«Mio figlio vittima di ‘ndrangheta e io abbandonata dalle istituzioni»

Una lettera aperta di Caterina Villirillo madre di Giuseppe Parretta ucciso al culmine di una lite da un pregiudicato ad appena 18 anni: «Il silenzio della politica regionale consente alla criminalità di farmi il vuoto intorno»

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7 maggio 2019
17:19
Giuseppe Parretta e Katia Villirillo
Giuseppe Parretta e Katia Villirillo

«Io Caterina Villirillo madre di Giuseppe Parretta vittima della criminalità organizzata resto in vana attesa di una risposta delle Istituzioni. Sono stata lasciata sola dalle Istituzioni e dallo Stato con due figli minori. Lo scorso 3 maggio a Petilia Policastro si è svolta la VI Giornata del Coraggio Femminile, appuntamento organizzato dal sindaco Nicolazzi, grazie al quale la cultura è stata presentata come un valore di scambio tra le varie generazioni che vi hanno partecipato. Una realtà quasi di nicchia ed insolita per chi è abituato a considerare la Calabria terra di criminalità, che a me, mamma di Giuseppe Parretta assassinato a 18 anni poco più di un anno fa sotto i miei occhi, è apparsa come una bellissima iniziativa che finalmente premia le tante donne di questa regione che lottano ogni giorno per una vita migliore, fatta di regole certe e solidarietà. La mia gioia si è spenta quando sul palco è salita l’assessore regionale Angela Robbe che nel suo discorso, fatto di vuote parole lanciate con arte al pubblico presente, ha elencato tutto quello che puntualmente ha disatteso nei miei confronti: far rete, condividere, avere coraggio e rivolgersi alle istituzioni…. Ha detto anche con orgoglio che oltre ad essere assessore regionale alle Politiche Sociali, ha anche la delega alle Pari Opportunità!


Cui prodest? Mi sono domandata, allibita da cotanta vanagloria e ostentazione dietro la quale si nasconde solo il peggio che certe donne esprimono quando tentano a tutti i costi di somigliare a uomini ambiziosi. Il discorso della Robbe poggia sul nulla ed io ne sono la testimone vivente. La incontrai a Roma in occasione del conferimento del Premio Camomilla. Violence on the Violence Against in the World 2018, consegnatomi per il mio impegno nel sociale dedicato alla lotta contro la violenza alle donne.



Forse perché in quel momento ero una ‘donna sul palco’ mi fece mille promesse, e mi recai con tanto di appuntamento ben quattro volte presso il suo assessorato alla Regione Calabria, per far ripartire la mia associazione, ma inutilmente.
Ho scritto altre mail anche ad un altra donna impegnata nel Consiglio Regionale, l’Onorevole Sculco a cui nessuno ha mai risposto, persino il Presidente Oliverio ha avuto l’opportunità di venire per altri suoi impegni a Crotone, ma mai un incontro con me, “la Regione ha bisogno di persone valide come lei, la contatteremo a breve” queste sono state le sue parole, ma io ancora sto aspettando.


Credo di esserlo una madre coraggio, una madre che per il suo impegno nel sociale ha perso un figlio nel peggiore dei modi: assassinato da un criminale espressione del malaffare della mia città, Crotone. Ancora oggi mi domando il perché e l’unica risposta che trovo è che il mio impegno dava fastidio, colpiva gli abbietti interessi di una criminalità capillare e senza alcuna pietà. Forse quel maledetto 13 gennaio 2018 ero io la predestinata dai colpi di pistola del pregiudicato Salvatore Gerace. O forse volevano solo mettermi paura perché la smettessi di aiutare donne in difficoltà, vittime della prostituzione e della droga. Quante ne ho aiutate, e per nessuna di loro lo Stato mi ha mai detto un grazie, hai agito con giustizia.


