Il consumo di droga trascina in un vortice di dolore che, prima di annientare una vita, le toglie dignità. È il messaggio che Erminia Limongi, mamma coraggio, ha consegnato a una scolaresca di Trebisacce, ospite del Punto Luce di Scalea. La donna è la madre di Francesco Prisco, il giovane di Tortora morto il 27 febbraio 2023 dopo dieci giorni di agonia all’ospedale Annunziata di Cosenza, dove era arrivato per le ferite provocate da dodici colpi di fucile caricato a pallettoni.

Il giovane, 32 anni ancora da compiere, tra la notte del 16 e il 17 febbraio di due anni fa era rimasto vittima di un agguato avvenuto sotto casa sua, nel cuore della notte. Chi ha agito, come raccontano le indagini della magistratura, lo avrebbe fatto per un regolamento di conti, per vendicare un presunto debito di droga.

Al Punto Luce di Scalea si è parlato dei rischi e dei pericoli della droga attraverso la drammatica testimonianza di una madre, Erminia Limongi.

La tossicodipendenza e le scarpe consumate

Erminia Limongi ha raccontato agli studenti che la sparatoria di quella notte è stata il tragico epilogo di un’esistenza travagliata e segnata dalla lunga tossicodipendenza del figlio. Francesco aveva cominciato ad assumere stupefacenti giovanissimo e, ben presto, quel vizio si era trasformato in una dipendenza. A causa di ciò, il giovane aveva prosciugato i suoi conti, poi aveva chiesto soldi ad amici e famigliari e finanche alla sua mamma, una donna sola che per sbarcare il lunario gestisce una piccola lavanderia.

Le richieste, con il tempo, sono diventate sempre più pressanti e quando sua madre ha tentato di mettere fine all’incubo, Francesco è diventato aggressivo, tanto che la donna è stata costretto a denunciarlo. Il consumo di droga lo aveva letteralmente annullato, gli aveva fatto perdere amori e amicizie, lo aveva costretto ad andare in giro con vestiti vecchi e scarpe consumate fino all’osso. Proprio queste ultime, cinque paia, sono state mostrate agli alunni, come prova del fatto che la tossicodipendenza ti toglie anche la dignità di essere umano.

Il tentativo di rinascere

Erminia ci aveva provato in tutti i modi a salvare il figlio e ad inizio pandemia c’era quasi riuscita. Francesco aveva accettato di entrare in una comunità di recupero e ci era rimasto per alcuni mesi, dimostrando la ferrea volontà di riprendere in mano la sua vita. Il percorso era stato eccellente: il giovane si era disintossicato, guadagnandosi la fiducia dei medici. Così, era uscito dalla struttura, con la promessa di continuare il suo percorso circondato dall’amore dei suoi cari. Ma, una volta tornato a Tortora, era ricaduto nella trappola infernale. Erminia, in preda alla disperazione, lo aveva segnalato alle forze dell’ordine e denunciato per maltrattamenti. Un giudice si è espresso, obbligando il giovane al rientro in comunità, pena la detenzione in carcere. Peccato solo che la disposizione sia arrivata soltanto quattro giorni dopo il decesso.

Il vuoto incolmabile

Nel giorno in cui Francesco se n’è andato, anche la vita di sua madre si è interrotta. Erminia respira ancora, ma è morta dentro. Di suo figlio, del suo unico figlio, le manca ogni cosa. «La sua risata e i suoi abbracci, soprattutto – ci dice -. Per me gli abbracci sono importanti, perché ogni volta che abbraccio un ragazzo, riabbraccio a lui».

Oggi la sua unica ragione di vita è tentare di salvare altri giovani in nome di suo figlio. A quelle famiglie che stanno vivendo il suo stesso dramma, chiede di trovare la forza di non arrendersi, «di non avere paura e di dimostrare il bene ai figli. Quanto più se ne parla, meglio è. I genitori devono riuscire a strappare i figli da quella dipendenza che ti porta via per sempre. Quando a una mamma portano via un figlio, muore anche lei, la sua anima e la sua vita».