Alla fine, prende quel bicchiere d’acqua che all’inizio aveva rifiutato. «Adesso ci vuole», dice tirando un sospiro dopo aver risposto a tutte le domande. Nicola Mari ha tanto da raccontare. Del suo ultimo viaggio, per esempio. «Sono partito dal Vietnam, sono passato dalle Filippine e dall’Indonesia e sono arrivato in Oceania. Ho toccato Australia, Nuova Zelanda e sono andato alle Fiji, alle Isole Salomone, a Vanuatu, alle Tonga, alle Samoa. Poi alle Hawaii. Infine, ho fatto tappa a Los Angeles prima di rientrare a casa».

Due mesi e mezzo in solitaria, un po’ per spirito d’avventura e un po’ per studio.

Nicola Mari è un geologo, ma con una specializzazione molto particolare. È un geologo planetario, oltre che vulcanologo.

Trentatré anni, originario di Feroleto della Chiesa nel Reggino, è cresciuto con un occhio alla terra e uno al cielo e ai suoi misteri, che lo hanno affascinato fin da bambino. Una passione che è maturata assieme a lui fino a diventare una professione.

Quando è nata la passione per i pianeti?
«Fin da piccolo ero attratto dall’ignoto. Guardando il cielo di notte mi intrigava l’oscurità più che le stelle. Da lì è nato l’interesse per i mondi lontani e sconosciuti. Questa passione è andata di pari passo con quella per l’ingegneria informatica».

Poi però è diventato geologo…
«Sì, per un evento geologico che si è verificato nel periodo in cui stavo scegliendo che percorso intraprendere all’università: l’eruzione di un vulcano islandese. Così ho abbandonato l’ingegneria informatica e ho optato per la geologia».

Si è mai pentito della scelta?
«È la scelta che rifarei altre mille volte. Mi ha permesso di girare il mondo, di fare studi sul campo, conoscere tanti luoghi e persone. E poi ho potuto finalmente coronare il mio sogno di studiare i pianeti».

Il suo percorso l’ha portata prima a Milano, poi a Urbino, all’Ingv di Palermo, nel Michigan, a Glasgow, a Pavia e adesso all’Università della Calabria. Come si è ritrovato qui?
«Ho vinto un bando della Commissione europea per fare qui il mio secondo post doc».

L’esperienza è positiva?
«Mi sto trovando molto molto bene. Soprattutto essere vicino a casa, dopo tanto girare, mi sembra ancora surreale. Ma è comunque una cosa temporanea, da contratto ho un altro anno da fare qui, poi si vedrà».

A proposito del tanto girare, parliamo del suo ultimo viaggio. Due mesi e mezzo, tante tappe: qual era lo scopo?
«I posti in cui mi sono trattenuto di più sono stati le Fiji, le Samoa, le Hawaii e in ognuno di questi tre posti ho collezionato dei campioni di lava che mi servivano per le mie ricerche scientifiche».

Tutto questo che c’entra con i pianeti?
«Negli ultimi anni sono entrato a far parte di un gruppo di ricerca internazionale che studia Venere. Venere è un inferno: ha un’atmosfera così densa che la pressione che troviamo sopra la sua superficie è la stessa che troviamo sotto gli oceani. Per cui ho pensato: perché non studiare le lave sottomarine per vedere quanta acqua riescono a trattenere? Da qui, per comparazione, riesco a capire quanta acqua – elemento essenziale per la vita – ci può essere su Venere. Ma per trovare le stesse condizioni di Venere bisognerebbe andare sott’acqua a circa 900 metri di profondità».

E allora?
«Grazie ai movimenti tettonici o per altri motivi geologici queste lave eruttate sott’acqua sono arrivate in superficie, quindi ho potuto campionarle in diversi luoghi in cui c’erano antichi fondali oceanici».

Lo studio è ancora in corso?
«Sì. Il prossimo autunno andrò ad analizzare i campioni all’Università di Hannover».

Come fa a scegliere i posti in cui andare a cercare il materiale che le serve?
«Le carte geologiche ti dicono dove andare. Quelle che io stavo cercando sono delle lave sottomarine particolari, si chiamano ialoclastiti. Sulla carta geologica ho visto dove si trovano. Mi sono segnato dei posti, ho capito come raggiungerli e sono partito».