Quando ho incontrato Angela Robbe ormai travolta dal dolore per la morte di mio figlio, mi sono fidata ed affidata a lei e per l’ennesima volta mi sono poi scontrata contro la dura realtà, fatta di false promesse sotto i riflettori per poi vedermi abbandonata nel buio del mio dolore, con altri due figli da crescere senza alcun aiuto. Dov’è lo Stato, dove sono le istituzioni? Perché si nomina un assessore alle politiche sociali con delega alle Pari Opportunità se poi l’unica cosa che sa fare quando incontra un dramma come il mio è negarsi e disattendere ogni aspettativa? Non solo ogni giorno devo affrontare il dolore insormontabile di aver perso un figlio, ma ogni volta che ho chiesto aiuto mi è stata chiusa la porta in faccia, come se il crimine lo avessi commesso io. Ho sempre lavorato per mantenere i miei figli e qualche volta ‘in nero’, perché la mia regione di nascita e residenza offre poco o niente in termini occupazionali. Ma tiravo avanti. Dopo l’atroce delitto che mi ha strappato il figlio più grande, oltre al dolore e alla tragedia, nessuno mi ha mai più dato la possibilità di lavorare come prima, forse per paura. Così come nessuno si è preoccupato del trauma subito da mia figlia Benedetta che ha assistito all’omicidio di suo fratello Giuseppe. Benedetta da allora non riesce più ad andare a scuola, ma da nessuna istituzione mi sono sentita offrire un supporto psicologico per me e per la mia famiglia, oltre a Benedetta ho un terzo figlio di 13 anni. Ho scritto al presidente Mattarella che non si è degnato neanche di rispondere, figuriamoci di incontrarmi. Così come a Matteo Salvini, ministro degli Interni, si proprio lui, perché ogni giorno so che rischio la vita insieme ai miei figli. Il processo in corte d’Assise contro l’omicida di mio figlio Giuseppe è ancora in corso. E quindi mi domando perché? Cosa è che fa paura? E’ possibile che la ‘ndrangheta mi abbia fatto il vuoto intorno? E tutte le istituzioni che non fanno altro che vantarsi di lotta alla criminalità organizzata, dove sono quando c’è una donna inerme con due figli ancora vivi da portare avanti? Tutti bravi a riempirsi la bocca di belle parole ma poi mi accorgo che forse la criminalità è più potente dello Stato e chissà…forse lo domina. Durante la mia attività con l’associazione Libere Donne avevo già subito altri episodi di criminalità regolarmente denunciati: mi avevano danneggiato l’automobile, avevano messo un ordigno davanti alla sede associativa, successivamente avevano distrutto l’interno dei locali facendomi trovare la stanza piena di escrementi di animali, un chiaro messaggio mafioso. Sono certa che mio figlio è stato ammazzato per darmi il segnale definitivo, per bloccare la mia attività in aiuto di donne sole. Lui, Giuseppe, il mio immenso ragazzo di soli 18 anni, è una vittima della criminalità organizzata. Ma a nessuno interessa, nessun politico, nessun presidente, nessun ministro rende merito al coraggio di mio figlio che è morto per salvare la sua famiglia.


Oggi spinta dal significato della Giornata del Coraggio Femminile scrivo questa lettera a voi giornalisti per ricordare che io nonostante tutto non ho paura. Ma che accuso lo Stato di non aver saputo garantire la sicurezza per la mia famiglia e ancora oggi dopo il dramma della morte ingiusta e violenta di mio figlio Giuseppe, non garantisce il suo supporto ed aiuto. Un atto dovuto considerato il mio impegno nel sociale. Oggi l’associazione Libere Donne è aperta ma nel luogo dove si è consumato l’omicidio per paura nessuno si avvicina più, e sono costretta a fare i colloqui “nei bar”, e ad organizzare eventi “da casa” in quanto dopo un anno non abbiamo nessuna telecamera e siamo obbligati a chiuderci dentro con la chiave, quasi come carcerati per le altre tre minacce ricevute in quest’anno, dopo aver riaperto.
Io vivo una situazione di grave disagio in questo momento psicologico, organizzativo e lavorativo.


Non mi resta che chiedere ancora una volta un intervento da parte dello Stato per poter dare ai miei due figli un po’ di sicurezza e serenità, un atto dovuto, ripeto, in un caso come il mio. Come in tutti i casi in cui in una famiglia accadono atroci episodi di violenza difficili da superare senza un supporto psicologico, perché ogni vittima innocente di femminicidio, omicidio, violenza sessuale o altro, porta con sé il dolore e disagio di un’intera famiglia, lasciandosi dietro dei veri disabili nell’affrontare la vita futura. Oggi posso solo dire che la criminalità organizzata ha ottenuto quello che voleva, mi ha sconfitto e faccio appello alle istituzioni per ricevere aiuto e riuscire a fare il mio dovere di madre».

 

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