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REGGIO CALABRIA - Saranno i magistrati del tribunale di Reggio Calabria a stabilire se Claudio Scaiola e Chiara Rizzo, aiutando Amedeo Matacena hanno dato una mano alla ndrangheta. Ieri è arrivato l'appello della Dda dello stretto contro la decisione del gip di non contestare l'aggravante mafiosa a Claudio Scajola, Amedeo Matacena, alla moglie Chiara Rizzo e agli altri cinque indagati nell'inchiesta sul presunto aiuto fornito all'ex deputato di Fi per sfuggire alla condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel corso di un’udeinza fiume, durata circa sei ore, il sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio ed il pm della Dda reggina Giuseppe Lombardo hanno accettato il verdetto solo nei confronti di Raffella De Carolis, madre di Matacena, e del presidente di una delle società dell'ex deputato, Antonio Chillemi, ma hanno ribadito l'accusa nei confronti degli altri imputati.
I magistrati hanno ribadito quanto sostenuto nell'appello presentato al tribunale del riesame, rimarcando come Claudio Scajola e Amedeo Matacena (entrambi ex Fi) risultino "inseriti in un circuito criminale ben più ampio, visto il ruolo di Matacena in ambito 'ndranghetistico ricostruito dalla sentenza di condanna" e che l'ex ministro, aiutandolo, "agevolava una pedina indispensabile per il sistema criminale di cui la 'ndrangheta fa parte" e " la 'ndrangheta in ambito politico imprenditoriale". Contrari alla richiesta della pubblica accusa, i legali di Chiara Rizzo (Bonaventura Candido) e di Scajola (Giorgio Perroni e Patrizia Marello) pretenderebbero l'inammissibilità dell'appello della Dda. Per Scajola, la Rizzo, Martino Politi e le segretarie dell’ex ministro berlusconiano e dell'armatore reggino, Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordalisi, è stato già fissato il processo con rito immediato che inizierà il 22 ottobre prossimo. Rizzo e la Sacco hanno chiesto il rito abbreviato