Che viaggio è stato dal punto di vista personale oltre che professionale?
«Mi ha arricchito tantissimo. Mi sono addentrato nella cultura dei popoli che ho incontrato. In quei posti bisogna adattarsi e io l’ho fatto senza problemi, tra l’altro mi piace molto il loro cibo. Mi sono vestito come loro in diverse occasioni, ho partecipato a una cerimonia kava, ho parlato le loro lingue. Sono anche andato in diverse biblioteche per studiare i loro miti e vedere se ci sono indizi di eruzioni vulcaniche ancora non documentate. Ne verrà fuori un altro lavoro, un lavoro di geomitologia».

La sua è una passione a tutto tondo. Ha scritto anche diversi thriller scientifici. E si occupa di divulgazione scientifica, sia con pubblicazioni cartacee sia sul web. Su Passione Astronomia ho letto un suo articolo sulla xenolinguistica. Una materia molto particolare…
«È la linguistica rapportata all’universo, uno studio di linguaggi ipotetici: se noi incontrassimo un’altra civiltà in che modo potremmo comunicare con essa? Si tratta di capire se c’è una grammatica universale, non sappiamo se in un momento o nell’altro queste informazioni potrebbero servirci».

Secondo lei potrebbero?
«Non abbiamo mai avuto alcuna evidenza ma secondo me, per quanto è grande l’universo, è difficile che non esistano altre forme di vita. Ma attenzione, parlo di forme di vita, che potrebbero essere anche microbi. Diverso è parlare di civiltà intelligenti, che invece potrebbero non esistere».

Che pianeti ha studiato finora?
«Tutti quelli del sistema solare. Parliamo ovviamente di pianeti rocciosi. Marte ha occupato tutto il mio dottorato di ricerca. Ho analizzato vere lave marziane arrivate sulla Terra tramite impatti di meteoriti. Poi ho studiato Mercurio per il mio primo post doc all’Università di Pavia. Ho trovato sulla Terra il primo analogo di Mercurio (una lava simile a livello chimico, ndr) sull’isola di Cipro, che sarà utilizzato per calibrare gli strumenti per la missione di Esa e Jaxa BepiColombo, che nel 2026 arriverà nell’orbita del pianeta. Ora sono al mio secondo post doc all’Unical e sto studiando Venere, ma mi sto ancora occupando anche di Marte».

Sulla home del suo sito personale campeggia la citazione di un astronomo statunitense, Carl Sagan: «Da qualche parte, qualcosa di incredibile aspetta solo di essere trovato». Qual è la cosa più incredibile che lei ha trovato?
«Alla fine del mio dottorato ho trovato in una lava marziana due cristalli che avevano registrato nella loro chimica dei movimenti nella camera magmatica. Questi movimenti mi hanno dato la prova che esiste una convezione all’interno di Marte, quindi che c’è attività magmatica. Inoltre da qui sono riuscito a risalire alla temperatura che c’è all’interno del pianeta rosso e, grazie questo valore, si capisce che Marte potrebbe essere ancora vulcanicamente attivo. Quindi non è un pianeta morto, potrebbe solo avere tempi di eruzione molto lunghi, 1-2 milioni di anni».

E si è emozionato?
«Sì. Mi ricordo che quando ho fatto questa scoperta erano le sette di sera di un venerdì, tutti erano già andati a casa ed ero da solo in ufficio. Ho esultato e sono rimasto a fissare il monitor per tanto tempo. Purtroppo non c’era nessuno con cui festeggiare, ma gli altri hanno esultato dopo. Lo studio poi è stato pubblicato e ancora oggi è molto citato».

Prossime ricerche all’orizzonte?
«Le lune dei pianeti. Sono una cosa che vorrei studiare nei prossimi anni. Ci sono delle lune ghiacciate, ad esempio attorno a Saturno c’è una luna chiamata Encelado: ha una crosta di ghiaccio e sotto c’è un oceano. Non si sa ancora se c’è vita ma c’è vulcanismo simile al vulcanismo sottomarino terrestre. Esistono degli organismi estremofili, che sopravvivono ad alte temperature vicino ai camini idrotermali, per comparazione potremmo ipotizzare che esistano anche su Encelado. Mi piacerebbe fare uno studio astrobiologico su questa cosa. Inoltre vorrei aprirmi al campo degli esopianeti, i pianeti al di fuori del sistema solare. È un ambito della geologia totalmente nuovo. Sarebbe interessante investigarli in maniera sperimentale, riprodurne le condizioni in laboratorio per capire cosa vi si potrebbe trovare».