Si è svolta questa mattina negli uffici della Procura a Catanzaro la conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’operazione che ha condotto all’arresto di 68persone, destinatarie di un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, accusate di associazione di tipo mafioso, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, intestazione fittizia di beni, malversazione ai danni dello stato, truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e altri reati di natura fiscale, tutti aggravati dalla modalità mafiose.

 

La pace di ‘ndrangheta. “Quella degli Arena non è una cosca ma una galassia di cosche”. Ha spiegato il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto. “Sino alla prima decennio del 2000 si sono contesi il territorio a colpi di bazooka. Si tratta in particolare di famiglie che hanno esponenti di ndrangheta nella società maggiore di Isola Capo Rizzuto e si sono di volta in volta alleati con le famiglie più importanti che sono gli Arena e i Nicoscia. Intorno al 2004 è però scoppiata la pace perché sono arrivati i fondi per l’accoglienza e quindi si è capito che la guerra diventava controproducente in quanto i soldi c’erano per tutti. Bastava solo alloccare correttamente le risorse”.

 

Traffico di reperti archeologici. “Questa indagine è figlia di un lungo lavoro che ricostruisce l’organigramma e gli affari della cosca Arena: estorsioni e usura. Si è avuto modo di verificare che c’è un’imponente serie di imprenditori che si colludono seguendo uno schema compiacente in quanto legarsi agli ‘ndranghetisti significa implementare i clienti, significa recuperare i crediti e significa finanziate sistematicamente. Ancora l’indagine offre uno spaccato inquietante sul monopolio degli ndranghetisti sul traffico di reperti archeologici. C’era un vero e proprio diritto di prelazione in quanto i reperti vengono destinati ad un mercato clandestino parallelo salvo però questo diritto d prelazione degli Arena”.

 

Catanzaro non è un’isola felice. “Catanzaro è stata dominata prima dalla cosca Grande Aracri, indagata dal nostro ufficio, e immediatamente dopo abbiamo potuto verificato quanto gli Arena si stessero imponendosi. C’è stata una stagione a Catanzaro di intimidazioni violente e simboliche che avvenivano sempre con le stesse modalità. Non è casuale come tutto fosse fatto in modo tale che si riconoscesse un cambio di regia, con gli imprenditori costretti a confrontarsi con gli Arena. Questo è un territorio che è stato investigato dagli uomini del comando provinciale dei Carabinieri di Catanzaro, il quale ha fatto luce su una serie di cosche - due in particolare - che dominano i territori di Vallefiorita, Borgia, Amaroni e Squillace. Questi sono risultati investigativi non semplici da raggiungere perché ai vertici di queste consorterie ci sono nomi inediti. Gli Arena li conosciamo tutti ma quando si parla di un Caterisano o di un Bobbino, sono nomi non conosciuti. Questo significa che non è mai dimostrata l’esistenza della cosca. Difficile è stato operare impattando cosche che non avevano bisogno di minace, di violenza. Perché nel momento in cui c’è violenza, c’è minaccia siamo di fronte a una cosca giovane che si deve imporre. Qui abbiamo a che fare con cosche radicate che è stato molto difficile espungere e ricercare”.

 

Il gaming. “In Italia c’è la ludopatia e c’è un gaming che dovrebbe essere controllare dallo Stato. In Calabria questo non avviene e il controllo del gaming è demandato alle cosche. In particolare, la diarchia dei fratelli Nasca facenti parte della famiglia Arena avevano sbaragliato la concorrenza in provincia di Crotone attraverso una rete online gestita da una società maltese. Questa è un altro problema da affrontare perché a Malta non hanno la concessione di gestione dello Stato italiano e ciò nonostante si accumula denaro da parte di chi non lo può fare. Ma non solo. Abbiamo raccolto le dichiarazioni di Rocco Sunia secondo il quale in provincia di Crotone vi erano dei software che consentono di abbattere il premio perché lo Stato guadagna sulla scorta del monte giocato e sulla scorta di quanto viene registrato. Ovviamente se grazie ad un software si riesce a non registrare tutto va a vantaggio di chi gestisce la rete”.

Centro di accoglienza. “Siamo partiti da questa desolante situazione e abbiamo realizzato le foto delle consegne del denaro che i diversi appartenenti alle famiglie pacificate si spartiscono. Il sistema del drenaggio del denaro è stato congegnato in maniera assai semplice. C’è l’appalto che stato sempre destinato alle Misericordie d’Italia che lo subappaltavano, secondo statuto, a Leonardo Sacco presidente della Misericordia di Isola Capo Rizzuto. Da qui i soldi finivano già ad una serie di società. la Misericordia è una Onlus e non dovrebbe avere fini di lucro, il denaro della Misericordia viene però destinato ad altre società che hanno invece fine di lucro. A fronte di un’erogazione statuale dal 2006 ad oggi di circa 100 milioni di euro, 32 milioni di euro sono finiti alla cosca di Isola Capo Rizzuto”.

 

Assistenza spirituale. “Oggi qui si è arrestato un sacerdote ha avuto finanziamenti per 150mila euro in un anno per assistenza spirituale. Il capitolato d’appalto prevedeva che i migranti fossero dotati di giornali. Ci sono una serie di note di debito in cui si dice che dal momento che i giornali si deteriorano si preferisce destinare questo danaro all’assistenza spirituale che verrà erogata dal sacerdote. Siamo di fronte a fatti davvero incresciosi. Un’altra cosa che ci ha lasciati abbastanza basiti e che l’azienda che eroga i pasti è stata impiantata su beni immobili che sono stati acquisiti dai Poerio per ricavi delle usure praticate in ambito imprenditoriale. C’è stato un patto: a fronte di un prestito di circa 4/500mila euro c’è stata l’acquisizione di un patrimonio immobiliare per diversi milioni di euro dove è stata allocata l’azienda che ha erogato i pasti in maniera del tutto truffaldina. Un altro problema è la presenza dei migrati in questo Cara perché il pagamento avviene sulla scorta delle presenze ma moltissimi durante il giorno non erano presenti in quanto andavano a lavorare a nero. E ciononostante non c’erano pasti per tutti”.

 

Luana Costa