso e distrutto, ma non ha saputo ricostruire, annullando un angolo di terra dalla storia e dall’esistenza.