Accusati di usura ed estorsione, prescrizione per nove imputati nel Vibonese

Il processo nato dall’operazione Caorsa vedeva coinvolti esponenti delle famiglie Mancuso di Limbadi e La Rosa di Tropea

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di G. B.
10 dicembre 2019
16:51

Non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Questo il verdetto del Tribunale di Vibo Valentia presieduto dal giudice, Giulio De Gregorio, nel processo nato dall’operazione “Caorsa” risalente al 24 ottobre del 2008 con il coordinamento della Dda di Catanzaro. Cadute in sede di Riesame le aggravanti mafiose nelle contestazioni dei reati di usura ed estorsione, gli atti dell’inchiesta sono passati per competenza territoriale e funzionale alla Procura di Vibo che ha poi esercitato l’azione penale. Dieci anni dall’operazione non sono stati sufficienti alla giustizia calabrese per arrivare ad una sentenza che non fosse di prescrizione. 

 


Questi gli imputati che beneficiano della prescrizione, alla quale nessuno (come loro diritto) ha inteso rinunciare: Roberto Cuturello, 51 anni, di Limbadi (avvocati Giovanni Vecchio e Guido Contestabile); Mariano Fiamingo, 45, di Zungri (avvocati Gustavo Panzini e Francesco Sabatino); Antonio La Rosa, 56 anni, ritenuto il boss dell’omonimo clan di Tropea (avvocati Giovanni Vecchio e Bruno Vallelunga); Domenico Mancuso, 40 anni, di Limbadi, figlio del boss Francesco Mancuso, alias “Tabacco” (avvocati Antonio Porcelli e Giuseppe Di Renzo); Francesco Trapasso, 50 anni, di Gimigliano (avvocati Nicola Cantafora e Saverio Loiero); Giuseppe Zaccaro, 39 anni, di Tropea (avvocato Giuseppe Di Renzo); Giuseppe Zinnà, 55 anni, di San Calogero (avvocato Francesco Muzzopappa); Gaetano Muscia, 55 anni, di Tropea (avvocati Mario Bagnato e Giuseppe Di Renzo); Vittorio Gentile, 44 anni, di Catanzaro (avvocati Nicola Cantafora e Alessandro Guerriero). Anche il pm Corrado Caputo (oggi era presente in aula il pm Concettina Iannazzo), all’udienza del 31 maggio scorso aveva chiesto per gli imputati la prescrizione.


Secondo l’accusa, l’imprenditore di Catanzaro Antonio Strano sarebbe stato costretto a corrispondere interessi ad un tasso del 200% annuo (15- 20% mensile), in un arco temporale che va dal 2001 al 2006, facendo lievitare un iniziale prestito di 51mila euro ad oltre 510mila euro. In precedenza, già nel 2012 l’intera attività dibattimentale era stata azzerata per ripartire ex novo dopo il mancato consenso da parte degli avvocati a far salva l’istruttoria a seguito dell’ennesimo cambio del Collegio giudicante dovuto al trasferimento degli originari giudici. 
Di certo il processo “Caorsa” rappresenta l’esempio di uno di quei dibattimenti capaci di mettere a nudo tutte le difficoltà in cui da anni naviga il “pianeta giustizia” a Vibo Valentia, fra carenze di magistrati e processi che girano a “vuoto” sino al raggiungimento della solita prescrizione. Con buona pace di quanti, da più parti, predicano “fiducia” nella giustizia.

Giornalista
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