Un attivista vero che ha combattuto per preservare dall’oblio e dalla speculazione le radici di uno spazio culturale antichissimo e nobile
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Chi ha conosciuto Salvino Nucera non può non ricordarsi della sua mitezza, della sua generosità nel darsi e nel confrontarsi e del suo buon animo. Salvino, con cui ho lavorato per oltre due anni, non era semplicemente Salvino.
Era un intellettuale, un poeta, un autore grecanico originario di Chorio di Roghudi e uno dei baluardi a tutela della minoranza greco-calabra. Non solo colui che, assieme ad Alessandro Serra, fondatore di Teatropersona, si stava occupando di tradurre le tragedie di Euripide in greco di Calabria. Ma un attivista vero.
Uno che combatteva per preservare dall’oblio e dalla speculazione le radici di uno spazio culturale antichissimo, nobile, che aveva accolto popoli, pellegrini, monaci, studiosi, curiosi, appassionati in cammino o in vita nella Calabria Greca risalendone o riscendendone il suo cuore, la Vallata dell’Amendolea.
Salvino, che di questa battaglia per la sopravvivenza ne aveva fatto una ragione di vita, era stato l’antesignano che, tra gli anni Settanta e Ottanta, assieme ai sodali dell’associazione Jonica, si era battuto per la sua lingua, vittima di uno stillicidio che nei secoli l’aveva degradata da idioma di tradizione orale predominante in tutto l’Aspromonte a macchia culturale resistente.
In quella lingua e per quella cultura Salvino era tornato a scrivere riaprendo una nuova stagione di produzione di grecanico scritto. Così mi aveva raccontato: «L’ultimo precedente è databile alla fine del Seicento: un testo scritto da un sindaco bovese pro-tempore. Nel 1981 Giovanni Andrea Crupi pubblica La Glossa di Bova, traduzione di cento favole esopiche in greco di Calabria. Nel 1986 esce il mio primo libro. All’inizio pensavo in dialetto, scrivevo in grecanico e ritraducevo in italiano. Poi ho capito che avrei dovuto partire pensando direttamente in greco».
Con Salvino se ne va irrimediabilmente un pezzo di memoria, un pezzo di quelle battaglie e di quella cultura che ha incarnato e ha difeso con la sua persona e con la sua opera indefessa. Se ne va un pezzo fondamentale del popolo greco di Calabria. Come aver perso non solo un lembo di cuore, o di cervello, ma come se a quella Calabria e a quel popolo fosse stato mozzato il respiro: Pneuma, il soffio vitale, e Thymòs, l’impulso, la vera e propria anima emozionale.
Quel respiro stasera è mancato anche a me che per due anni ho lavorato con il prof. Salvino Nucera, attraverso un rapporto di stima, di rispetto, di schiettezza, come solo poteva svilupparsi con un uomo dai modi di altri tempi. Da intervistato e testimone, Salvino è diventato per me maestro e poi un amico affettuoso e sempre disponibile. La mia grammatica e il mio dizionario per Grecanica News. La mia finestra su una memoria che fino all’ultimo ha lavorato per restare presente e diventare futuro.
«Sono contento che una nuova generazione volenterosa e curiosa stia proseguendo sulle nostre orme, perché per me si è trattato di un impegno e di una passione per la vita», mi aveva riferito durante un confronto sulle attività di formazione linguistica estiva del To Ddomadi Greko dai volontari di Jalò tu Vua.
Da giornalista, appassionato, collaboratore e amico non posso fare altro che leggere la scomparsa di Salvino come una sua ultima lezione. Che deve spronarci a fare meglio e a fare presto, per fare in modo che la cultura e la lingua dei greci di Calabria diventi un patrimonio consolidato, ascoltato e studiato e torni ad essere il centro della nostra identità.